Torinese la bionda Chaterine?

Torinese la bionda Chaterine? INFERMIERA DI HEMINGWAY IN "ADDIO ALLE ARMI Torinese la bionda Chaterine? Ho letto subito, con estremo interesse, il servizio speciale del prof. Giovanni Cecchin, pubblicato sulla Stam-pa del 22 dicembre scorso e intitolato: Hemingway soldato in Italia. Cecchin insegna in un liceo torinese, ha insegnato e studiato in Irlanda, in Inghilterra e negli Stati Uniti. Si è specializzato su Hemingway. Ila pubblicato, tra l'altro, una Guida alla lettura di Hemingway. E Questo suo lungo, dotto, appassionato articolo, esempio impareggiabile di nutrita filologia, ha per base l'esame di un racconto ancora inedito di Hemingway, lettere inedile di Hemingway e di suoi amici, un Rapporto Ufficiale dell'American Red Cross, 191!), ritrovato dal Cecchin a Roma, le Memorie di Dos Passos, la storia della Croce Rossa americana in Italia di Charles M. Bakewell, ecc. e inline, o soprattutto, una vasta e meticolosa ricerca nel Veneto, tra Schio e Bassano, dove Hemingioay si trovò nel 1918, arruolato in una sezione delle ambulanze americane. Cecchin ha compiuto un sopralluogo paziente, accanito, inesorabile: è riuscito n trovare alcuni vegliardi, signori o contadini, che avevano bevuto con Hemingway, e ha raccolto altre notizie sull'episodio della sua ferita t basso Piave, 8 luglio 1918) e del suo ricovero prima all'ospedaletto di Treviso e poi all'Ospedale della Croce Rossa Americana a Milano... E' qui, all'ospedale di Milano che. in Addio alle armi, sboccia l'amore tra Henry, l'alter ego di Hemingway nel romanzo, e Catherine Barkley, l'infermiera angloscozzese: l'amore in cui svolta e si conclude tragicamente la narrazione: Catherine muore di parto. Nella realtà, il 18 ottobre 1918 Hemingway, che voleva assolutamente tornare al fronte, scappa dall'ospedale, raggiunge Schio, poi Bassano, poi Cittadella, dove si sbronza, si ammala, e poi è rimandato all'ospedale a Milano... Nulla c più lontano dalle mie intenzioni quanto mettere in dubbio i risultati dello studio di Cecchin. Piuttosto, non resisto al bisogno di chiedere a Cecchin che cosa pensi, lui, di una strana serie di affermazioni che troviamo nella biografia di Hemingway scritta dal suo amico A. E. Hotchner. Hotchner è insieme a Hemingway nell'ultimo sog¬ giorno italiano: lo accompagna in macchina da Venezia a Milano, a Torino, a Cuneo. Ne riferisce parola per parola i discorsi, è probabile che abbia preso appunti. « I romanzi », dice improvvisamente Hemingway a Hotchner durante la traversata di Torino, « i romanzi si inventano, ma quello che conta è da che cosa si parte per inventarli. I veri romanzi devono scaturire da tutto ciò che uno ha conosciuto, visto, sentito, imparato... ». Apprendiamo cosi che in realtà l'ospedale dove Hemingway fu ricoverato nel 1918 non era a Milano, come nel romanzo, ma a Torino: attraverso le parole stesse di Hemingway Hotchner rivela che Catherine non è, come appare nei capitoli 3 e 4 della prima parte del romanzo, una ragazza anglo-scozzese, ma torinese ] pura: «Ciò che il sottolej nenie Henry prova quando ' Catherine Barkley si scio[ glie i lunghi capelli biondi e quando si infila nel suo letto di ferito, fu inizialmenI te inventato da quella ragazza di Torino. Non l'ho copiato da lei. Fu inventato da lei ». Queste testuali parole di ! Ernest Hemingway, le tra| dussi dodici anni fa, quan| do pubblicai in un quotidiano un articolo su questo stesso argomento. Ma oggi, purtroppo, non ho più il libro: l'ho imprestato non ricordo più a chi. Chiedo al filologo Cecchin: è fededegna la rivelazione di Hotchner? E chi era, esattamente, il modello di Catherine Barkley? Analizzando le sue invenzioni, visceralmente riprese e sviluppate da Hemingway, non possiamo dubitare che l'infermiera torinese fosse « di buona famiglia », dell'alta borghesia cittadina o dell'aristocrazia, appunto come molte volte erano a quell'epoca le infermiere della nostra Croce Rossa: un'aristocratica anche lei, come l'eroina veneziana dell'ultimo romanzo di Hemingway, Attraverso il fiume e di là dagli alberi. Ma che cosa è accaduto in questo mezzo secolo a Catherine Barkley? Che cosa le impedisce di rivelarsi? Così, dodici anni fa, chiudevo il mio articolo. Dopo due giorni, allora ricevetti all'indirizzo del quotidiano, una lettera da Torino, scritta con elegante e antiquata calligrafia fem- minile. Trascrivo con alcune omissioni: Signor Soldati, La ragazza di Hemingway mi ha colpita per circostanze strane vissute .a me un po' prima del 1920 quando ero capo delle infermie.e volontarie all'Ospedale Mauriziano di Torino. Allora una ragazza Maria, molto bionda, amò un ufficiale americano ammalatosi di broncopolmonite. Era uno scrittore, anzi faceva poesie per la sua innamorata, si chiamava Ernesto e poi, dopo parecchi mesi di permanenza a Torino, non si seppe più nulla. Ma io tenni a battesimo un figlio, Ernesto, la cui rassomiglianza mi colpi quando vidi dopo tanti anni varie fotografie dello scrittore americano... La mia