Lettere famigliari

Lettere famigliari Lettere famigliari IX La storia di Claude Gabet può sembrare un'avventura d'altri tempi, oggi irripetibile, ed invece in famiglia ne abbiamo un'altra per qualche verso analoga, dei nostri giorni. 11 generale di brigata dei carabinieri Mario Benedicti, un mio cugino che discende come me dalla bisnonna Annetta Durando, lasciala la carriera delle armi si fece frate benedettino il 21 marzo 1964 e fu ordinalo sacerdote il 4 novembre 1967. Ne hanno parlato i giornali come di un fatto straordinario, ma in casa nostra le conversioni dalla vita civile o militare alla ecclesiastica non fanno meraviglia. Mario lo avevo conosciuto quando lui era giovanissimo tenente, poco dopo la fine della prima guerra mondiale. Era stato sulla Bainsizza e sul Giappa, ferito in un combattimento sul monte Pertica, e si era meritato una medaglia di bronzo. A guerra terminata venne a trovarci a Roma dove papà era tenente colonnello comandante in seconda del collegio militare. Quel cugino mi apparve una persona molto distinta. Si presentava in casa nostra — abitavamo in via della Lungara 76, un modestissimo alloggio di servizio — in tenuta impeccabile e rispettando anche in famiglia le norme di conte¬ gno prescritte dal signorile regolamento militare di allora: «Si entra nella sala da ricevimento con il guanto sinistro infilato. Sarebbe sconveniente entrare con entrambi i guanti calzati, dato che la mano che deve stringere quella della padrona di casa deve essere nuda. Si farà un leggero inchino a poca distanza dalla porta, poi ci si dirige verso la padrona di casa, che si saluta inchinando leggermente il capo, stringendole la mano, se questa ci viene offerta e, se lo si crede opportuno, baciandogliela. Bisogna cercare di sedersi con garbo, e, seduti, non si tengano le ginocchia allargate né si appoggino le braccia sugli schienali delle sedie vicine. Se si sta in piedi, il berretto deve essere tenuto in mano e la sciabola agganciata al fianco, in modo che non dia fastidio». Mario si atteneva a queste norme con molto scrupolo, anche se papà lo esortava a mettersi fra noi — come suol dirsi — in libertà. Mi dava l'impressione di essere un po' rigido, e lo chiamavo per ridere Pupino benedettino, non perché mi potessi immaginare la sua futura vocazione di frate Osb — Orilo Sancii Benedicti — ma per facile derivazione dal suo cognome e con riferimento al suo aspetto che a vent'anni restava quello di un fanciullo appena cresciuto. La novità libraria del momento era // notturno di D'Annunzio che aveva molta presa sull'animo dei giovani di allora, e Mario un pomeriggio domandò a mio padre se lo avesse letto, che cosa ne pensasse. «No — rispose papà — per me è inaccessibile». Mario sorrise gentilmente: «Non credere, l'ho Ietto e l'ho capito io senza nessuna difficoltà». «Ma che — disse papà che per il piccolo stipendio e la famiglia numerosa non si permetteva spese in libreria — è inaccessibile per il suo prezzo». Questo dimostra che Mario non mancava di curiosità letterarie, anche a riguardo di autori «satanici» come D'Annunzio; culturalmente era spregiudicato. Poi lo rividi in Africa Orientale, uomo fatto, capitano in una delle quattro bande di carabinieri che avevano conquistato Gunu Gadu nell'Ogaden dopo un'aspra battaglia di due giorni (24 e 25 aprile 1956). «Bande carabinieri hanno avuto ieri at Gunu Gadu battesimo fuoco scrivendo nuova pagina gloria storica arma», aveva telegrafato Graziani, e .Mario che in combattimento si era meritata una seconda medaglia di bronzo al valore, rideva un po' di quella prosa: «Battesimo del fuoco? Non direi che i carabinieri fossero finora dei novellini, come sembrerebbe dal bollettino di Graziani». A quell'incontro a Addis Abeba, nell'inverno del 1956. c'era anche Umberto mio fratello, tenente dell'undicesimo alpini divisione Pusteria, che arrivava dal torrente Minna dove «coraggiosamente, con slancio e capacità» aveva guidato il suo reparlo «all'assalto di posizione follemente difesa, conquistandola e fugando l'avversario». Sottotenente di artiglieria da campagna, io ero invece reduce da operazioni nel territorio dei Calla e Sidamo, dove avevo mostrato «in ogni coniingenza, alto senso del dovere, cosciente ardimento e sereno sprezzo del pericolo». Però, per quanto tutti e tre fossimo guerrieri provati e decorati di fresco, in quell'incontro di fratelli e cugini non si parlò di battaglie. Dopo la piccola ironia sul bollettino di oraziani, Mario girò la conversazione su altri temi, perché la sua eleganza stava nel principio che quando uno ha fatto il proprio dovere nel migliore dei modi, poi non ne parla. Eravamo nella caserma dello squadrone dei carabinieri a cavallo, fra gli eucalipti, e passeggiavamo composti torno torno ai Campetto ostacoli, dove a Mario sarebbe piaciuto che ci misurassimo in un concorso ippico a misura famigliare. Ma non in¬ sistette nella proposta, forse perché sapeva che avrebbe vinto lui. Umberto ed io eravamo vestiti con sahariane di quella rozza tela detta Massaua, ormai tulta sciattata, calzavamo stivali malandati, e ho l'impressione che fossimo un poco goffi tutti e due. Soltanto Mario era lindo e ineccepibile, di che io volli complimentarlo domandandogli se anche nell'Ogaden gli era riuscito tenersi cosi in ordine. Rise brevemente, come usava, e mi rispose: «Dovevo pur salvare il mio decoro di ufficiale, laggiù. Non hai mai visto i somali dubat in combattimento? Sempre puliti e immacolati dal turbante allo scic.urna. Eppure nel deserto non ci sono lavanderie». Si baueva leggermente gli stivali col frustino, ma non era per toglierne la polvere rossa di Addis Abeba, né le pillacchere di pula sollevate dagli zoccoli dei cavalli nel maneggio da dove eravamo usciti. Quelle che erano schizzate avevano inzaccherato Umberto e me, non lui che aveva conservato lucidissime le belle calzature, e chi sa come mai. Questo cugino Mario, il Pupino benedettino della mia infanzia, adesso mi sembrava un modello di contegno controllato, un po' severo per i miei gusti, e che a me dava soggezione anche perché lui era molto alto e molto magro, e così impersonava il mio ideale di decoro maschile. A suo favore stava anche la condizione di possidente nella campagna di Niella Tanaro; piccolo possidente, in verità, ma di terre nobili nella storia, come

Persone citate: Benedicti, Claude Gabet, D'annunzio, Graziani, Ietto, Mario Benedicti

Luoghi citati: Addis Abeba, Africa Orientale, Massaua, Niella Tanaro, Ogaden, Roma