Credevamo che...

Credevamo che... IL CONFITEOR D'UN GIURISTA Credevamo che... Il trentennio della Costituzione è stato ricordato su tutti i fogli, quasi sempre con tono laudativo. Sono stato quatto, perché non ho alcuna resipiscenza su ciò che più volte in varie sedi espressi, che giudico la nostra Carta troppo enfatica, con troppe promesse vaghe ed alcune non mantcnibili, troppo ottimistica, non prevedendo periodi eccezionali e misure congrue per tali periodi, e rimandando a leggi avvenire proprio i punti scabrosi. Ma non sono cosi cieco da dare colpa alla Costituzione dei guai presenti; le Carte costituzionali contano assai meno delle passioni c delle capacità degli uomini; e credo che i nostri mali attuali si verificherebbero lo stesso se anche avessimo una Costituzione perfetta; uomini politici e giuristi sono sempre pronti ad appellarsi ad uno spirito delle leggi, per far dire loro l'opposto di ciò che le norme esprimono. Quelle celebrazioni mi hanno invece portato ad un esame di coscienza, ad un Confiteor. Non ho preso parte alla politica attiva (solo nel '53, contro la legge maggioritaria, scesi su varie piazze d'Italia a parlare da improvvisate tribune); l'elenco dei miei peccati non è quindi lungo. Ma rammarico di avere difeso, con convinzione, la legge di riforma fondiaria, dinanzi al Consiglio di Stato ed alla Corte di Cassazione. Mi pareva benefica, speravo nella piccola proprietà che attaccasse i coltivatori alla terra. Non mi rendevo conto che la spinta all'inurbamento era inarrestabile, che la legge era errata dando appezzamenti troppo piccoli per poter veramente attaccare una famiglia alla proprietà; che si distruggevano eccellenti aziende agricole, che non si sono più ricostituite; che, se mai, si sarebbe dovuto tentare di creare vaste cooperative, ma non piccole proprietà individuali. Credo che ben pochi degli originari assegnatari siano ancora, loro od i loro figli, intenti all'aratro od alla stalla; ai margini della grande città, la casetta agricola è in realtà l'alloggio della famiglia di un piccolo commerciante o di un piccolo impiegato ed il poco terreno e affittato od abbandonato. Rammarico di avere difeso la formazione delle Regioni (ponevo la condizione che si sopprimessero le Province); ero cosi sciocco da pensare che dove in un Ministero c'erano venti direttori di divisione, 19 sarebbero passati alle Regioni e la burocrazia ministeriale sarebbesi ridotta ai minimi termini. Ma soprattutto credevo nelle autonomie locali (del resto anche Einaudi aveva scritto un articolo « Via i Prefetti »). Guardavo solo ad alcune buone amministrazioni settentrionali, alla Provincia di Torino (ero stato amico di Orazio Quaglia presidente, di Carlo Nicolazzi segretario generale) dai bilanci sempre in perfetta regola, dai funzionari ineccepibili; alla Liguria dove il desiderio generale era, allora, che a Roma non si curassero di loro e li lasciassero fare. Purtroppo molti come me avevano ancora in mente i grandi elogi sentiti nelle scuole delle autonomie locali inglesi, del governo locale, e non si curavano invece di considerare attentamente i bilanci dei Comuni italiani, grandi e piccoli, e di porgere orecchio alle critiche, per lo più fondate, sulle amministrazioni locali (iniqua distribuzione dei tributi, favoritismi di ogni sorta, pessimi contratti di appalto); e poi, illuminato dalle ultime scintille del roveto ardente del 1945'-16, immaginavo assessori e consiglieri che avrebbero dato gratuitamente la loro opera. Rammarico di essere stato partigiano della nazionalizzazione dell'industria elettrica; non avere previsto che pesante organismo burocratico si sarebbe creato, quante ingiustizie si sarebbero commesse (le piccole aziende indennizzate con quattro soldi, ma dove la stentata azienda familiare si era organizzata come società per azioni, creando un rapporto d'impiego per i componenti la famiglia, questi immessi nel nuovo ente, con una situazione economica insperata). E chi poteva prevedere che la nazionalizzazione, con un giusto indennizzo agli azionisti delle grandi società elettriche, avrebbe provocato una sfiducia in Borsa, per la preoccupazione di nuove nazionalizzazioni, che l'odierna crisi ha aggravato assai, ma che cominciò proprio con quella nazionalizzazione? Come il protagonista di un bel romanzo di Anna Banti, dovrei ripetere all'infinito: « Noi credevamo... ». E se un insegnamento potessi trarne, è che è bene trascorrere la vita e soprattutto la giovinezza ed i primi anni dell'età matura, avendo accanto qualche persona dalle mani non proprio pulite, od almeno che non teme di sporcarsi (col senso dei limiti). Se avessi avuto vicino qualcuno che dicesse: « Riforma fondiaria? Ho già le mie carte in mano; mi toglieranno la terra che non vale niente e mi lasceranno quel che c'è di buono »; oppure: « Nazionalizzazione della mia piccola azienda di produzione e distribuzione di energia? Se ne parla da un pezzo, ed ho già preso le mie misure; ho un abile ragioniere che mi prepara splendidi bilanci, tutte le rivalutazioni consentite e un po' di più, un tecnico che riesce a fare apparire nuovi macchinari vecchi; sono pronto ad affrontare ogni giudizio di uffici erariali sul valore dell'impianto e ad assicu¬ rarmi un lauto indennizzo »; od un terzo che dicesse: « La Regione? Questa è la volta che metterò a posto quel mio figlio che a ventotto anni è disoccupato, non finisce neppure il periodo di prova dovunque cerco d'imbucarlo; ma in un ente pubblico nessuno è dichiarato incapace »; se avessi avuto accanto qualcuno di questi, avrei riflettuto. Ma no; ascoltavo l'angelico Antonio Segni, che pur amava tanto la terra, e che era convinto della necessità della riforma, e, senza dirlo a nessuno, aveva chiamato un amico ad esaminare la situazione della sua proprietà, con la consegna: — Dove ci può essere ombra di dubbio, risolvilo contro di me; prepara l'applicazione della legge più rigida, più severa, più dannosa per la mia famiglia; guai se non siamo noi a dare l'esempio —; avevo accanto l'austero Leopoldo Piecardi, convinto che togliendo agli azionisti delle imprese elettriche i lauti guadagni, quelli apparenti, e quelli delle riserve occulte, tutto il popolo italiano avrebbe avuto l'energia ad un costo assai più basso di quello che doveva ora corrispondere. Recito il mio Confiteor; ma ne traggo un ammaestramento per i giovani; come veri amici abbiate sempre persone ineccepibili; però mantenetevi la possibilità di sentire ognora la voce dei « furbi », che tanto abbondano nel suolo italico, e che vi mostreranno il ripetersi dell'eterna storia: la fata cattiva, lo spirito del male, che riesce a guastare quelli che dovevano essere i doni della fata buona, l'apporto degli uomini di buona volontà. A. C. Jemolo

Persone citate: A. C. Jemolo, Anna Banti, Antonio Segni, Einaudi, Leopoldo Piecardi, Nicolazzi, Orazio Quaglia

Luoghi citati: Italia, Liguria, Roma, Torino