L'illusione di saper tutto

L'illusione di saper tutto L'illusione di saper tutto Nel Seicento, nonostante che in Italia operino Galileo e soprattutto i suoi allievi Bonaventura Cavalieri ed Evangelista Torricelli, scomparsi prematuramente, e in Germania emerga la grande e complessa figura di Keplero, il primato in campo matematico è detenuto dalla Francia, che già nel secolo precedente si era imposta con Viète. Nella seconda meta del secolo, scomparsi Cartesio, Fermat, Desargucs, Pascal, il primato passa repentino all'Inghilterra per opera di Isaac Newton, l'uomo col quale la scienza, dopo un periodo di stasi durato oltre quindici secoli ed un travagliato risveglio che ebbe tra i suoi massimi protagonisti Copernico, Keplero, Galileo e Cartesio — risveglio duramente ostacolato dai dogmi aristotelico-tomistici di cui era gelosa custode ed interprete la Chiesa — riprende definitivamente il suo cammino. Per la grandezza e profondità della sua opera, frutto di una straordinaria potenza di astrazione al servizio del pensiero fisico, Newton va considerato come il vero fondatore della scienza moderna. Galileo aveva avuto una parziale intuizione delle leggi della dinamica e, ricorrendo al metodo sperimentale di cui è stato il fondatore, aveva verificato la seconda legge nel caso della caduta dei gravi, ma non aveva avuto coscienza del carattere assolutamente generale di quanto constatò in questo caso particolare; soprattutto non aveva intuito che anche i corpi celesti, al cui studio tanto aveva contribuito, nel loro movimento sottostanno a queste leggi e, senza nemmeno accettare le leggi scoperte da Keplero sul moto dei pianeti, aveva preferito uniformare la sua concezione copernicana dell'universo al dogma platonico del moto uniforme dei corpi celesti su circonferenze, intendendo tale moto come inerziale, ossia come un moto che ha luogo in assenza di forze. Cartesio aveva tentato di unificare in un unico contesto i fenomeni dell'universo, formulando la sua famosa teoria dei vortici, successivamente perfezionata da Huygens, per cui i pianeti, e quindi anche la Terra, come i vortici che la avvolgono, rotea no in un unico vortice attorno al Sole. Nato nel 1642, l'anno della morte di Galileo, Newton riuscì a portare a compimento il programma di unificare in una unica teoria razionale (la sua meccanica) i fenomeni celesti con i fenomeni terrestri, provando che le leggi del moto dei pianeti scoperte da Keplero non hanno carattere empirico ma sono una conseguenza matematica di un'unica grande legge involvente l'intero universo, la legge di gravitazione universale, da lui scoperta verso il 1665 e di cui Keplero, nell''Astronomia nova e in altre sue opere, aveva avuto una sia pur parziale intuizione. Sgomberato il cielo da ogni residuo orpello e pregiudizio della concezione aristotelico-tolemaica e dai vortici di Cartesio, Newton costruì la sua meccanica assicurando ad essa la massima generalità attraverso la rigorosa formulazione delle leggi (i famosi tre princìpi della dinamica) che ne sono a fondamento e manifestò, rispetto ai suoi predecessori, la sua modernità attraverso l'esigenza, che trova precedenti soltanto in Keplero e Galileo, di collegare il movimento dei corpi alle cause che lo generano e, partendo dalle cause, di predire quantitativamente il loro effetto; una modernità che manifestò inoltre nell'esigenza di assicurare alla sua costruzione un completo fondamento matematico che lo portò, contemporaneamente ma indipendentemente da Leibniz, a porre le basi, nel senso più ampio del termine, di quel ramo della matematica che va sotto il nome di analisi e che ben presto si rivelò, come scrisse Condorcet, « lo strumento più fecondo di scoperte che gli uomini abbiano mai creato », ramo di cui i predecessori — tra i quali vanno ricordati Cavalieri, Torricelli, Fermat, Pascal, Wallis, Barrow — avevano colto soltanto aspetti particolari e risultati parziali. * * Contemporaneamente a Newton, in Germania e in