Chi vuole la basilica per 32 milioni? di Francesco Rosso

Chi vuole la basilica per 32 milioni? HA DUECENT'ANNI E SI TROVA A BAGHERIA PRESSO PALERMO Chi vuole la basilica per 32 milioni? Ho sott'occhio un volumetto dal titolo malinconico: Guida alla Sicilia che scompare, di Elio Tocco. Ed in questa Sicilia che scompare nemmeno una parola per Villa Butera Branciforti di Bagheria, oggi alla ribalta della cronaca perché una banca, vantando un certo credito verso gli eredi dell'antico principe che la fece costruire, l'ha messa all'asta per trentadue milioni, praticamente gratis, se ad aggiudicarsela sarà uno dei tanti imprenditori edili che hanno fatto miliardi a palate dopo un lungo tirocinio come asinai e carrettieri, per poi tirarvi su quei falansteri moderni che già hanno stravolto l'intera Palermo ed in seguito sono andati all'assalto anche di Bagheria, da sempre considerata la dépendance, o la Versailles capitale sicula. Bagheria è una cittadina pooo lontana da Palermo, distesa in una pianura tra le più amene e ricche di aranceti. E' celebre oggi perché luogo natale di Renato Guttuso, e fino a ieri perché vi operavano i più celebri intagliatori e pittori di carretti siciliani di tutta l'isola. Di quello che è stata Bagheria in tempi nemmeno troppo remoti, quasi non si parlava più, se non per citare i mostri di Villa Pelagonia, su cui si sono scritte le più insulse, facilone mitologie. Non che la celebre villa, che Goethe detestò, non meriti attenzioni e studi, ma è l'indifferenza con cui si lascia in disparte il resto di Bagheria a rendere perplessi. Diciamo subito che nel secolo XVII Palermo, la capitale vicereale delle Due Sicilie, era una delle città più fastose d'Europa, che il mondo colto vi affluiva come oggi accorre a Roma, Parigi, Londra o New York. L'aristocrazia palermitana aveva eretto nella Capitale palazzi sontuosi, dei quali rimane ancora qualche vestigio; ma quando giungeva l'estate affocata della Conca d'Oro, principi e duchi cercavano refrigerio fra il verde degli aranci e dei limoni, cioè nelle loro proprietà terriere. E la più vicina, la più comoda per sorvegliare anche gli interessi a Palermo, era Bagheria. Il primo a interessarsi del minuscolo borgo agreste nella seconda metà del secolo XVII fu don Salvatore Branciforti, principe della di Butera, il quale, dopo aver disegnato il reticolo urbano di Bagheria, si fece costruire una villa grandiosa, che da lui prese nome. Era uomo scontroso, nemico del viceré, e sul frontone della sua villa volle incidere: «O corte, addio» e, sotto, questi versi spagnoli: «Ya la esperanza es perdida ■ Y un sol bien me consueta - que et tiempo, qui pasa y buela ■ lleverà presto la my Vida», Ma il romitorio che si era scelto non doveva durare tale a lungo. Dopo la Villa Butera, o Branciforti, molti signori palermitani vollero la loro dimora estiva a Bagheria, e le ville spuntarono come funghi. La più sontuosa fu quella di Valguarnera, ancor oggi la meglio conservata, poi quella delirante voluta dal principe Ferdinando Gravina di Palagonia, famosa per i mostri che vegliano dalle mura e dal giardino, eppoi quelle dei principi della Cattolica, di Cutò, di Ramacca, di Campofranco, del duca di Villarosa, del marchese Inguaggiato, del conte di San Marco, e di altri nobili dai nomi meno sonanti. Di tutto quel museo architettonico sono rimaste la Villa Valguarnera; un poco, ma non troppo, di Villa Palagonia; e quasi niente di Villa Butera, o Branciforti. Di quanto lo scontroso don Salvatore Branciforti aveva fatto erigere nel 1658 è rimasto quasi nulla; ma ci sono ancora i resti solenni ed am monitori della cosiddetta Certosa che nel 1797 il principe Ercole Branciforti Pignatelli fece erigere all'ingresso del palazzo principesco dei Butera. Trascrivo un autore del tempo: «Sull'ingresso della villa alzava per novità di sua grandezza un monastero di trappisti nelle cui cellette mo naci in cera rappresentavano rari momenti della vita ciati- strato». Il Settecento illuministico, irridente, un rjoco blasfemo, aveva valicai/., '.e Alpi ed era approdato in Sicilia. Ed ecco la Villa Palagonia coi suoi mostri che rappresentano l'irrazionale, ed ecco la Certosa abitata da trappisti di cera ideati e realizzati da Ercole Branciforti Pignatelli; una ragazza ed un giovanotto che, non potendo realizzare il loro sogno d'amore, vestono il saio bianco e stanno a fronte nella stessa cella (ed i visitatori li chiamavano Ade- laide e Comingio) ed in un' altra cella, sempre modellato in cera ma da far invidia a Madame Toussaud ed al Museo Grévin, l'inventore della scenografia sacrilega, lo stesso don Ercole Branciforti Pignatelli che gioca a briscola con re Ferdinando III entrambi vestiti col saio bianco. E' il secolo dei lumi, e Palermo rivaleggia con Parigi. Ma il mondo cammina, i principi generano altri principi, i patrimoni si suddividono, diventano sempre più esigui. Restano i nomi, splendidamente storici, ma con scarsi redditi. La Villa Butera e la sua Certosa furono a poco a poco spogliate. Dove sono finite le statue di cera che rappresentavano i grandi personaggi dell'epoca? Forse sono state fuse e trasformate in candele per illuminare i molti altari di Palermo; di tali scempi la Sicilia è piena. Basti pensare a che cosa è diventata via della Libertà, Iun tempo gioiello di urbanistica floreale, oggi alveare senza respiro. E lo stesso è accaduto a Bagheria, la dépendance della odierna bor- ghesia palermitana come un I tempo lo fu della più colta aristocrazia d'Europa. Villa Valguarnera è ancora in condizioni di buon recupero; Villa Palagonia, dopo un secolo di purgatorio in funzione di caserma dei carabinieri (un milite zelante dipinse in bianco-rosso-verde la fontana del giardino) eppoi sede di pretura, è stata presa in cura dalla Soprintendenza ai monumenti. Delle altre ville non c'è più traccia, goffi casoni di cemento armato hanno cancellato anche le fondamenta. Rimaneva quel poco che c'è di Villa Butera e della Certosa, or-1 mai divenuta deposito agricolo, come tante ville vene-1 te. Tra i proprietari c'è an- I I che Olga Villi, vedova del principe Gioachino Lanza Branciforti di Trabia che, morendo giù da un balcone, lasciò in eredità all'attrice, oltre ad un giocatore del Pa- I lermo, anche parte della Cer 1 1 I tosa. (Ne parla, senza mai nominarla, Susanna Agnelli in Vestivamo alla marinara). La spunterà l'istituto bancario vendendola all'asta, quindi la speculazione edilizia che già ha distrutto Bagheria, oppure la Soprintendenza ai monumenti? Non c'è da sperare molto; nonostante le buone intenzioni, anche se ci fossero i quattrini necessari per l'acquisto, c'è sempre la burocrazia a impedire che i fondi stanziati siano tempestivamente impiegati, e se i residui passivi, cioè i fondi non utilizzati, sono un'afflizione del governo nazionale, nella Regione Sicilia sono un male endemico. Francesco Rosso