La verità e l'eco di Giovanni Arpino

La verità e l'eco La verità e l'eco Un giovane dagli occhi malinconici si mise in viaggio per scoprire la verità della vita. Giunto in una grande metropoli tutta di marmi, asfalti e acciaio, chiese udienza al Principe, che si degnò di riceverlo. — Sto cercando la verità della vita, — disse umilmente il giovane dagli occhi malinconici: — Ma non la trovo. Ho abbandonato il mio minuscolo paese tra i boschi, ho valicato monti e fiumi, ma questa inafferrabile verità mi prende in giro, mi sfugge. Così la mia malinconia non fa che aumentare. Il Principe s'infilò un dito nel naso per rendere più fervida la meditazione. Poi domandò: — Chi fa il male è un malato oppure è il male che fa il malato? Il giovane ebbe una smorfia poi rispose: — Chi è malato appartiene al male ma non sempre il male esige malati, sa anche vivere da solo. Però non saprei se questa è la verità della vita. Il Principe sbadigliò. Grattò la pancia a un gatto d'angora che teneva in braccio e aggiunse: — Il destino di un giovane è fatto di ricerca. Quando non avrai più voglia di cercare e nulla da trovare, ti ritroverai adulto e non appagato, oppure adulto e rassegnato. Questa sola è la vita. Altre verità non esistono: sennò io non sarei il Principe che sono e non potrei mettermi il dito nel naso a dispetto di chicchessia. Il giovane dagli occhi malinconici ebbe un'altra smorfia. — Allora tanto valeva che nascessi spaventapasseri, — osò. Il Principe fu preso da tutte le furie, ordinò che lo rinchiudessero nei sotterranei del castello, dove il giovane incontrò una tribù di vecchi color dell'asparago di serra. — Siamo così pallidi perché anche noi da cent'anni pretendiamo di conoscere la verità della vita. Per questo ci hanno imprigionati, — gli spiegarono i vecchi. —■ Io credevo che la verità fosse un paracarro ben piantato lungo le strade. Magari in America, — gli sussurrò uno di quei fantasmi con voce debolissima. — Io ero sicuro che solo diventando arcangelo delle formiche avrei potuto possederla. Magari in India, dove non c'è formica che non creda a un arcangelo tutto suo, — brontolò un secondo. —■ Io ero certo di trovarla pescando rane. Magari nelle paludi del Danubio, — esalò un terzo. — lo speravo che consistesse nel mangiar mosche. Magari in Africa, — singhiozzò un quarto. — Siete tutti matti, — rispose il giovane dagli occhi malinconici: — A forza di cercare la verità avete perso il senno. Le vostre barbe bianche non possono farmi impressione. Ah, perché non son nato spaventapasseri? Sedette in un angolo buio e umido, subito cominciò ad addomesticare uno scarafaggio. Perché quella, come tante rispettabili prigioni, era piena di scarafaggi vogliosi di apprendimenti e corsi serali. Passarono infinite lune al di là dell'inferriata che limitava un rettangolino di cielo. A volte, dalla metropoli, penetravano nella prigione echi di urla, di spari, di vetri rotti. — Tutta la gente sta cercando la verità. Trovatala, tutti di corsa verranno a liberarci, — si entusiasmavano i vecchi color asparago. Il giovane dagli occhi malinconici non parlava più. Allo scarafaggio, che era molto intelligente e pieno di buone disposizioni, insegnava solo l'aritmetica, ma a gesti. Con le sue zampette, la bestiola rispondeva ai quesiti, risolvendo equazioni e sbagliando mai. Durante tutte quelle lune il giovane dagli occhi malinconici era riuscito a elaborare una sua teoria. La verità immaginata gli pareva uno specchio e rifletteva i tratti del suo volto, le ombre, gli spigoli delle ossa, le curve e tutte le armonie o le disarmonie che un volto possiede. Per questo desiderava rivedere se stesso, o in una lama d'acqua pulita, o in un piatto scintillante, o addirittura in un vetro ben lucido. Venne la notte in cui, sgangherata la porta della prigione, qualcuno vi fu fatto rotolare dentro. Era il Principe, mezzo sanguinoso per le botte ricevute. Lo interrogarono. Sì, la metropoli si era ribellata. Sì, qualcuno, possessore della verità del momento, era riuscito ad imporla, e ora la città festeggiava, danzando dimentica dei cadaveri sparsi lungo le strade. — E noi? — domandarono ansiosi i vecchi color asparago: — Non vengono a liberarci, onorarci, regalarci prebende e pensioni? — Voi, — pianse il Principe col dito ancora nel naso: — Voi appartenete ad una verità sepolta che dà fastidio. Come la mia. La verità è un momento. Passato il momento, cambia. Tutte le verità si uccidono l'una contro l'altra. Per questo non sappiamo ancora se è il male che fa il malato o se è il malato che produce il male. Dall'angolo buio e umido, accarezzando lo scarafaggio sapiente, il giovane dagli occhi malinconici vide che il volto del Principe era liscio come uno specchio. Identico al suo, per quanto poteva ricordare di sé, a parte alcune ammaccature e il dito nel naso. Si sentì triste e felice insieme, libero e dannato insieme. Allontanò lo scarafaggio, che zampettò via consapevole d'una scienza grazie alla quale sarebbe diventato re di pertugi e anfratti. Così il giovane chiuse le palpebre sugli occhi malinconici, sognando il minuscolo paese perduto. Così entrò nella sua verità, che è solo brivido di ricordo, che è solo ricchezza di rimpianto, miele e non più fiore. Fuori, nella metropoli, dopo aver sparato per furore ora sparavano per gioia. E l'eco era identico. Come sempre. Giovanni Arpino

Luoghi citati: Africa, America, India