Lama: il rincaro delle auto Fiat non è colpa dei salari, ma dei costi di Giancarlo Fossi
Lama: il rincaro delle auto Fiat non è colpa dei salari, ma dei costi Il segretario generale della Cgil a Tribuna sindacale Lama: il rincaro delle auto Fiat non è colpa dei salari, ma dei costi Roma, 20 gennaio. I«Tribuna sindacale» di que- sta sera, con Lama al centro di una raffica di domande, è partita da uno spunto di attualità: l'aumento dei prezzi delle auto Fiat e la contestazione, da parte dei metalmeccanici di Mirafiori, di alcune proposte contenute nel documento approvato dal direttivo unitario, in particolare per quanto riguarda lo sciopero generale e lo scaglionamento degli oneri contrattuali. La pressione dei lavoratori di Mirafiori può aver influito sulla decisione di aumentare i prezzi delle auto Fiat? «Non credo — ha risposto Lama — perché, anche se esiste ovviamente uno stretto collegamento fra prezzi, salari e costi di produzione, la prevalente spinta al rialzo non proviene certo in questo momento dai salari. La lievitazione dei prezzi è generale: non si riferisce soltanto alle auto, ma investe quasi tutti i settori produttivi. Ritengo, peraltro, che il potere pubblico debba acquisire strumenti per mettere il naso sulle ragioni delle variazioni dei prezzi almeno nei grandi gruppi industriali ». Ad una domanda « provocatoria » sulla necessità di riconoscere il profitto dell'impresa e dare impulso alla libera iniziativa, Lama ha replicato osservando che l'economia di mercato c'è, ma va I utilizzata correttamente. «Noi vogliamo — ha detto — che I si possano introdurre dei si j stemi di programmazione ca- a paci dì coinvolgere anche gli imprenditori e i sindacati nelle scelte territoriali, sugli investimenti, sul prodotto. Occorre vedere, ad esempio, per alcune imprese quale sia la loro capacità di realizzare la ricostituzione del capitale ». La mobilità è stato un altro tema scottante del dibattito televisivo. Il documento del direttivo unitario prevede la possibilità di una certa mobilità della manodopera, ma da alcune categorie sono venute critiche ed opposizioni. Lama è stato preciso: «I nostri critici ci debbono dire chiaramente se la mobilità la vogliono o no. All'Unidai per esempio, si chiedono circa 3000 licènzi'amentUprop'rio'mentre a Milano si creano 75.00080.000 posti di lavoro, fra nuove occasioni e il normale turnover. Se questi 3000 lavoratori entrassero nel mercato del lavoro, non ci sarebbe alcun problema per la loro sistemazione. Se invece si rifiuta il principio della mobilità, come è avvenuto in molti precedenti casi, questi gruppi esuberanti di manodopera diventeranno assistiti dalla cassa integrazione per tre, quattro, cinque e perfino sei anni». Non saranno più occupati, né possono essere considerati disoccupati. Percepiscono, in buona parte, il trattamento della cassa integrazione, ma poi fanno un altro lavoro creando, così, «un problema di coscienza, una situazione che è difficile difendere». Giancarlo Fossi
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