Gli scamiciati a Buenos Aires di Igor Man

Gli scamiciati a Buenos Aires VIAGGIO IN AMERICA LATINA TRA PAURA E FAME Gli scamiciati a Buenos Aires (Dal nostro inviato speciale) Buenos Aires, gennaio. L'estate australe sciorina nelle vie di Buenos Aires gli scamiciati. I cosiddetti happy few sono partiti per le solite costose crociere a Tahiti o alla volta dell'Uruguay, la città appartiene alle masse piccolo borghesi e proletarie. Tuffarsi nella folla che s'abbandona al paseo ozioso, è come rileggere dal vivo le corrispondenze esemplari pubblicate sul Tempo da Curzio Malaparte nel lontano 1953. L'estate australe stana dalle baracche o dai falansteri i},,c^°1^^}°_1e j}\°P_Y_t\ gli impiegatucci, gli artigiani, i disoccupati, spingendoli verso le piazze e le strade del centro, « alterando il ritratto sociale della città », mostrando un ordine assai diverso da quello solito, consacrato dalla tradizione, dai costumi, dalle differenze di classe: « Un ordine più profondo, più segreto, che non è quello apparente, superficiale, della città ordinata nei suoi elementi antichi, entro la sua cornice convenzionale, mi quello vero reale; la base, il fondamento della società costituita, il suo ritratto più somigliante ». Scriveva ancora Malaparte, sempre nell'estate del 1953, in pieno regime pero- nista, dunque, che « l'aspetto attuale di Buenos Aires è un po' quello che sarebbe l'aspetto di una città socialista, della capitale di uno Stato socialista all'inizio della sua trasformazione, del suo passaggio dal regime capitalista a quello marxista. L'aspetto di Leningrado, di Mosca, di Kiew, nel 1929, nei primi mesi dell'applicazione del Primo Piano quinquennale, o di Praga, di Budapest, di Bucarest nel 1947 ». Sessanta dollari Al celebrato autore di Kaputt, la folla di Buenos Aires, la folla dei descamisados appariva, allora, come il « preludio » a una società parasocialista. Al modesto cronista calato nella odierna amara realtà della Argentina dominata dai militari, la folla estiva di Buen is Aires appare, invece, come la proiezione disperata di un Paese stravolto dalla austerità a senso unico imposta dal regime. La massa malvestita che invade la stessa Calle Florida (isola pedonale, di lusso, che ha messo la sordina all'acuto richiamo delle sue ricchezze) è il « ritratto » patetico e desolante di un Paese piagato dalla dittatura, fustigato dalla miseria. Chi mi accompagna dice scorato, con un cinismo menscevico: « La folla miserabile che vedi è l'Argentina terrorizzata di oggi, senza più speranze, e tuttavia drogata dal richiamo inesorabile del consumismo. E' la nuova plebe. Resa codarda dallo stato d'assedio, dal terrorismo sistematico, psicologico e fisico; una nuova plebe che il liberismo selvaggio di Martinez de Hoz (il ministro dell'Economia, chiamato dagli adulatori « il dottor José ») ha distillato nell'alambicco della sua politica di "risanamento" mischiando, confondendo deliberatamente le classi sociali ». Secondo un umorista citato dal professor Carlos Fioria, l'argentino medio sarebbe il risultato di una ricetta complessa: « Prendere, nell'ordine, una donna india dai fianchi larghi, due caballeros spagnoli, tre gauchos molto meticci, un viaggiatore inglese, mezzo pastore basco e un pizzico di schiavo negro. Cuocere a fuoco lento per tre secoli. Prima di servire, aggiungere di colpo cinque contadini italiani, un ebreo polacco (o tedesco o russo), un bottegaio spagnolo, tre quarti di venditore ambulante libanese e anche una prostituta francese intera. Pare riposare solo cinquantanni. Poi servire in uno sformato con molta brillantina ». Codesta ricetta crudele, forse antropologicamente esatta a dispetto del paradosso, trova riscontro, altrettanto crudele, nella folla estiva di Buenos Aires. Ma non è una folla «socialista» alimentata dalle speranze (non importa se illusorie) della società dei Paesi dell'Est del 1947. E' una folla obbligatoriamente « fascista », simile alla massa cinica all'apparenza ma disperata nell'intimo, che errava, tra un rastrellamento e l'altro, nella Roma « città aperta » (a tutte le calamità) del 1943-44. Gli happy few spendono migliaia di dollari per le loro vacanze, un péon guadagna sessanta dollari al mese, e cento un operaio specializzato. Un colletto bianco si colloca tra i due salari. Il piano di azione messo in atto sin dall'indomani del golpe, da Martinez de Hoz, punta al risanamento dell'economia secondo uno schema ancorato alle impostazioni liberali classiche. Il « dottor José », si dice « gradualista y pragmatico », ma in fatto la sua è una