Un Capodanno col sorriso e tanta angoscia per i tanti operai della "Unidal" occupata

Un Capodanno col sorriso e tanta angoscia per i tanti operai della "Unidal" occupata Una notte a Milano con i dipendenti delle ex società Motta e Alemagna Un Capodanno col sorriso e tanta angoscia per i tanti operai della "Unidal" occupata Nei giorni scorsi sono stati decisi cinquemila licenziamenti - Dario Fo e Franca Rame hanno portato una nota di allegria, ma chi rischia di perdere il lavoro pensava già all'incerto futuro - "Sono venuti in tanti a portarci la loro solidarietà ma domani se ne torneranno a casa e qui restiamo noi con tutti i nostri guai" (Dal nostro inviato speciale) Milano, 2 gennaio. «Mi spiace di non vedere qui con voi i vostri dirigenti, che tanto si sono battuti perché questa industria andasse a picco». La battuta è coperta dagli applausi e dalle risate del pubblico, qualcuno dal fondo della sala grida «Bravo», l'attore agita le mani in segno di saluto. Sono le 20,30, mancano tre ore e mezzo alla fine dell'anno, oltre 1600 persone sono stipate nella sala mensa, al secondo piano del fabbricato, i responsabili del consiglio di fabbrica guardano preoccupati e fanno gli scongiuri perché il pavimento ha una portata massima di 250 chilogrammi per metro quadro e con tutta questa gente... Ci troviamo nello stabilimento principale dell'Unidal, in viale Corsica, fra gli operai delle ex-società Motta e Alemagna che hanno occupato la fabbrica per protestare contro i cinquemila licenziamenti decisi dai proprietari. Ci sono operai, parenti, amici, simpatizzanti. E c'è Dario Fo, con Franca Rame e gli attori del suo collettivo, venuti a trascorrere l'ultima sera dell'anno in compagnia delle maestranze in agitazione. Fuori, davanti ai cancelli, si accalcano ancora un centinaio di persone. Vorrebbero entrare, ma il consiglio di fabbrica si oppone. «Qui se \ entra ancora qualcuno finiamo tutti a pianterreno», borbotta un operaio con forte accento meneghino e si affretta a bloccare un giovanotto che è riuscito ad intrufolarsi. Quelli che sono dentro si accalcano nel salone della mensa, dove è stato allestito un palcoscenico di fortuna: ci so no intere famiglie, madri con i figli di pochi mesi in braccio, bambini che si ficcano dappertutto, uno si è già perduto, sta singhiozzando fra le braccia di una ragazza mentre dalla parte opposta della sala la madre Io cerca freneticamente, in preda all'angoscia. Alla fine si ritrovano: la donna tira un sospiro di sollievo accompagnato da un sonoro ceffone che finisce col far scoppiare il bambino in un pianto disperato. Intervie- a l n - o a ) o a a : e o a a i o e o e n e i aè ra- an aà rdi lga e e ea iti e o e i. n v e ri on e o s e a e e o), el di ne un signore anziano, con un bel paio di baffi. «Non piangere, ciula, che è capodanno» e gli dà una fetta di panettone. L'atmosfera è strana, c'è un'allegria un po' forzata, non ci vuole molto a riconoscere gli operai fra tutta questa gente: sono quelli che stanno più seri, silenziosi. Quasi appartati. «Lavoro qui da trentanni, adesso mi hanno sbattuto via. Certo che non sono tranquillo», mi dice un uomo non più giovane. E aggiunge: «Questo non è un giorno di festa per me. Certo, stanotte incomincia l'anno nuovo, sono venuti in tanti a portarci la loro solidarietà, c'è anche Fo, un vero compagno quello lì. Hanno detto che vogliono festeggiare il 1978 accanto a noi, nella fabbrica occupata. Tante belle parole, ma domani loro se ne tornano a casa, qui restiamo soltanto noi, con tutti i nostri guai». Rosa, 19 anni, studentessa. Veste alla moda femminista: gonna lunga, scialle nero, calze a righe colorate, zoccoli. «Sono venuta con i miei compagni per dimostrare agli operai che in questo momento non sono soli», dice. Gli fa eco un coro d'assensi, un giovanotto in maglione afferma che «questo è un capodanno genuino, altro che quelli che vanno a Saint Moritz», una ragazza travestita da «strega» («i capelli me li faccio arricciare apposta per solidarietà con i negri») dice che non si è mai divertita tanto, uno studente barbuto sentenzia: «giornalista, stanotte imparerai qualcosa anche tu». Qualcuno urla al microfono di fare silenzio. Sul palco compare Dario Fo, accolto da un lungo applauso. Poche parole di saluto, poi incomincia a recitare. In