Parliamo con le prime 6 assunte Fiat secondo la legge della parità-lavoro

Parliamo con le prime 6 assunte Fiat secondo la legge della parità-lavoro Parliamo con le prime 6 assunte Fiat secondo la legge della parità-lavoro Altre cinquanta richieste di personale per la carrozzeria saranno presentate stamane dalla Fiat all'ufficio di collocamento, mentre sono In via di convocazione 22 operaie dichiarate idonee alla visita medica. In fabbrica, ieri mattina, hanno fatto il loro ingresso le prime sei donne assunte in base alla nuova legge entrata in vigore il 18 dicembre '77 sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro. Ogni lavoratrice ha dietro di sé un caso umano, difficoltà, disoccupazione. Abbiamo parlato con loro. Stefania, 44 anni, marito operaio, due figli di 22 e 19 anni, era iscritta alle liste di disoccupazione da sette mesi. « Quando mi hanno detto che ero idonea uscen. do ho gridato a mio marito: "Ce l'ho fatta". L'ufficio di collocamento butta giù il morale. Aspetti, aspetti e perdi le speranze ». Per lei la fabbrica è un ritorno. « Dopo nove anni di doppio lavoro in casa e in fabbrica avevo deciso di starmene a casa, lo desideravo perfino. Anche mio marito voleva che mi dedicassi alla famiglia ed i miei due tigli, che lavorano; speravano, finalmente, di arrivare a casa e trovare tutto pronto». Ma uno stipendio non basta. « Me ne sono accorta subito, appena un mese dopo essermi licenziata ». L'affitto per due camere e servizi è di 55 mila lire al mese, s'aggiungono 31 mila lire da riscaldamento, la spesa settimanale con 20-25 mila lire mette assai poco in borsa. « Con lo stipendio di mio marito operaio, circa 300 mila lire, non s'arriva alla fine del mese. Sui figli non si può contare, devono sposarsi, mettere i soldi da parte e divertirsi anche un po' come è giusto quando si è giovani ». Perciò, con un addio alle speranze di un po' di quiete si ritorna in fabbrica. Qualche preoccupazione per li lavoro? Risponde serena, decisa: « Si sa com'è, il lavoro d'officina è sempre pesante, ma per chi ha bi sogno di lavorare, non c'è scelta». Pietrina, 39 anni, arriva alla fabbrica dopo un'esperienza negativa: « Avevo un negozio di abbigliamento, è fallito a causa di un furto. Mi hanno rubato tutto e non eravamo assicurati. Impossibile ricominciare. Sono rimasta due anni disoccupata, pensavo di starmene a casa, ho un figlio di 15 che non va più a scuola e non lavora ancora, mio marito è operaio edile ». Ma il dramma del caro-vita (affitto 60 mila lire al mese, per due camere e servizi) l'obbliga art Iscriversi nelle liste di collocamento. La chiamata in fabbrica è accolta come « una fortuna ». Ex macchinista in una ditta di lenzuola, licenziata con altre 170 per la chiusura dell'azienda tre anni fa. Concetta, 26 anni, non si è arresa: « Allora ero incinta; sono rimasta a casa tre anni per allevare il bimbo. Ora posso affidarlo a mia madre e tornare al lavoro. E' indispensabile avere due stipendi in famiglia, di questi tempi ». « Il mio desiderio — afferma Stella, 25 anni — era occuparmi della casa, ho un marito, una bimbe di 4 anni e mi ero licenziata dalla ditta per poter crescere mia figlia. Ma non ce la facevamo più. Mio marito è aiuto-barbiere. Bisogna vedere la realtà guai è, lottavo ogni giorno per la cena e per l'affitto (45 mila lire al mese, per una camera, tinello e servizi); da quando sono rimasta a casa, senza lavoro, non ho più fatto un giorno di vacanza, non ho più visto un cinema né sono uscita a mangiare una pizza. Come si fa a continuare così? La bimba la terrà mia suocera. Io torno in fabbrica ». Diploma di segretaria d'azienda, quasi 19 anni, « voglia e bisogno di guadagnare, perché sono sola, con la famiglia ho rotto e devo mantenermi ». E' Silvana. Mesi di disoccupazione, corse all'ufficio di collocamento, delusioni e speranze. « Avevo ottenuto un posto ma il contratto scadeva dopo sei mesi, poi più nulla. Ora non guardo in faccia il lavoro, purché possa lavorare ». Giovanna, 21 anni, ha abbandonato genitori e Lucania per la fabbrica a Torino: « Laggiù, o si lavora la terra o si sta ad aspettare un marito. I miei avrebbero preferito che scegliessi quest'ultima soluzione, ma a me non pareva giusto. Perciò me ne sono venuta qui, dove c'è mio fratello. In Lucania ho anche lavorato nei campi. Ho scelto la fabbrica e sono contenta ». Sulle nuove assunzioni richieste dalla Fiat l'Udì (Unione donne italiane) denunoia « una grave presa di posizione dell'azienda che, pur affermando che non esistono pregiudiziali contro il personale femminile, di fatto pone veti e pesanti llmtti all'entrata in fabbrica alle donne, invocando la non idoneità alle lavorazioni, per le quali viene richiesta una costituzione robusta ». L'Udì afferma: « Con profonda ignoranza della legge di parità sul lavoro, la Fiat si rifà all'art. 1 quale era stato definito al Senato e modificato alla Camera: si appella cioè alla legge affermando che essa demanda alla contrattazione collettiva l'identificazione dei lavori gravosi, da cui le donne dovrebbero essere escluse. In pratica con II pretesto di evitare lavori pesanti alle donne, la Fiat nega loro l'entrata nella fabbrica ». La Fiat ribadisce invece che « la legge 9-12-77, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 343, all'articolo 1, prevede l'esenzione delle donne dal lavori gravosi demandando alla contrattazione collettiva la loro identificazione ». Un volantino del partito comunista accusa la Fiat di « stravolgere la legge sulla parità richiedendo, attraverso la contrattazione collettiva, l'elenco delle lavorazioni da cui le donne devono restare escluse ». I comunisti affermano: « Le donne devono entrare alla Fiat; tutte le Uste di collocamento in provincia di Torino devono essere unificate; le visite mediche non devono essere strumento di discriminazione antifemminile, perciò occorre che siano gestite da enti pubbUcl. Per i posti mancanti nelle lavorazioni particolarmente pesanti non bisogna escludere preventivamente, attraverso l'elerico delle mansioni non idonee voluto dall'azienda, le donne adatte e disposte a coprirli ». s;. co>

Luoghi citati: Lucania, Torino