Leumann, villaggio per lavoratori

Leumann, villaggio per lavoratori SCOPRENDO L'ARCHEOLOGIA DELLA CIVILTÀ INDUSTRIALE Leumann, villaggio per lavoratori Attorno alla fabbrica è sorta negli anni una unità completa con tutti i servizi, la scuola, la chiesa e un ambulatorio Ho già accennato in un primo articolo al fatto che negli studi di archeologia industriale (e nelle prime individuazioni di temi e di monumenti) singoli studiosi e gruppi qualificati italiani non accusano particolari ritardi rispetto al livello internazionale. A tutt'oggi in Europa si sono avuti tre convegni di studio e di confronto, il primo nel 1975 a Bruxelles («Monumenti - Industria - Paesaggio » ) a cura degli «Archives d'Architecture Moderne», il secondo nel 1976 a Le Creusot-Montceaules-Mines — sede del più importante « ecomuseo » francese — ( « Patrimonio industriale e società contemporanea: Luoghi - Monumenti - Musei») con il concorso dell'Icom e dell'Icomos, il terzo, infine, a Milano, dal 24 al 26 giugno di quest'anno, alla Rotonda della Besana, a cura dell'Associazione Italiana dell'Archeologia Industriale. L'Associazione, costituitasi nel 1976 (presidente professor Battisti, delle Università di Calabria e di Pennsylvania; vicepresidente arch. Castellano, del Politecnico di Milano; segretario dott. Dragone, dell'Università di Milano), conta oggi quattro sezioni regionali, la lombarda, la piemontese — facente capo alle facoltà di Architettura e di Magistero —, la veneta — facente capo a Lettere di Padova e ad Architettura di Venezia —, la romana — Lettere di Roma —, cui presto si aggiungeranno l'emiliana e la toscana, facente capo ad Architettura di Firenze. Già questi riferimenti, a diversi ambiti istituzionali e di studi e ricerche, di livello universitario, scientifici e umanistici, sono illuminanti di una « via metodologica italiana », quale viene prospettata da Franco Borsi in un saggio sulla Nuova Antologia del marzo 1976: interdisciplinarietà fra storia sociale, economica, politica, teoria e storia dell'architettura e dell'urbanistica, storia della scienza e della tecnologia, antropologia e ricerche sulla cultura materiale, storia dell'arte come supporto iconografico dei onumenti e dei processi tecnologici perduti (basti pensare alle stupende tavole delVEncyclopédie dedicate al lavoro e alle macchine, su cui si è .soffermato al convegno milanese Carlo Bertelli; necessità di risalire storicamente alla trattatistica architettonica rinascimentale italiana, là dove ancora non esiste, né sul piano teoretico né sul piano pratico, scissione e divisione del lavoro fra «arte» edificatoria, cultura del lavoro materiale, invenzione macchinistica come coadiuvante e razionalizzatrice di quel lavoro; inscindibilità fra « monumento industriale » e storia e caratteri del suo territorio, donde la nozione di « paesaggio industriale » e il recupero dell'originaria sfera territoriale dei primordi della rivoluzione industriale, attinente al mondo agricolo e non a quello urbano; centralità e inscindibilità del rapporto fra catalogazione dei documenti e reperti sussistenti, e problemi di conservazione, ma anche di «riutilizzo sociale», e non solo di fossilizzazione a scopo storico-didascalico. Entro questi parametri si può situare la necessaria rifusione degli aspetti di pura ricerca e catalogazione della «archeologia industriale» in una più ampia prospettiva storica, scientifico-umanistica, di « cultura industriale » come fondamento stesso della nostra attuale cultura, anche sul piano etico. Questa nozione « estensiva », ma storicamente identificata, di cultura industriale traspariva già nel primo fondamentale contributo italiano al tema, l'introduzione di Enrico Castelnuovo all'edizione italiana del libro di Klingender, Arte e Rivoluzione Industriale, Einaudi, 1972. Su queste solide basi metodologiche si sono mosse anche in Italia le prime ricerche specifiche, volte ad identificare emergenze superstiti, il più possibile complesse al di là del singolo «monumento», di momenti e situazioni tipiche lungo un ampio arco storico e territoriale. La preoccupazione metodologica e interdisciplinare non è tanto un «fiore all'occhiello», quanto un mezzo essenziale per proporre alla cultura internazionale certi dati