Mistero dei Sepolcri di Giovanni Getto

Mistero dei Sepolcri UGO FOSCOLO NASCEVA DUE SECOLI FA Mistero dei Sepolcri Quando nella primavera del 1807, presso l'editore Bettoni, apparvero i Sepolcri, il Foscolo non aveva ancora raggiunto i trent'anni (era nato infatti a Zantc, una delle Isole Ionie allora sotto il dominio di Venezia, il 6 febbraio 1778: corrispondente al 26 gennaio nel calendario greco). E tuttavia egli aveva messo insieme un certo numero di pagine estremamente significative: l'ode A Luigia Pallavicini e quella All'amica risanala; i sonetti Alla sera, In morte del fratello Giovanni, A 'Lacinto; le Ultime lettere di Jacopo Ortis. Pagine tutte che già toccano, quale più quale meno, le vette della lirica, anche senza avere l'incanto profondo e il respiro universale del capolavoro foscoliano, un capolavoro (tale esso rimane per noi, nonostante il fascino supremo delle successive Grazie) che si inserisce fra i più alti della poesia d'Europa, quella di Hòldcrlin e di Goethe, di Shelley e di Keats, di Vigny e di Puskin. A voler semplificare il viluppo dei temi e dei motivi che via via germogliano e si intrecciano lungo il carme si potrebbe forse partire dai notissimi versi inaugurali, in cui tre immagini, una di natura una di civiltà una di morte, si compongono in un modo fantastico che costituisce il simbolo, molteplice e unitario, della trama figurativa che si sviluppa lungo i quasi trecento endecasillabi. Il motivo di fondo è costituito dall'ombra incombente della morte. Fin dall'episodio iniziale si spalanca un vastissimo scenario funebre, contrassegnato da un tempo perduto per sempre e da uno spazio immenso e desolato distinto dalle « infinite ossa » disseminate « in terra e in mar ». Sono tratti nei quali Foscolo non solo attinge ai testi dell'Arcadia lugubre (quella che oggi si preferisce far confluire nell'alveo del Preromanticismo), ma si compiace di risalire alla fonte di quel gusto sepolcrale, e cioè agli scritti dell'inglese Young (a cui Andrea Rubbi farà dire: « Furono miei trastulli e l'ossa c i crani »). Insieme alle ossa e ai crani, agli scheletri e ai cadaveri, anche lo squallore della tomba e il suo abbandono costituiscono una realtà su cui ama indugiare la poesia dei Sepolcri. Deriva di qui il quadro tenebroso, che descrive il cimitero (uno dei « plebei tumuli » di Milano) dove giacciono le ossa di Parini, insanguinate forse dal « mozzo capo » del ladro « che lasciò sul patibolo i delitti », con la visione della « derelitta cagna » che va ramingando sulle fosse e « famelica ululando », e dell'upupa che esce dal teschio, dove ha cercato rifugio contro la luna, per andare svolazzando « su per le croci sparse per la funerea campagna ». E' questo il momento di più esasperata tensione nell'impiego della notturna e ferale tavolozza foscoliana. Ad un estremo opposto sta il limpido paesaggio dei colli fiorentini. Di un fascino straordinario e questo paesaggio, rischiarato da una trasparenza miracolosa di luce lunare, gioioso per l'aria imbalsamata di aromi vitali e per le acque che discendono dall'Appennino: un paesaggio lontanante fra colli, festosi di vigneti in attesa della vendemmia, e fra convalli, popolate di case e di oliveti, che « mille di fior al ciel mandano incensi ». Il quadro dei colli fiorentini si oppone al quadro dei tumuli milanesi non solo sul piano psicologico (l'antipatia sprezzante per Milano e l'adorante simpatia per Firenze che il poeta nutriva) ma anche su quello ideologico (la funzione delle piante in ordine alle sepolture). I colli fiorentini, che hanno pure le loro tombe (i « marmi » di S. Croce a cui fanno da sfondo), rappresentano il tratto più intenso di quella aspirazione verso Io splendore verdeggiante e fiorito della natura che, insieme alla contemplazione della morte, percorre il mirabile poema. Si pensi alla luce rasserenante diffusa dagli alberi nel gran camposanto di Ugo Foscolo: da quell'accordo musicale dei cipressi del verso d'apertura al verso che celebra l'« arbore amica » odorata di fiori, dal tiglio dolente di non coprire l'urna di Parini ai cipressi e cedri protesi con « perenne verde » sulle sepolture, dagli orti dei suburbani avelli cari alle britanne vergini alle palme e cipressi innaffiati dalle « vedovili lagrime » delle nuore di Priamo. Tali note fuggevoli, indugiatiti su una fresca vegetazione, temperano la materia luttuosa e spostano il canto della morte verso le note di quella sinfonia di vita che, quale suggestione definitiva, scaturisce dai Sepolcri. Questa sintesi fra la tomba e la pianta non