Poco, quasi niente di Luigi Firpo
Poco, quasi niente Cattivi pensieri di Luigi Firpo Poco, quasi niente Il rito notturno di Bontà loro si stava consumando secondo il cerimoniale consueto, in una serata non particolarmente felice, Maurizio Costanzo, appollaiato sullo sgabello, era il solito gattone soriano: soffice palla dalla quale di tanto in tanto guizzano sguardi umidi di nera perfidia, unghiate di premeditata ironia. Gli ospiti erano male assortiti Lina Wertmuller, bruttina e verbosa, faceva rimpiangere le cose che sa dire tanto meglio con l'obiettivo, della sua intelligenza nessuno dubita, ma per metterla in risalto non c'è bisogno di vestirsi da scema con gli occhialini bianchi e un intero mucchio di anelli, collanine e stracci. Per un lungo tratto della trasmissione è sembrato che solo un bavaglio, un cuscino, riuscissero a farla tacere, anche quando gli altri erano interrogati; poi s'è spenta come un ceririo consumato, con generale sollievo. Bruno Storti non è fortunato: non dico di carriera, che anzi la sua ricorda la marcia trionfale dell'Aida, ma nell'immagine che rende di se stesso. L'antipatia che riesce a ispirare è così densa, che ispessisce l'aria: in certi momenti suscita addirittura un senso di intolleranza fisica. Tuttavia non gli è mancato un tocco di alto umorismo involontario, quando s'è rivolto al terzo ospite, l'operaio torinese Nunzio Visentini, per osservare che il suo abbigliamento (un normale vestito con giacca e cravatta) era molto elegante rispetto alla sua condizione sociale. Colpevole di non essersi presentato in tuta blu e maglione, il signor Visentini ha superato, con qualche imbarazzo dapprima, poi con sufficiente padronanza, l'impatto con le telecamere; ha parlato delle sue origini nella Bassa Padana, del babbo falegname, del trapianto a Torino con i fratelli, della moglie «straniera» di Cuneo (tenga duro, cara signora, gli insegni il piemontese!), del grigiore ripetitivo della vita di fabbrica: levatacce prima dell'alba, assordante frastuo- no. paghe livellate, monotonia. Con scarsa naturalezza e prevedibili esiti retorici ha poi posto a Storti la domanda pre-confezionata sulle ragioni del suo «abbandono della lotta» sul fronte sindacale per passare all'Alto Comando di retrovia del Cnel. E con ciò la seduta sembrava avviata a concludersi senza impennate, abbastanza stancamente, quando Costanzo ha fatto appello all'ultima risorsa: la domanda suggestiva e di sicuro effetto: «Cosa c'è dietro l'angolo?». E' una domanda che solletica i convenuti e interessa il pubblico: tutti amiamo sfogare i nostri estri nel profetismo spicciolo del Vestaverde e del Barbanera: tutti amiamo compiere un piccolo salto gratuito nell'irrazionale; tutti cerchiamo nella previsione altrui conferma delle nostre speranze o delle nostre paure. E il perfido Maurizio sa che le sue vittime, dopo aver parlato di sé con tanto auto-controllo, si tradiscono completamente quando sono chiamate a svoltare dietro quell'angolo buio. Beìie, l'altra sera, probabilmente impreparato (se la battuta era predisposta, Costanzo, che l'accolse sorpreso e pensoso, è il principe dei simulatori), Visentini lia dato a questa doman¬ da una risposta stupenda: una risposta scarna, dimessa, vorrei dire contusa, ma sulla quale tutti dobbiamo riflettere. Per lui. ci ha detto questo personaggio cosi simile a tanti di noi, rispetto a ciò che la vita oggi gli offre, rispetto a ciò che egli è, come persona, l'avvenire sembra offrire ben poco, «quasi niente». Può un uomo vivere senza aspettative, timori, ansie, speranze? Per me, la risposta è no, se non si vuole che diventi un esasperato distruttore o un automa rassegnato. Una volta, la gente sapeva che il tipo di lavoro o lo scatto della paga non sono tutto. Forse il signor Visentini non sa tener conto del fatto che ogni settimana egli deve dedicare una cinquantina di ore al sonno, meno di quaranta alla fabbrica, ma che altre ottanta gliene restano per sua moglie, suo figlio, la sua casa, gli amici, un buon libro, un passatempo, tutte cose che possono arricchire l'avvenire. Ma l'identificazione dell'uomo con il suo lavoro, malgrado il disamore di cui tanto si parla, dev'essere ancora decisiva, se l'alienazione dell'officina, l'assenza di gratificazioni morali e di incentivi, l'impossibilità di carriera o anche solo di mutamento, generano questa abulia triste: la prospettiva di lunghi anni grigi, faticosi, senza lume, destinati a sfociare in una vecchiaia precoce, nella pensione meschina, nella morte. Allora la pena dei giorni uguali, i mali, le contrarietà, i dolori sembrano una sequela opprimente, ingiusta perché senza contropartita, un lungo pedaggio doloroso che si è costretti a pagare come dannati a un inutile vivere. Di questo bisognerà tener conto, in tutti i sensi: non solo migliorare le condizioni di vita dei più ma assicurare a ciascuno spazio di emulazione, prospettive di promozione, possibilità di emergere grazie alle proprie risorse e al proprio impegno. Frammezzo a mille difficoltà l'uomo ha mostrato di saper sopravvivere: l'unica che può annientarlo è la morte della speranza.
Persone citate: Barbanera, Bontà, Bruno Storti, Lina Wertmuller, Maurizio Costanzo, Nunzio Visentini, Storti, Visentini
Luoghi citati: Torino
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