La voce del rettore
La voce del rettore La voce del rettore GIOVANNI SPADOLINI Nove novembre 1943. Si inaugura l'anno accademico dell'Università di Padova, il 722" per la cronaca. C'è l'occupazione tedesca, si sta formando, con fatica e non senza profondi dissensi interni al nuovo fascismo, la repubblica sociale; ma Concetto Marchesi, il rettore eletto dal corpo accademico il 1" settembre, negli estremi giorni dell'Italia di Badoglio, vuole che la cerimonia si tenga egualmente, obbedisca alle solenni cadenze del passato, in nome dell'«//fl/ia dei lavoratori, degli artisti, degli scienziati». E' un'orgogliosa riaffermazione dell'autonomia universitaria anche contro l'usurpazione totalitaria, sorretta sui carri armati tedeschi. E' un gesto di coraggio, che rasenta la temerità. Una squadra di militi fascisti è entrata nella gloriosa aula magna, rumoreggia e minaccia, ìl rettore la invita ad abbandonare l'università; gli studenti lo appoggiano. A Padova è il ministro dell'Istruzione di Salò, che è un mite, un moderato, il prof. Biggini. Si vuole evitare lo scontro fisico; i «militi» finiscono per lasciare il palazzo. La voce del rettore si leva alta e solenne, su un'Italia devastata e divisa dalla guerra civile: «In nessuno di voi manchi, o giovani, lo spirilo della salvazione». In realtà Marchesi non resterà come rettore più di qualche settimana; alla fine di novembre dovrà dimettersi, lanciando poco dopo un altissimo messaggio per la Resistenza: «Oggi non è più possibile sperare die l'Università resti asilo indisturbalo di libere coscienze operose». Trentasei anni dopo. Inauguro l'anno accademico, il 756", in rappresentanza della commissione Istruzione del Senato. Il rettore Merigliano, un vero «manager» (un'Università con un attivo di cento milioni: bilancio einaudiano), evoca quella giornata, abbozza un parallelo fra l'Italia del '43 e l'Italia di oggi, auspica uno «spirito di salvazione» capace di pre¬ servare insieme l'avvenire dell'università e della democrazia. E' un richiamo agghiacciante. Ma il solo fatto che sia possibile induce a riflessioni più che amare. Padova è una grande città universitaria. 60 mila studenti (contro gli ottomila di Marchesi), una tradizione illustre, sempre rinverdita, laboratori che funzionano, la ricerca tecnologica avanzata, un filo costante fra umanesimo e scienza. E' una Università non ripiegala sul passato, ma aperta sul futuro. Il monito di Marchesi è ancora attuale. Marxista da sempre, socialista prima e poi comunista con una scabra e inflessibile coscienza morale, l'antico rettore di Padova non piegò mai al vento della demagogia o del populismo. Alla Costituente fu relatore per l'Università insieme con Aldo Moro: un accostamento che mi è caro ricordare nell'ateneo padovano. Difese strenuamente l'autonomia degli atenei e fu il padre dell'articolo 33, comma 6 («Le istituzioni di alta cultura, le Università e le accademie, ecc.»). Nel dibattito alla sottocommissione dei 75, rivendicò il valore della formazione dello studente, contro ogni infatuazione giovanilista: «E' necessario fare dello studente un cittadino che compia una pubblica funzione a vantaggio di tulli, quella di istruirsi, per rendere socialmente valida la propria capacità intellettuale». Sul Politecnico del povero Vittorini, nel novembre 1945, sottolineò il significato della selezione. «La scuola dovrà essere educatrice e severa selezionatrice dei valori individuali:... gli insegnami debbono a loro volta essere educati e selezionati». Ancora alla Costituente, si batté perché fosse approvato l'emendamento: l'istruzione superiore è aperta «solo ai capaci e meritevoli» Cadde il «solo» ma rimasero i capaci e i meritevoli. Quando la contestazione attacca la «meritocrazia», dimentica Concetto Marchesi.
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