terapia d'urto, davvero brutale, che può riassumersi cosi: bloccare i salari, lasciare liberi i prezzi. L'inflazione La folla scamiciata che invade la Calte Florida può solo annusare gli articoli di lusso esposti nelle vetrine. Ufficialmente l'inflazione è scesa dal 600 per cento del 1976 al 150-200 del 1977. Tuttavia i prezzi nel novembre del '77 (ultimo dato) sono aumentati del 25-30 per cen11. Il ciclo produttivo interno si rivela asfittico, mentre prospera oltre misura la speculazione. Ristretti i crediti per le vie normali, è in corso una vera e propria incetta del denaro: banche e «organismi finanziari» offrono apertamente un tasso di interesse del 12 per cento mensile per depositi a trenta giorni, che fa oltre il 135 annuo; se cumulato, significa il 250 per cento all'anno. La folla, quindi, affoga nel paseo la sua frustrazione. Le vetrine dei negozi di lusso è come se fossero blindate per i poveri impiegati, per i salariati più poveri ancora, per gli innumerevoli disoccupati. Pochi spiccioli, frutto del doppio lavoro o del lavoro nero, vengono spesi per il cinema, per una cerveza, per una tazzina di tè. Il resto è aria calda e chiacchiere evasive sul mundial del calcio, sulla corsa miliardaria di formula 1. Così come era accaduto negli Anni 30, la grande borghesia argentina, dopo aver utilizzato il «fascismo nero» contro il proletariato, non ha esitato a sostituirlo, do-ì il 24 marzo 1976, con un «fascismo bianco» realizza11 grazie all'esercito. Come scrive l'economista Miguel Angel Garcia (esule in Italia), « il "fascismo bianco" non è meno terrorista e assassino delle forme di fascismo ideologicamente corporativo ». In ventidue mesi di regime militare, il massacro si è concretato. I militari « moderati », entrati nella Casa Rosada senza colpo ferire, il 24 marzo del 1976, attesero solo nove giorni prima di far scattare il terrore; sfidati dallo spontaneismo infantile della guerriglia, proclamarono la «guerra santa» contro la « sovversione comunista ». Attenti a non ripetere apertamente le nefandezze di Pinochet, scatenarono un'ondata di arresti clandestini colpendo a destra e a manca i cosiddetti quadri intermedi. Di fronte alla reazione armata, seppur disorganica, di quel che rimaneva della sinistra rivoluzionaria, aprirono successivamente il fuoco sulle piazze, sacrificando alla furia belluina dei soldati, dei mercenari armati dalla grande borghesia, tutti coloro che rifiutavano il Gott mit uns. Guerra santa La « guerra santa » prende la mano al moderato generale Videla che era stato presentato all'opinione pubblica come un cattolico convinto, preoccupato di portare in tempi brevi il Paese alla normalità democratica. Diventa la « guerra sudicia » all'insegna della violencia. La violenza, scrive Carlos Floria, è un fenomeno che ha una sua logica propria: « Cresce perché non è il risultato del caso ma nasce, invece, da uno sfondo stori¬ co e da un proposito razionale », quello di stabilire un « .uovo ordine ». Forse il generale Videla aveva incominciato ad affrontare la «grave questione della pace » senza aver iniziato a « pensare alla guerra » come sosteneva Clausewitz e ricorda Raymond Aron. In ventidue mesi sono state uccise «ufficialmente » duemila persone. I prigionieri politici, secondo il Council of Emispherical Affairs, un organismo privato americano, sono 18 mila. In Argentina vi sono più detenuti innocenti che in tutto il resto dei paesi dell'America Latino considerati insieme. Il generale Roberto Viola, capo di S.M. dell'esercito ha ammesso che sono morti «nella guerra» 8 mila guerriglieri. La Cadhu, la Commissione argentina per i diritti dell'uomo, possiede la lista, nome per nome, di 30 mila sequestrati e scomparsi (i cosiddetti desaparecidos^ e di altri 10 mila assassinati. Nel novembre scorso il segretario di Stato americano ha consegnato alla giunta un rapporto dettagliato sulle violazioni dei diritti umani. Da esso risulta che il cento per cento dei guerriglieri che cadono prigionieri vengono passati per le armi «previa tortura». La percentuale arriva al 50 per cento per gli attivisti sindacali. E il 33,3 per cento dei parenti, amici o difensori dei detenuti hanno fatto la stessa fine, con il 26.7 per cento degli intellettuali e il 18,7 per cento dei semplici operai arrestati. Ciò dimostra come la pretesa «guerra contro la sovversione armata» sia in realtà una repressione generalizzata volta a svirilizzare operai e ceti medi la cui resistenza si è confermata di nuovo, in novembre, con una ondata di scioperi. Insomma, è il terrore. Igor Man