pochi attimi conquista l'intera platea, gli spettatori lo ascoltano in un silenzio quasi mistico. Fo è un attore nato, uno di quegli « animali » da palcoscenico che vivono esclusivamente di teatro. Sulla pedana spoglia, con lo sfondo dei cartelli inneggianti alla lotta, dà vita ad un personaggio straordinario improvvisando una di quelle filastrocche che l'hanno reso famoso. In una lingua inventata, un miscuglio di dialetti, racconta la storia di un soldato cinese, ferito ed abbandonato dai suoi compagni, che viene salvato da una tigre. Come tutte le storie di Fo, anche questa è a sfondo politico. Simbolica. Il suo messaggio è semplice, fa presa sul pubblico, strappa risate ed applausi convinti. Un trionfo. Poi è la volta di Franca Rame, che interpreta il risveglio di una sposa-madre-operaia: un capolavoro di bravura, quella donna sembra proprio di vederla lì, è nostra moglie, nostra madre. Sulle ultime battute un uragano di applausi: le operaie dell'Unidal ridono divertite, forse per un momento hanno dimenticato i loro problemi, l'incubo della disoccupazione. Chissà. Una breve parentesi «ufficiale». Sul palco sale l'on. Adele Faccio: L'esponente radicale è venuta a portare la solidarietà del suo partito agli operai in lotta. Ma poi va fuori tema, improvvisa un comizio sull'aborto, la gente si agita inquieta. Finisce inneggiando alle Brigate rosse, ma subito spunta Dario Fo e prende le distanze. «Noi non siamo per niente d'accordo con quelli che sparano e mettono le bombe, da qualunque parte essi stiano». Un caloroso battimani sottolinea le sue parole. Lo spettacolo continua: Fo racconta la storia di Caino ed Abele, vista in chiave umoristico-popolare, Franca Rame, appena ricoperta da una vestaglia trasparente che fa subito salire la temperatura del pubblico maschile, interpreta la giornata di una moderna massaia, una donna ! svampita e condizionata dalla lettura delle riviste femminili, dalla pubblicità televisiva, dalla sessuomania dilagante. Un successone. Tocca poi a Ciccio Busacca, un attore del collettivo. Dario Fo ne appro fitta per riposarsi, io per scambiare quattro chiacchiere con lui. «Un'intervista? No: facciamo qualcosa dì me no formale». E mi parla dei programmi futuri della sua compagnia. «Dopo l'Epifania, Franca andrà a recitare in 40 fabbriche occupate dell'Italia settentrionale. Ormai i nostri teatri sono questi». Ma come fate per i quattrini? «Vedi, noi costiamo poco. Tutti noi prendiamo uno stipendio pari a quello di un operaio specializzato. Poi realizziamo qualcosa vendendo i libri ed i dischi delle nostre commedie». Fo mi spiega che sta lavorando ad un nuovo spettacolo: «Sul terrorismo, quello rosso, quello nero, quello governativo». Ma il discorso scivola di nuovo sul dramma de gli operai licenziati, delle fabbriche che chiudono, della cassa integrazione. «Abbiamo deciso di intervenire in queste situazioni drammatiche — dice — perché pensiamo che sia il modo migliore per richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica su questi fatti che altrimenti sarebbero ignorati». Si concede una battuta, rapida e mordace, com'è nel suo stile: «I giornali ne parlano, ma a noi danno più retta». Mancano pochi minuti a mezzanotte: il bar ha quasi esaurito le scorte di spumante, in cucina lavorano come matti per preparare panini. Manca un minuto: Dario Fo intona «Bandiera rossa», tutta la sala gli fa eco. Le bottiglie vengono stappate: si brinda nei bicchieri di carta al 1978. Un operaio canta l'Internazionale, altri si abbracciano, qualcuno guadagna furtivo l'uscita. «Mi aspettano a casa, sono venuto per stare soltanto un'oretta, chissà adesso che cosa dirà mia moglie». Un rappresentante del consiglio di fabbrica invita gli operai del turno di notte «a fare presenza ed a continuare la vigilanza». Adele Faccio sorride felice, Dario Fo firma autografi ai bambini, Franca Rame saluta col pugno chiuso. Notte di San Silvestro all'Unidal: forse per qualche ora gli operai impegnati nella lotta per difendere il proprio posto di lavoro, il diritto al lavoro, hanno dimenticato i loro affanni. E' quanto ci auguriamo tutti, anche se è ben poca cosa. Francesco Fornarì Milano. Il pubblico che ha assistito allo spettacolo di Dario Fo, all'Unidal occupata

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