Ritorna il Circo di Viviani di Domenico Rea
Ritorna il Circo di Viviani Ritorna il Circo di Viviani Roma, 25 gennaio. Con Circo equestre Sgueglia di Raffaele Viviani il Teatro di Roma ha realizzato il secondo spettacolo in proprio del cartellone, esordendo l'altra sera al Teatro Argentina. Stiamo assistendo ad una vera e propria riscoperta di Viviani. Vito Pandolfi, primo direttore artistico dello Stabile romano, è stato uno dei promotori eli questa « rilettura »: per sua iniziativa, nel '67, venne riportato sulle scene, per la regia di Giuseppe Patroni Griffi, Napoli notte e giorno. Circo equestre Sgueglia è un significativo passo avanti in questa riscoperta. Viviani j la scrisse nel '22, a trenta | quattro anni. Nato a Castel- lammare di Stabia, aveva esordito a quattro anni e mezzo, in un teatro di marionette. Poi i baracconi, le giostre, i bagni a mare, le « comparsate » durante i banchetti di nozze: e, una volta acquistata una certa notorietà, tredici anni filati di « variété », a snocciolare, nottata dopo nottata, macchiette scritte, recitate e cantate tutte da solo. Un apprendistato durissimo, ma, al tempo stesso, straordinariamente ricco di esperienze. Poi. nel '18, il primo atto unico, 'O vico e il debutto, al1 Teatro Umberto di Napoli. ■ Circo equestre Sgueglia se- ! gue, come si è detto, di quat- tro anni: ed è la prima com- j media in tre atti che Viviani scriva. I Siamo con Don Ciccio Sgue-i glia e gli attori del suo circo i equestre ambulante, che ha 1 piantato la tenda nella piazza I del Mercato di Napoli. Il pub- I blico non manca, anche se ! faticato. Ma, nelle rade soste dal lavoro, il sangue ribolle nelle vene di quei cavallerizzi, ginnasti, giocolieri da strapazzo. Sembra quasi che la vita voglia prendersi la rivincita sulla logora « routine » di esibizioni tutte eguali. L'a-1more si accende, insidia il fo-1colere domestico. jE' un amore spoglio e «sciagurato», ma è amore vero, a dispetto delle convenzioni del clan (che trova nella maledica Bettina, la « donna serpente », la sua scalcagnata Erinni). Il cavallerizzo Roberto seduce Nicolina, l'acerba figlia del proprietario; la contorsionista Giannina se l'intende col « tony » Giannetto (il sole straniero, un «giovinastro toscano »). Le due coppie di amanti fuggono, lasciando sul campo, annientati dal dolore, una moglie ed un marito, Zenobia 1 e il clown Samuele. E' pieve- ■ dibile (ma non meno toccan- ! te) che i due traditi si riin- contrino, sciancata lei, ridot- j to lui a guitto di piazza: e che ritrovino una loro, muta, I casta solidarietà. i Riassunta così, la vicenda i riesce romanzesca e lacrime- 1 vole. Ma non c'è ombra di I concessione al folclore o al I naturalismo in Viviani. Luci ! do osservatore della gente di teatro, e, ad un tempo, dei suoi napoletani, vuole tradurre sulla scena lo straordinario camaleontismo con cui entrano ed escono dal ruolo, che il destino, prima del copione, ha loro assegnato (o 1 l'uno a dispetto dell'altro): e 1 tessere l'elegia della loro fra- j gilità di uomini ed attori, con-tro le asprezze dell'esistenza, La regia di Armando Pu-gliese punta su toni sommessi e chiari. La presentazione della « carovana », nel primo atto, il serpeggiare dell'inquietudine amorosa, lo scoppio dei pettegolezzi mi sembra avrebbero richiesto un accento più risentito ed asprigno. Mentre la recitazione è come attutita e la raffinata eleganza delle scene e dei costumi di Bruno Garofalo tutto suggerisce meno che un microcosmo lacero e sgomento. ; Poi l'atmosfera si riscalda ■ nello splendido secondo atto t quello della duplice, tragica \ scoperta dell'adulterio: ed I emergono la smarrita umani ! tà di Samuele (Antonio Ca | sagrande), il cieco candore d: ; Zenobia (Angela Pagano). Sia mo all'interno del circo, nelle I spazio segreto in cui, per l'at I tore, la vita non ha segreti: I na. da quell'altalena di allu sioni e imbarazzati silenzi, 1 E' la parte più persuasiva ed allo spettatore sembra, ir qualche modo, di profanare il tempio dell'arte, non importa se con l'a minuscola. Pu gliese lavora qui con accorto tempismo, sa miscelare comico e tragico, trae effetti di un grottesco funereo, nella più pura tradizione napoleta- dello spettacolo, che di mio1 vo stinge sul patetico nel ter- zo atto. Caloroso successo, nutritissimi applausi al regista, allo scenografo, ai due protagonisti, attorniati da venti compagni (ricordo almeno l'Anatrelli, il Di Lena e la Fumo) e da cinque strumentisti cinque, che suonano musiche di Raffaele Viviani. Folta la colonia di residenti napoletani, da Domenico Rea a Francesco Rosi. Guido Davico Bonino
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