VIAGGIO NELLA GRECIA DA TRE ANNI SENZA COLONNELLI di Mimmo Candito

VIAGGIO NELLA GRECIA DA TRE ANNI SENZA COLONNELLI VIAGGIO NELLA GRECIA DA TRE ANNI SENZA COLONNELLI Quando il turco atterrerà ad Atene Dopo la missione di Sadat a Gerusalemme sembra imminente quella del primo ministro Ecevit nell'ex capitale nemica (Dal nostro inviato speciale) Atene, gennaio. Dicono che la Storia non ripete, ma certo qualche eccezione deve pur esserci se il viaggio di Sadat in Israele sta per avere una clamorosa copiatura su quest'altra riva del Mediterraneo. A prendere l'aereo e sbarcare in terra nemica sarebbe, ora, il nuovo premier turco, il poeta-guerriero Bulent Ecevit; e a riceverlo all'aeroporto Helleniki andrebbe il primo ministro greco Constantinos Caramanlis. Tra i due non ci sono le lunghe incomprensioni e la guerra dichiarata che divide arabi e israeliani; il viaggio avreb be meno rilievo e stupore di quello novembrino a Gerusalemme. Ma non è solo il fascino della similitudine a rendere omaggio alla trasvolata dell'Egeo, se veramente si farà: tra Ankara e Atene si è arrivati ad appena un passo dallo scontro armato sul continente, e lo stato di allerta delle truppe — sebbene ufficialmente rientrato — tiene ancora centomila uomini ammassati ai confini di terra e di mare tra i due storici «nemici». Con l'Urss che resta a guardare molto interessata, e generali della Nato che sperano tanto negli incontri «segreti» organizsati da Luns tra le due parti. Il negoziato su Cipro e sulla piattaforma continentale dell'Egeo trascina da due anni le tappe dei rinvìi: i messi tecnici e politici si ritrovano, si scambiano le loro proposte, ripetono le posizioni consuete, poi si danno il nuovo appuntamento. E tutto continua a girare a vuoto. La frattura è politica, ma dietro ci stanno umori e risentimenti che il nazionalismo riattacca a memorie secolari, della dominazione ottomana o del primato ellenico. In un cam Po che si svela così delicato la diplomazia tradizionale non può che essere impotente. Waldheim sta cercando di ricucire con un paziente lavoro super partes il filo del compromesso, e la settimana prossima sarà qui ad Atene dopo aver incontrato già Ecevit e Kyprianu. Ma un colpo «alla Sadat» creerebbe in più, forse, quel clima di fiducia reciproca che finora è mancato. Nel contenzioso greco-turco tutto si lega, ma le posizioni hanno un singolare andamento speculare: sulla questione dell'Egeo è la Grecia ad «avere» e la Turchia a rivendicare, mentre per Cipro l'esercito della mezza! luna sta acquartierato su territori che sono i greci (o i greco-ciprioti) a rivendicare. Apparentemente, la partita è a due; in realtà il gioco è assai più complesso: non solo perché deve tener conto — almeno formalmente — d'un terzo Stato indipendente e sovrano qual è Cipro, ma anche e soprattutto perché coinvolge l'equilibrio politico-militare dell'intero sistema di confronto Usa-Urss nel Mediterraneo. La porta dei Dardanelli sta stretta da sempre alla flotta dell'Unione Sovietica, e il pronto concentramento di truppe bulgare al confine settentrionale greco nei giorni della crisi dell'Egeo ha riproposto l'antica ambizione dì Sofia a un corridoio fino al mare. Nelle notti di due estati fa, i carri armati turchi in postazione sull'altra riva dell'Evros tenevano i motori sempre accesi, come se fossero sul punto di varcare la frontiera. La Marina militare mobilitava i suoi uomini e muoveva verso le isole del Dodecanneso, per bloccare il «Sìsmik» e fronteggiare i 120 mila soldati tur- chi pronti a imbarcarsi sulla costa. Il confronto militare era pura follìa: i soli marines di Ankara erano quanto l'intero esercito greco, la sconfitta di Cipro si riproponeva senza speranze di possibili alternative. Ma proprio il ricordo di Cipro e una fiammata di orgoglio nazionale spingevano la tesi della rivincita e «l'onore da difendere». La storia del nazionalismo greco è lunga almeno quanto quella del nazionalismo turco, e il confronto tra due passioni lascia poco spazio al recupero della razionalità. Dice Caramanlis: «Se c'è un'altra provocazione, i greci non saranno più tolleran ti. Né lo sarà il loro primo ■ ministro». A salvare la siI inazione furono allora VOnu e gli americani: il primo, i proponendosi come valvola I di sfogo politico e diplomal tico della guerra di parole j già in atto tra i due paesi; I Washington, facendo pesare 1 la cifra sostanziosa dei suoi I aiuti militari e la minaccia : d'un boicottaggio senza mez; ze misure. La minaccia, in verità, era mossa più verso Ankara che verso Atene; e veniva più dal Congresso che dall'amministrazione Ford. Già al tempo dell'invasione di Cipro, una Camera americana a forte maggioranza filoellenica aveva imposto il taglio di ogni military aid (e Ankara aveva risposto ri- prendendo