di base che andrebbero perduti in una rigida prospettiva ancorata al parametro della rivoluzione scientifico-tecnologica inglese del secondo '700. Dati di base, storicamente verificaDili: le fabbriche d'armi bresciane del '600, che in certi anni giungono a produrre 100.000 fucili; i « mulini di seta », sempre del '600, organizzati su vere e proprie linee di produzione e su turni di lavoro delle maestranze, che saranno ripresi dai cotonieri inglesi del '7-'800. (C. Poni, All'origine del sistema dì fabbrica: tecnologia e organizzazione produttiva dei mulini da seta nell'Italia settentrionale — sec. XVII-XVIII —, in «Rivista storica italiana» 1976). Dai modi di produzione ai documenti superstiti di iniziative socio-industriali di ascendenza feudale, sul tipo delle manifatture regie francesi e tedesche: gli studi a tutt'oggi più approfonditi ( da parte di due gruppi di lavoro del Politecnico di Milano e della Pennsylvania State University, dal 1971 al 1973) sono stati dedicati alla « colonia » fondata a Vaccheria e f San Leucio presso Caserta ' nel 1789 da Ferdinando IV di Borbone, costruendo due quartieri operai (S. Ferdinando e S. Carlo) intorno a una prima filanda di veli di seta (1776), cui si aggiunsero una di calze (ca. 1790), una tintoria, una conceria (1798), e dettando rigide e minute regole per ogni aspetto pubblico e privato della vita comunitaria. I risultati della ricerca sul complesso, rimasto intatto anche negli strumenti di lavoro (un grande telaio campeggiava nella Rotonda della Besana durante il convegno milanese), furono esposti in una mostra a Milano immediatamente anteriore al convegno, corredata da un ampio catalogo — San Leucio. Archeologìa, storia, progetto — che ampliava il discorso alla politica industriale e territoriale del Reame borbonico, facendo anche riferimento ai grandiosi resti della ferriera d'armi di Mongiana in Calabria. Al decollo industriale vero e proprio, nel senso anglosassone, dell'Italia postunitaria, sono state dedicate ricerche nelle aree tessili biellese, valsesiana, della Lombardia orientale lungo l'Adda, di cui hanno dato conto, in un primo sintetico regesto, A. e M. Negri in «Bolaffiarte» dell'ottobre 1976. Due giovani studenti del Magistero di Torino, Thea e Richetta, stanno approfondendo 10 studio del dinamitificio Nobel presso Avigliana, fondato nei 1872, con villaggioforesteria per amministratori e tecnici, con servizi sociali creati ad Avigliana da dove provenivano le maestranze. In effetti, particolari ricerche sono state dedicate, ancor più che ai «monumenti», ai primi «villaggi operai»; « Nuova Schio » fondata da Alessandro Rossi nel 1870 (F. Mancuso, Schio, " Nuova Schio " e Alessandro Rossi in « Storia Urbana», 2, 1977), Crespi d'Adda, fondata da Benigno Crespi nel 1875, su cui è in corso di pubblicazione un saggio Einaudi a cura di Bossaglia, Gabetti, Olmo, Castronovo, ADriani, De Bernardi, Barbiellini, Barbieri, Danesi. Un ultimo caso esemplare per più sensi è infine presente nella cintura torinese: il villaggio operaio autosufficiente (convitto, scuole, mensa, ambulatorio, circolo, spaccio cooperativo, ufficio postale, chiesa) fondato dall'industriale svizzero Napoleone Leumann nel 1896 intorno al cotonificio sorto nel 1875 nel territorio di Collegno, ai margini della « Strada di Francia ». Dopo la segnalazione e la prima illustrazione di P. Tarano in Piemonte vivo l-'73, e gli approfonditi studi di A. Abriani (L'importanza storica e attuale del Cotonificio Leumann, Collegno - Torino, 1974; « Lorsque l'ouvrier songe à se bien loger, il est sauvé...» in «Lotus» 1975), 11 villaggio Leumann, dopo la chiusura degli stabilimenti nel 1972, ha dato luogo al primo intervento pubblico di salvazione e riutilizzo sociale. In base alla legge regionale di finanziamento n. 27 dell'aprile 1976 («Acquisizione o risanamento di complessi residenziali di interesse storico o culturale»), promossa dall'assessore arch. Rivalta, nel dicembre dello stesso anno il comune di Collegno ha acquistato il villaggio, e ne ha affidato la manutenzione e il risanamento all'Istituto Autonomo Case Popolari di Torino. Marco Rosei hiesa e scuola all'interno del complesso autonomo del centro residenziale-lavorativo di Leumann (foto La Stampa)