Europa si impone il genio multiforme di Gottfried Wilhelm Leibniz, che, come già si è detto, pose, analogamente a Newton, le basi dell'analisi matematica. La formulazione da lui data è addirittura più agile e moderna di quella di Newton e con essa l'analisi, arricchita successivamente dai fondamentali contributi di Eulero, di Lagrange, dei grandi matematici del Settecento francese, sottoposta a una completa revisione e rigorosa sistemazione da Cauchy nell'Ottocento, perverrà direttamente agli sterminati sviluppi del XIX e XX secolo. Analogamente, ma ancora una volta indipendentemente da Newton, Leibniz analizzò alla luce del movimento i fenomeni della natura e formulò una sua teoria meccanica che fa capo, invece che ai princìpi che sono alla base della concezione newtoniana, a intuizioni e concetti più riposti che, come quello di energia, seppure da lui formulati in modo confuso e applicati non correttamente, anticipano i concetti e i fondamenti del massimo ramo della meccanica che, preso l'avvio dall'opera di Eulero e di d'Alembert, venne sviluppato da Lagrange: la meccanica analitica. Concetti e intuizioni tramite i quali nel Settecento con Maupertuis e con Eulero si andò delineando quel principio che trovò poi, nell'ambito fisicomatematico, la sua formulazione e giustificazione definitiva nella prima metà dell'Ottocento ad opera di William Rowan Hamilton, principio che nella concezione meccanicistica della natura si affiancò alla meccanica di Newton e di Lagrange e che si può tradurre nell'affermazione che la natura si evolve seguendo il cammino di minore fatica. * * Dopo la comparsa, nel 1687, del grande trattato Pbilosopbiae naturali; principia mathematica, forse il più famoso trattato scientifico di tutti i tempi, in cui Newton esponeva la sua meccanica, la scienza inglese, quasi come schiacciata dal peso di tale opera, entrò si può dire in crisi e la grande eredità di Newton, scomparso nel 1727, esattamente duecentocinquant'anni or sono, passò al continente, per unirsi a quella di Leibniz. L'eredità venne raccolta, come già si è accennato, da Eulero, il grande matematico di Basilea che per la mole della sua opera è stato il più fecondo della storia, da Lagrange e dai matematici dell'Illuminismo e della Rivoluzione francese, quali Clairaut, d'Alembert, Laplace, Legendre, che restituirono alla Francia quel primato in campo matematico che Newton le aveva tolto. Più ancora di d'Alembert e di Lagrange, il campione della concezione meccanicistica della natura fu Pierre Simon de Laplace, nato nel 1749 e morto nel 1827, ossia cento anni dopo la scomparsa di Newton, secondo il quale una mente infinita sarebbe stata in grado di predire l'evoluzione della natura per l'eternità qualora avesse ad un dato istante conosciuto la distribuzione dei suoi componenti nello spazio e le loro velocità. Egli è lo scienziato in cui, più ancora che nei matematici suoi contemporanei o che lo hanno preceduto, è sentita l'esigenza di sviluppare e di portare a compimento l'opera avviata da Newton con la meccanica celeste. Frutto di meditazioni sviluppate nell'intero corso della sua vita, il suo poderoso trattato in cinque volumi Mécanique celeste, unitamente al famoso testo Exposition du système du monde, nel periodo in cui apparve costituì, nel campo fisico, la sintesi e il culmine dell'opera di Newton, Eulero, Clairaut, d'Alembert, Lagrange, spaziando dalle ricerche sulla forma della Terra, sulle maree, sulla teoria del moto della Luna, sulle perturbazioni nel moto dei pianeti, al celebre problema dei tre corpi, al grande problema della stabilità del sistema solare e a quello delle sue origini, ponendo le basi, attraverso lo studio dei problemi affrontati, di quella fondamentale parte dell'analisi matematica che va sotto il nome di teoria del potenziale. Arago, nel suo Éloge de Laplace, scrisse: « Cinque matematici — Clairaut, Eulero, d'Alembert, Lagrange e Laplace — si diviselo il mondo di cui Newton aveva rivelato