Enciclopedia dell'ignoranza
Enciclopedia dell'ignoranza Enciclopedia dell'ignoranza Come si legge su Time, la Pergamon Press ha pubblicato una Enciclopedia dell'Ignoranza: un grosso libro, nel quale eminenti scienziati indicano, ciascuno per il suo campo, quel ch'essi non sanno, o meglio quel ch'essi sanno di non sapere. Se il libro avrà successo, forse tra un po' di tempo ne sarà fatta un'altra edizione. Sarà, questa, ampliata o ristretta? Poiché la scienza avanza, parrebbe che, ad ogni nuova scoperta fatta nel frattempo, dovesse venir cancellata una voce dell'enciclopedia. Non sarà così: chi ha un po' di esperienza con la storia delle scienze, sa che, per ogni scoperta fatta, cresce il numero degli interrogativi. Immaginiamo infatti che l'idea di una tale raccolta fosse venuta, in età romana, a lui Plinio il Vecchio (il quale, a suo modo, fu un enciclopedista). Molte delle domande formulate oggi egli non le avrebbe manco pensate. Per esempio, questa: come si formano le galassie? Non si sapeva allora che ci fossero galassie. Neanche quest'altra: perché le specie si estinguono? Nulla si pensava allora della nascita, evo¬ luzione e morte delle specie. Noi, al tempo nostro, siamo alle prese con le particelle subatomiche. Esse allora non c'erano; anzi, la stessa locuzione «particella subatomica» avrebbe fatto orrore a un filosofo antico: come si può pensare a una parte di quel che è, nello stesso nome, definito indivisibile? Altri interrogativi sui quark (i veri atomi di oggi), sulla fissione, sulla fusione nucleare, non sarebbero potuti figurare nella pliniana enciclopedia dell'ignoranza. In realtà al termine «ignoranza» si possono dare due significati. Può esso indicare la somma di tutto quel non si sa, perché non è mai stato pensato (è, questo, l'oceano immenso del reale, di cui — com'ebbe a dire Newton — lo scienzato, dalla riva, raccatta appena qualche ciottolo più lucente o qualche conchiglia). Oppure con quel termine si indica la somma delle domande che sono state poste e che non hanno avuto risposta: la quale somma cresce, col crescere delle conoscenze e dei corrispondenti oggetti. C'è, alla radice delle domande che gli scienziati si pongono e delle risposte che sono in grado di dare, una presenza importante: la parte che al patrimonio scien- j tifico e all'estensione della nostra ignoranza spetta al linguaggio. E difatti, ogni volta che ci imbattiamo in un oggetto o in un concetto nuovo e diamo ad esso un nome, subito sorge l'interrogativo sulle connessioni di esso (oggetto - concetto - nome) con gli altri (oggetti concetti - nomi) dell'Universo: altrettanti germogli, nascenti insieme, di quella conoscenza e di quella ignoranza che abbiamo veduto essere inscindibili. Qualche volta ci sono il concetto e il nome, ma non l'oggetto: come già fu per il flogisto e forse adesso è per i quark; o manca il nome e allora lo si inventa, com'è avvenuto per le antiparticelle; ma se manca il concetto non c'è più niente. Il fatto è che noi, per costruire la scienza, non possiamo esimerci dall'adoperare lo strumento del linguaggio. Con ciò si rivela un apparentamento abbastanza stretto tra scienza e filologia: un antico ponte tra le due culture. Didimo
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