Almanaccando sul nostro futuro di Benedetto Marzullo

Almanaccando sul nostro futuro FANTASIE, SCADENZE, ASTRI Almanaccando sul nostro futuro « Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. Bisognano, signore, almanacchi? ». « Almanacchi per l'anno nuovo? ». « Sì, signore ». « Credete che sarà felice quest'anno nuovo? ». Sono le prime battute (ognuno le riconoscerà, con una punta di turbata nostalgia), del «Dialogo di un venditore d'almanacchi e di un passeggere »: una operetta, tardivamente aggiunta dall'ironico e pur dolente Leopardi, alla edizione fiorentina del 1834. Il rito si ripete puntualmente, se ne è impossessato il consumismo, ci raggiunge nelle nostre case, con petulanti, più spesso patinate o strampalate varianti: predomina l'immagine sulla parola, l'elusiva illustrazione. E' divenuto occasione, pretesto di gratuite confezioni, del tutto dimentico dell'ansia propiziatoria che lo motivava. Ha generato, è vero, il calendario: una escrescenza spuria, anche se pragmatica, utilitaristica, di livello e funzione non più che strutturali. L'almanacco esprimeva la istanza desiderante, proponeva trasognati progetti: riempiva, provvisoriamente, il nostro futuro. Il calendario ne segna le scabre, computistiche cesure. «Almanaccare» è di conseguenza fantasioso esproprio dell'avvenire: l'evasivo termine è, sintomaticamente, scomparso dal quotidiano eloquio. Slegato dal tempo, l'almanacco si è infine ridotto ad « annuario », pubblicazione dedicata ad un soggetto, se non immaginativo, letterario, sociologico, satirico: persino tecnico, insegna il più autorevole « Nautical Almanac », che si pubblica a Greenwich dal 1776. Nel migliore dei casi, ferma, descrive il tempo (si immerge nelle circostanze), piuttosto che anticiparlo. Ne elenca proliferazioni, supposte nobili: l'« Almanacco di Gotha » si è gloriosamente fermato nel 1944. Almanacco, calendario, annuario si possono assumere quali distinte categorie dell'esistenza. Hanno radici storiche diverse, sono espressione di civiltà, di concezioni opposte (e non di meno organiche) del vivere. Promiscuamente coesistono, con reciproci, non sempre efficaci sconfinamenti. Rappresentano in realtà tre diverse istanze della coscienza: quella fantastica, la operativa, non ultima la commemorativa. Soltanto l'almanacco arditamente ingloba le altre due. Estrapola tuttavia dall'incombente presente, o dal passato appena consunto, ma soprattutto si fonda su un supremo, astrale ordine, di oggettiva razionalità. Perfettamente attendibile, quindi. « Almanacco » sarebbe termine arabo, assai presto documentalo: con travestimento latino già in Francesco Bacone, in ciascun «volgare», a cominciare dallo spagnolo. Più in alto non risalgono i linguisti. Ma qualcosa di simile troviamo in una significativa epistola « augurale » di Eusebio, discepolo di Plotino, feroce se non estremo oppugnatore della invadenza cristiana. Il termine, corrente dunque nel greco del vicino Oriente durante il terzo secolo, ha scaturigini formali e sostanziali ancora più lontane: babilonesi. Esprime una ferrea mappa dell'esistenza. Dalla posizione degli astri (una scienza convintamente esatta) scandisce il tempo. Dalla loro congiunzione trae presagi, da « presenze » variamente deificate fornisce auspici. Si pone quale codice di comportamento: da una realtà astrologica, religiosamente oggettivata, attinge griglie indefettibili. E' l'Oriente che fonda il futuro, su indizi non sempre improbabili. Con razionalistico rigore imbriglia, coagula ogni più fervida, angosciata fantasia. Il « calendario », linguisticamente, ha ritardate aree e tempi di diffusione: si tratta di un tecnicismo. La sua origine è tipicamente romana: significa lo strumento, il libro che segna le scadenze, non assolute ma grevemente finanziarie, legate ancora oggi al primo giorno del mese. Quelle famose « calende », che diventano greche solo quando si ha intenzione non di rimandare, ma di non pagare. I Greci ignorano le calende: non la gravosa consuetudine, di cui è vittima il protagonista nelle esilaranti « Nuvole» di Aristofane. Per cancellare i debiti, e più ancora gli odiosi interessi, egli eliminerebbe dal calendario l'infausto inizio di ogni mese. Il romano pragmatismo, l'aridità fantastica, ma anche la ignoranza (né solo astrologica) di questa civiltà che si dice «madre», non concepisce né almanacchi ne almanaccare, dispregia ogni estrapolazione non istituzionale, teme l'in¬ controllabile sapienza orientale. Registra scadenze e accadimenti: accanto al calendario, escogita gli « annali », severo e trionfalistico regesto del passato. Con gli Arabi torneranno a scintillare, sul prostrato Occidente, astrologici ammiccamenti. Una più aguzza coscienza del precario, l'esigenza di indicazioni, né fideistiche né intellettuali. L'almanacco risulta estraneo a religioni, rassegnate e tuttavia fondate su oltremondane speranze, è l'opposto di ogni ed ordinata metafisica. Scaturisce, rosseggiante fiore del deserto, dalla integrale solitudine, da una inconsapevole quanto inestinguibile disperazione esistenziale. « Vorrei una vita così, come Dio me la mandasse, senz'aita patti », confessa — apparentemente contraddicendosi — il nostro Venditore di almanacchi. « Una vita a caso, e non saperne altro avanti, come non si sa dell'anno nuovo? », incalza il viandante. « Quella vita ch'è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce: non la vita passata, ma la futura », sentenzia l'estraniato avventore, confidando nel caso, finora ingeneroso. Lo sprovveduto interlocutore, consente: con un incredulo « Speriamo ». « Dunque, mostratemi l'almanacco più bello che avete », maliziosamente sollecita il Passeggere. «Cotesto vale 30 soldi » è la mercificata filosofia di un Venditore di almanacchi. Benedetto Marzullo

Persone citate: Francesco Bacone, Greci, Plotino

Luoghi citati: Greenwich