l'esistenza. Essi lo esplorarono in ogni direzione, penetrando in regioni ritenute inaccessibili e scoprendo in queste innumerevoli fenomeni che l'osservazione non ha ancora rivelato, e infine — e in ciò sta la loro gloria imperitura — essi hanno portato entro il dominio di un singolo principio, un'unica legge, tutto quanto ve di riposto e misterioso nel moto dei corpi celesti ». ★ * E' interessante notare come verso la fine del Settecento si fosse diffusa la convinzione che tutto quanto vi è di fondamentale in matematica fosse stato scoperto e che poco sarebbe rimasto da dire in questo campo dai posteri. La ragione di questo pessimismo va vista proprio nella tendenza dell'epoca ad identificare gli sviluppi della matematica con quelli della meccanica e dell'astronomia. A provare l'infondatezza di questa convinzione fu la generazione dei matematici successiva a que'la dell'epoca della Rivoluzione, una generazione che, ricollegandosi ai grandi sviluppi che in quel periodo ebbero le scienze fisiche, portò nuovo vigore e impulso alla matematica. Il rinnovamento questa volta venne dalla Germania, e precisamente da Gottinga, per opera di Cari Friedrich Gauss slscpdcsczoGAssuvdil matematico che contese il pri-imato ad Archimede e a Newton. ; Nato a Brunswick il 20 aprile 1777, cinquantanni dopo la morte di Newton, pare che già prima dei vent'anni avesse maturato le idee che sono alla base della sua immensa opera, sviluppata attraverso un'attività du-1 rata scssant'anni. Aspetto tra i salienti della sua produzione scientifica è l'assoluta esigenza di rigore, un'esigenza che influì su tutti i matematici del suo tempo, al punto che, dopo di lui, la matematica, nelle sue impostazioni e formulazioni, cambiò radicalmente e diventò « diversa » da quella di Newton, Leibniz, Eulero, Laplace, assumendo definitivamente il rango di scienza autonoma. Le sue Disquisilioncs arilmcti cae del 1801 segnarono l'inizio della moderna teoria dei numeri, da Gauss elevata alla dignità di disciplina matematica alla pari dell'algebra, dell'analisi e della geometria; la Tbeoria inotus corporum coelestium del 1809 costituì un grande contributo alla meccanica celeste; le Disquisitiones gcnerales circa superficics curvas del 1827 segnarono l'inizio della geometria differenziale, ossia di quel fondamentale ramo della geometria che ha avuto successivamente immensi sviluppi, in particolare in questo secolo, e che è alla base delle teorie relativistiche. Troppo lungo sarebbe elencare i contributi dati da Gauss alla scienza, perché la sua prodigiosa attività si estese a tutti i campi della matematica, investendo contemporaneamente, oltre la meccanica e l'astronomia, la geodesia e i campi nuovi della fisi¬ ca, come l'elettromagnetismo, di cui pose le basi matematiche. Va detto inoltre che, restio a render note le sue scoperte, tanti suoi fondamentali contributi e risultati non vennero da lui pubblicati, con la conseguenza che la paternità di essi passò ad altri eminenti matematici. Vissuto in tempi in cui Kanl asseriva che Io spazio fisico fosse quello di Euclide e in cui Hegel ironizzava sulla pretesa degli astronomi e dei matematici di scoprire nuovi pianeti, Gauss, come scrisse Martin Brendel, « penetrò con la sua mente nei più profondi segreti dei numeri, dello spazio e della natura, misurò il corso degli astri e la forma della Terra; e precorse di un se- j colo l'evoluzione della matematica ». Muri il 23 febbraio 1855 a Gottinga, dove, insegnando presso quell'Università resa da lui famosa, aveva trascorso la maggior parte della sua vita. A succedergli veniva chiamato LejeuneDirichlet e, nel 1859, Bernhard Riemann, il matematico scomparso appena quarantenne che influenzò quanto Gauss l'evoluzione della matematica e del pensiero scientifico, schiudendo la via alle concezioni einsteiniane che agli inizi di questo secolo sconvolsero la meccanica e, più in generale, la fisica. Dionigi Galletto

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