Il decennale della contestazione di Benedetto Marzullo

Il decennale della contestazione Le prime reazioni nel '68 Il decennale della contestazione Bolognn, 8 gennaio. Si compie quest'anno (o si celebra?) il decennale della « conlestazione giovanile ». Il ritorno di damma della scorsa primavera e successivo autunno, l'ambiguo scalpore suscitato dai « dissidenti » russi, inducono più che ad un bilancio, ad una eventuale unificazione di questi fenomeni. A sottolinearne il denominatore comune, a rilevarne qualche linea prospettica. « Contestazione » e senza dubbio « dissenso » aperto: non più esclusivamente dialettico, razionale, ma operativo. E' rivolta, allo stato nascente: incapace tuttavia di farsi rivoluzione, per difetto di coesione, ma soprattutto di programmi, organicamente alternativi. Può sfociare nella guerriglia, anarchica, prevedibile: ha scaturigini emotive, viscerali, scarsamente intellettuali. Malgrado le apparenze, si fonda sul « privato »: nega la società, per lo meno il suo attuale assetto. Ad Oriente come ad Occidente: rivendica diritti basici, la liberazione degli oppressi, di ghetti smisurati. Le donne, i neri, i giovani, nell'Unione Sovietica l'intera comunità, che si dice espropriata da una casta burocratica, ottusamente ncozarista. Il « dissenso » è matrice, non sempre avvertita, della « contestazione ». Costituisce diletto di consenso, non più che parziale rifiuto del sistema. Paradossalmente si erge a « coscienza », difesa del medesimo. Ne denuncia errori e prevaricazioni, si propone di emendarlo, riformarlo. Il « dissenso » non induce allo scisma, non conduce alla rivoluzione. Si sostanzia di ottimistiche contraddizioni, è disponibile per soluzioni compromissorie, vagamente utopistiche. Il dissenziente che materialmente abbandona il terreno di lotta, si fa esule, scade nel patetico, nega se stesso. Sottraendosi alla quotidiana sfida, rinuncia all'eresia, di sicuro al martirio. Lo scorso decennio è caratterizzato da una formidabile carica eversiva, a livello planetario. Ripete, con fulminea espansione (pronubi, e sostanza stessa, ne sono i dilaganti mass-media, l'uso attivo che può farne il cittadino), altro e non meno incisivo sommovimento. Nel 1848 esplose infatti il massimo della tensione ideale, nazionalistica: nel 1968 si assomma ogni e più acuta, universale impazienza. Alla libertà dei popoli e delle classi, si sostituisce insofferenza morale, la liberazione degli individui. Incalza la necessità di rinnovate, naturistiche riaggregazioni, il rifiuto di qualsiasi costrizione sociale, e quindi statuale. Ovunque si invocano istituzioni dal volto umano, partecipate: anche se primordiali. Si combatte contro una oscura « alienazione », uno smarrimento imputato soprattutto alla sopraffazione burocratica, allo sfruttamento governativo. In cui sembrano accomunati, conniventemente, sia l'assetto capitalistico, sia quello sovietico. L'ultima guerra aveva brutalmente eclissato i residui utopismi dei due decenni precedenti. La « guerra fredda » impedirà il risveglio della ragione individuale, l'insorgere del «dissenso». Negli Anni Cinquanta la fine dello stalinismo e del dogmatismo pontificio coincide con saguinosi sussulti libertari. L'Algeria, l'Ungheria differiscono soltanto per i loro drammatici esiti. Nel successivo decennio, malgrado la inaudita violenza, fallirà l'estremo exploit dell'imperialismo: il Vietnam diventa simbolo, ma anche strumento di liberazione. L'intera Africa conquista l'autonomia, ma singolarmente si riscattano anche gli africani di America, ogni altra minoranza. Di cui, la più vistosa è costituita dai giovani: relegati nei ghetti universitari. La guerra ha segnato una cesura epocale, questa si traduce in un abisso fra le generazioni. Hanno ormai venti anni i ragazzi sbocciati (ed amorevolmente da noi allevati) dopo il conflitto. 11 dissenso non violento di Marlin Luther King, di filosofi e profeti disarmati, per loro diventa contestazione radicale, terrorismo, guerriglia. Mitici feticci, ma incalzanti presenze diventano Mao, Ho Ci-minh, Fidel Castro, il « Che ». Divampano (come si addice ai giovani) irrazionali, romantici impulsi. La istanza riformistica si ribalta in denuncia totale: in rifiuto, regressione integrale. Modelli primitivistici, tribali, candidamente medievali, sono il rifugio di ribelli, immaturi quanto disperati. 11 '68 esplode, con identiche forme, in ogni continente (e subcontincnte: è a Cordova in Argentina, nel 1919, che si ebbe la prima rivolta universitaria). Guizza ed irride la ribellione, squassa gli apparati, minaccia gli Stati. Provoca esilaranti reazioni, ma alla fine spietata repressione: 500 studenti vengono assassinati nella università del Messico, Jan Palach costituisce ad Oriente il malinconico simbolo dell'impotenza, non soltanto giovanile. La rivoluzione viene dovunque differita: ne mancano del resto i presupposti storici, non bastano contraddizioni strutturali. Malgrado la durezza dei regimi la tolleranza, la stessa permissività verranno più largamente elargite se non conquistate. * * Abbiamo vissuto un decennio senza dubbio più libero: il « diverso » sembra dovunque alle soglie della cittadinanza. La violenza degli Stati, delle istituzioni, quale perpetrata prima del '68, difficilmente si ripeterà: malgrado subdoli camuffamenti, mistificanti compromessi. La generazione del '68 è oggi integrata, accasata, decomposta. Nuovi, più isterici guizzi si accenderanno. Ed hanno divampato, proprio da noi, lo scorso anno. Ma solo da noi: sussulti, significativamente ancora più isolati, disorganici, autoironici. Il terrorismo spicciolo, sostanzialmente anonimo, ne conferma. Non si tratta di una nuova « ondata verde ». Tanto meno emerge una « seconda società ». I « proletari delle fabbriche del sapere » dicci anni prima avevano fatto momentanea lega con ogni derelitto, con le fasce storiche dell'emarginazione: la « società affluente » c ormai ricordo, inattendibile miraggio. Sette milioni di giovani sono abbandonali alla disoccupazione, nel farisaico ordinamento dell'Europa Occidentale. Il rifiuto di questa realtà non riesce a configurarsi neppure in « dissenso », a collegarsi con altri e sempre più combattivi disillusi. « Galleggia » senza meta, come il Paese: cui si raccomanda (apostolicamente) non più diniego, ma la sorniona formula della « non sfiducia ». Benedetto Marzullo

Persone citate: Cordova, Fidel Castro, Jan Palach, Luther King, Mao, Marlin

Luoghi citati: Africa, Algeria, America, Argentina, Europa Occidentale, Messico, Ungheria, Unione Sovietica, Vietnam