il controllo delle 26 installazioni statunitensi su territorio turco); ma i risentimenti greci verso il sostegno dato dagli Usa ai colonnelli golpisti non potevano essere placati da questa sola azione del Congresso e Caramanlis aveva abrogato i diritti d'assistenza della marina americana nei porti greci recidendo anche i vincoli militari con la Nato. Le ricerche petrolifere della «Sismik-1» avevano poi riaperto lo scontro, ritrovando i due avversari su posizioni immutate: il Congresso era ancora intervenuto bloccando ogni credito alla Turc'uia, cui veniva concesso solo di acquistare — ma a contanti — attrezzature militari per 125 milioni di dollari. Alla rigidità turca sul problema cipriota corrisponde da allora l'intransigenza greca sulla cjuestione dell'Egeo. Ma non c'è dubbio che, nella partita, chi sta meglio piazzata è la Turchia: 1) ha, con i suoi 500 mila uomini, una forza militare nettamente superiore, seconda in Europa solo alla Francia; 2) la sua importanza strategica, a cerniera tra l'Urss, il Mediterraneo e il Medio Oriente, appare di maggior peso nelle preoccupazioni militari della Nato e del Pentagono; 3) la schiacciante vittoria militare a Cipro la pone in condizioni di trattare da posizione di forza, potendo negoziare una larga disponibilità territoriale; 4) la sua diplomazia si rivela assai più abile di quella greca, e in tre anni è riuscita a mantenere in vita una trattativa difficile senza concedere praticamente nulla all'interlocutore. Ha una sola autentica «debolezza»: la drammatica gravità della sua crisi economica, che le impone a brevissimo termine un sostanzioso intervento del Fondo monetario. Su questo, si dice, puntano molto gli Stati Uniti e le speranze della Grecia, per convincere il governo di Ankara a una «ragionevolezza» altrimenti non ottenibile. Quali probabilità ci sono? Fino a un mese fa non erano poi moltissime: il governo Demirel era largamente condizionato dal revanscismo musulmano delle sue componenti nazionalistiche, e i segni di disponibilità provenienti dal ministro degli esteri Caglayangil erano piuttosto labili. L'arrivo di Bulent Ecevit può cambiare le cose: anche se il nuovo premier è l'uomo che lanciò nel '74 l'attacco su Cipro, una sua propensione a sfruttare emotivamente il nazionalismo per scaricare oltre frontiera i problemi economici appare poco probabile (ed è buon segno che mostri di ritenere sua «riserva personale» la politica estera). Ecevit sta per presentarsi al voto di fiducia del Parlamento, e si muove con comprensibile cautela. Ma già non mancano i cenni d'una nuova volontà di negoziare: comprese le indiscrezioni su questa seconda «trasvolata della pace». Resta comunque il problema delle concessioni che Ankara è disposta a fare. Nessuno dubita che tanto Ecevit quanto Caramanlis siano poco disponibili a manie espansìoniste, o tentazioni di ultranazionalismo; ma la realtà del contenzioso che li riguarda da tre anni dice che, finora, chi ha ceduto è stata sempre la Grecia. Una ripresa «realistica» della trattativa di pace è legata a un qualsiasi gesto turco che consenta al governo di Atene davvero di salvare la faccia, sia sul problema di Cipro sia sulla questione dell'Egeo (l'ultima manifestazione della fragilità dell'intransigenza verbale ellenica sta nel limite delle acque territoriali: Caramanlis ha minacciato di portarlo da sei a dodici miglia, com'è suo diritto, e Ankara ha risposto che lo avrebbe considerato un atto di aggressione. Il limite è ancora oggi a sei miglia). Se questo «gesto» ci sarà — il volo ad Atene, per esempio, oppure l'iniziativa d'una proposta d'incontro al vertice tra i due premier — è molto probabile che la soluzione dei due problemi in sospeso venga affrontata parallelamente, se non congiuntamente. La loro connessione più manifesta non nasconde comunque il collegamento politico più profondo: lo scacchiere sudorientale della Nato e l'interesse americano a una definizione dei suoi rapporti con questi due paesi, una volta che la situazione politica italiana mostra altri segni di tensione e d'instabilità. Il nuovo accordo di difesa turco-statunitense è stato congelato dal Congresso nel marzo '76, e il trattato greco-americano ha avuto solo una firma procedurale nel luglio dell'anno scorso ma manca della ratifica parlamentare. Un recente rapporto de! «Research Service» al Congresso ha analizzato molteplici varianti all'attuale equilibrio politico - militare con l'Urss nel Mediterraneo: alcune di queste varianti tenevano anche conto dei due nuovi patti bilaterali con Grecia e Turchia. Waldheim dice che questo suo viaggio «è già molto promettente»; a seguirlo con interesse ci sono comunque molti occhi, dentro e fuori del Mediterraneo. Mimmo Candito Bulent Ecevit, il primo ministro turco (Foto Grazia Neri)