era soltanto il prodotto di una spontanea inclinazione decorativa. Agiva sul nostro poeta una suggestione derivata da alcuni autori francesi, come Jacques Delille, Gabriel Legouvé e il grande Chateaubriand. In tutti costoro il culto dei morti e il culto degli alberi, ispirazione cristiana e sentimento dclla natura appaiono strettamen- te uniti. Erano dunque incvita- bili certe conseguenze ultime giù- stamentc poste in rilievo dagli storici della letteratura a propo- sito del vago panteismo che ac- costa l'uomo alla pianta e del confluire della religione delle tom- be, rinnovata dal sentimento del- la natura nella poetica dei giar- dini. In tal modo Foscolo potrà a un dato momento ricorrere con estrema istintività aW'Arte dei giardini inglesi di Ercole Silva, citandola in una delle tante note che accompagnano il carme, e ne confermano il carattere di opc- ra di gremita erudizione. Un'eru- dizione che evidentemente vive accanto alla poesia, e in essa si purifica. Cosi Foscolo nomina nei suoi versi gli amaranti e le viole. Ebbene, queste viole, tra- piantate per una suggestione li- rica o erudita dalle aiuole di Per- sio, rappresentano uno dei mo- j mcnti più splendidi dettati dal- l'ispirazione attinta al mondo ve-1 gelale (nati sulle sepolture, que sti fiori, nella loro fresca vita lità, non hanno nulla di funebre, e sono lontanissimi da quelli del le corone mortuarie che D'An nunzio accumula in alcune pagi ne del Notturno). Insomma, per la vita e non per la morte, come per la poesia e non per la dot trina, sta il festone verde e co lorito che percorre gli cndccasil labi del poeta, Ma la vita irrompe nel poema non solo attraverso il motivo dcl la natura ma anche mediante la varia tematica della civiltà. I va lori essenziali dell'esistenza inter vengono a formare il paesaggio umano del carme. Dopo la ra pida prospettiva iniziale aperta sull'amicizia, sulla poesia e sul l'amore, si dispongono alcuni scorci essenziali, come l'invoca zione al tetto materno (chi ha scritto che nei Sepolcri « sono assenti gli affetti domestici veri e propri », dimenticando che al meno tre episodi riposano sul tema della madre?); l'evocazione del profilo degli amici suggerito in versi caldi di affetto e arditi di fantasia (« Rapian gli amici una favilla al Sole / a illuminar la sotterranea notte...»); la modellazione del gesto, ieratico e soave, della donna innamorata in preghiera sulla tomba (« ove né donna innamorata preghi »: do- ! ve c'è insieme la levigatezza aggraziata di una statua del Cano- i va, c il fremito di un rimpianto, j provocato dall'essere la dolce figura ritratta in negativo e situata in una condizione di inesorabile assenza). Il vertice della ce-1 lebrazione dei valori è però rag- ! giunto solo dopo l'episodio di S. Croce, in un coro solenne in l cui si intrecciano l'amore della patria e quello della famiglia, l'esaltazione degli croi e quella della poesia. Ebbene, in questa sublimazione della poesia, consiste l'anima segreta del canto di Ugo Foscolo. In uno dei tanti bassorilievi j che qua e là si affacciano nel | carme, si stagliano con scultorea nitidezza le Muse, « custodi de' sepolcri ». E mentre il tempo, come una raffica improvvisa di vento, porta via fin le rovine, le Muse stanno immortali con il loro canto che allieta lo spazio fatto deserto e travalica inebriante il silenzio dei secoli. In questo bassorilievo il sentimento del tempo e quello dello spazio comunicano l'emozione di una sconfinata vastità d'orizzonte e di una profondità vertiginosa di millenni. E' il mito della poesia, nata sui sepolcri, che qui è raffigurato. Sembra dunque ben naturale che alla fine, attraverso le parole profetiche di Cassandra, compaia Omero, il poeta celebratore, ed Ettore, l'eroe celebrato, il !|più nobile e men fortunato d tutti gli eroi, come proclamava, jin sede critica e polemica, lo \stesso autore. [ut j ii • 1adella virtù eternatr.ee prò-,pria delle Muse e di Omero e picnamente partecipe anche il |canto di Foscolo. Perciò, giunti I al termine del carme, ci si accorge che in ogni punto di esso, j ' parli il poeta o della vita o della morte, si avverte la presenza di qualcosa che ci trascende. Come è stato scritto, veramente « in questo immenso cimitero del Foscolo si respira un'aria d'immortalità ». L'infinito e l'eterno costituiscono i segni trascendentali più significativi dei Sepolcri. E mai come negli emblemi solenni contenuti nei versi finali essi fan-1no sentire il loro fascino posscn-1te e misterioso. Giovanni Getto I

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