infermiera ebbe molti guai con la sua famiglia. Ma il figlio esiste, è un ottimo avvocato, e se Lei lo vedesse si stupirebbe per la rassomiglianza con Hemingway giovane. La madre è ammalata e certo non saprà del Suo grido, né io oserei ricordarle il tempo della sua affannosa giovinezza. Ho delle fotografie della piccola infermiera di allora e del mio figlioccio da ragazzo. Se La interessa mi faccia un accenno sul giornale e Le manderò il mio numero telefonico. Voglio rimanere anonima perché tanto tempo è passato, non seno quasi più in relazione con l'avvocato e anch'io sono vecchia e stanca. Cordiali saluti. La lettera era firmata soltanto con delle iniziali. Feci l'accenno richiesto sul I quotidiano dove scrivevo, ma non ebbi più risposta. Dirò che la lettera non mi aveva convinto completamente. Pensavo a un trucco, a una mitomane. Ma adesso, riflettendoci, proprio il fatto che la capo infermiera non mi abbia più risposto mi convince del contrario. Sui rapporti tra la realtà I e l'elemento autobiografico \ di un romanzo, ho letto recentemente un libro di capitale importanza: Conrad's Eastern World, Il mondo orientale di Conrad: di Norman Sherry, professore di \ inglese all'Università di Lancaster. E' una lunga opera, ricca di note, appendici, mappe, illustrazioni, documenti, eseguita con lo stesso metodo rigorosamente filologico di Cecchin. Sherry è stato a lungo a Singapore e nel Borneo, a Berau, controllando sul posto, episodio su episodio, i fatti reali che hanno stimolato la fantasia di Conrad in Lord Jim, La follia di Almayer, Il reietto delle Isole, La fine della catena, La linea d'ombra. Il compagno segreto. Naturalmente, tutti i romanzieri si ispirano in qualche modo alla realtà. Ma per alcuni di essi la realtà è soprattutto nelle idee, nei sentimenti, tutt'al più nei personaggi: il resto, i fatti e specialmente l'ingranaggio dei fatti è fantasia. Altri invece, per esempio James, Conrad e lo stesso Hemingway, sembrano ancorarsi alla realtà anche nell'invenzione dei fatti. James, nei suoi Notebooks, chiama queste ispirazioni germs, germi. Ma qual è il limite del rapporto? In qual modo lo scrittore avverte, in ciò che gli accade o sente raccontare o legge su un quotidiano, il germe di una novella o di un romanzo? Nella prefazione a Setto gli occhi dell'Occidente, Conrad enuncia solennemente un principio sacrosanto: « Soltanto il vero può giustificare qualsiasi racconto o romanzo che pretenda minimamente a qualità d'arte o speri di trovare posto nella cultura degli uomini e delle donne del sr.o tempo ». Se, ora, partendo dal postulato di Conrad, esaminiamo le opere di Conrad adottando il metodo filologico di Sherry, e di Cecchin, dobbiamo concludere che il vero di un romanzo non consiste mai nella fedeltà con cui lo scrittore riproduce paesaggi e fatti reali — e neppure nella soluzione opposta, neppure cioè nell'infedeltà con cui li utilizza riinventandoli e trasformandoli fino a architettare una storia: ma piuttosto nella vibrazione misteriosamente vitale che comunica a un personaggio, a un paesaggio, a un fatto ogni volta che, leggendo, ci diciamo: come è vero! Proviamo dunque a analizzare quella vibrazione! Ci accorgeremo che il vero oscilla come a mezz'aria tra la realtà e la narrazione, appartenendo a tutt'e due insieme. Scopriremo infine che, nella confusione della realtà e nell'architettura della narrazione, il vero coincide con la scelta rischiosa, affascinante, decisiva, di un elemento nascosto e imponderabile che però sembra all'autore più importante di tutti gli altri elementi e che. apparso nella realtà, torna nella narrazione identico: quintessenza liberata dalla materialità delle sue specie originarie: scintilla ispiratrice. Samuel Butler, in Alpi e Santuari, parlando dei piemontesi che aveva conosciuto nelle montagne più vicine a Torino prima del 1880, dice: «E' strano, ma la grande maggioranza delle persone che si incontrano da queste parti, se si dovesse indovinare la loro nazionalità senza sentirle parlare, non si esiterebbe a dichiararle inglesi ». La realtà, osservò Gide, è sempre « molto più complicata di quanto non si possa dire in un romanzo, caso mai. ci si avvicina di più in un diario ». Ma questa realtà di Gide non assomiglia al vero, il vero eroico, di Conrad. Fare dell'eroina di Addio alle armi una torinese imbrogliava maledettamente le carte di Hemingway, che per sua natura amava semplificare: non diverso, in questo, da un compositore che scelga orchestre magari numerose ma con pochi colori, pochi timbri. Tuttavia, Hemingway non avrebbe potuto ripensare l'infermiera di Torino come Catherine Barkley, ragazza inglese mista di sangue scozzese, se Butler non avesse visto giusto. Eh sì, una quintessenza liberata dalle sue specie originarie: la scintilla ispiratrice. Cecchin mi dirà poi se la torinesità del modello di Catherine Barkley è credibile: ma anche se non lo fosse, seguiterei a considerarla un simbolo del momento più delicato della creazione artistica. Mario Soldati