Dentro i sogni nuovi delle ragazze d'oggi di Lidia Ravera

Dentro i sogni nuovi delle ragazze d'oggi NON FARANNO L'HOSTESS 0 L'ATTRICE Dentro i sogni nuovi delle ragazze d'oggi «Il mio sogno per il futuro? Non sprecare la mia vita». «Che cosa intendi dire, esattamente?». «Beh, vorrei mantenermi senza fare una cosa noiosa. Guadagnare facendo quello che mi piace». Le piace disegnare, ma non sogna di fare «l'artista», parla assai realisticamente di uffici pubblicitari. Ed è anche inquieta. Dice: «La società è sempre più giovanilista. o ti dai da fare subito, o i posd migliori li troverai occupati. A trent'anni è troppo tardi per qualsiasi cosa che non sia timbrare un cartellino». Lei non ne ha ancora venti ed è già in ansia. «E l'università?». «Quella è un fronzolo. Un di più. La A può fare anche con piacere, servire si sa bene che non serve». «Senti: quanto alla vita privata che progetti hai?». «Non atrofizzarmi. Ecco: vorrei non atrofizzarmi». «E' un desiderio lodevole, ma io intendevo qualcosa di più concreto. Che ne so, marito, figli, oppure niente marito e niente figli...». «Magari, anche..., comunque dopo. Purché non sia noia, purché non sia abitudine, ripetizione». Mimma sa perfettamente quel che non vuole: niente Fiat («Torino è tremenda: o stai alla Fiat, o stai alla Fiat»), niente «classico matrimonio» (odia la bergmaniana «spazzatura sotto il tappeto»). Anche noi lo sapevamo (per «noi» intendo quelli che. come me, avevano 18-20 anni dieci anni fa), però ci mettevamo più enfasi a dichiarare le nostre idiosincrasie, i nostri rifiuti. Ci sembrava eroico non volere la famiglia-cuccia o la carriera. Adesso sembra del tutto normale. E sembra normale anche, nell'esprimere i desideri per il futuro, coniugare inclinazioni personali e senso della realtà. Soppesando, noi eravamo iperbolici. Il Palazzo d'Inverno ci sembrava, tutto sommato, a portata di mano. Come la «seconda casa» per le ferie. Nei nostri sogni per il futuro c'era una specie di esercitazione permanente alla giustizia, alla felicità, allo scanzonato martirio di illimitate rivolte e rivoluzioni. Seduta sul divano di fronte a Mimma c'è sua madre, bella signora, di professione dirigente industriale (la Fiat, appunto), sorride appena appena turbata dall'ineffabile buon senso della figlia e dichiara: «Io, da ragazzina, pensavo che avrei fatto l'infermiera in mezzo ai lebbrosi». E' inquietante, ma mi sento coeva quasi più della madre che della figlia. E la sensazione di estraneità verso i giovani-non sognatori è confermata da una gita-lampo in discoteca. Ho scelto di importunare le più giovani, le sedicenni, con una domanda un po' provocatoria e un po' cretina, un tempo molto in voga: «Che cosa farai da grande?». «Che discorsi del cavolo: io sono già grande» (è alta infatti, piena di riccioli scuri, con un solo ciuffo di riccioli drammaticamente biondi, quasi albini, e la ferma intenzione di non dirmi nemmeno il suo nome di battesimo). * * Un'altra, meno appariscente, è più gentile. Si chiama Laura e devo essere io a dirle che non è fondamentale il suo cognome. Dice che da grande vorrebbe soprattutto vivere bene. Ed elenca seriamente le sue necessità primarie: un lavoro che «realizzi», molto tempo libero, la campagna. «Ma qual è il lavoro che realizzi?». Laura ride e si lancia in una lunga serie di tautologie. Fare una cosa che ti piace, cioè che non ti rompe, cioè che ti fa star bene. Nel tentativo di chiarire, le faccio l'esempio di Paperino che sognava di fare il collaudatore di letti, essendo il sonno la sua massima aspirazione. Laura dice «magari» e si rimette a ballare. Balla benissimo, anche la sua amica balla benissimo. Le chiedo: «Ti piacerebbe fare la ballerina?» (io ho sempre pensato che era bello fare soprattutto le cose che facevo bene). Mi guarda come se fossi scema: «Non è un lavoro». Insisto: «Eppure ce n'è di ragazze che fanno le ballerine». Questa volta mi guarda come se fossi leggermente ritardata: «Ma quelle mica ballano soltanto...». La guardo come se fosse una giovane ed avvenente reincarnazione di mia nonna. Possibile che sia tornato in voga così presto il perbenismo? Poi ripenso ad un'altra giovanissima, Macha. 15 anni, figlia di Rada Rassimov: scuola di ballo e di recitazione, graziosissima. di professione doppiatrice. Il suo massimo problema era di dissuadere produttori e registi dal farle interpretare qualsiasi parte che richiedesse nudità fini a se stesse. Odiava di fare l'adolescente procace, detestava l'idea che la volessero per questo. Il femminismo non è passato invano. Le sorelline minori si attengono con scrupolo ad una nuova morale, giusta ma rigida: mai fare l'amore per calcolo, mai farsi mantenere dagli uomini (nemmeno nella comoda veste di mariti), mai utilizzare il proprio corpo per qualcosa che non riguardi la propria felicità. E' la fine dei miti «rosa» degli Anni Cinquanta: allora si voleva «fare la hostess», perché le hostess erano belle, perché sugli aeroplani era facile incontrare qualche moderno principe volante in doppio petto grigio. «Ti andrebbe di fare la hostess?», chiedo alla ricciolina senza nome. «Semmai il pilota». E' una risposta che non lascia adito a troppi dubbi. L'attrice? Quando si doveva girare il film tratto da «Porci con le ali», ne ho viste centinaia di ragazzine: si presentavano chiedendo di fare le comparse, attirate dalla prospettiva delle quindici o ventimila lire guadagnate in un giorno: ma se il regista offriva a qualcuna la parte della protagonista, si sentiva rispondere con un netto rifiuto. Divertite e arroganti, le aspiranti comparse dichiaravano: «Ma tu sei matto. Una comincia così e poi finisce a fare l'attrice...». Le sedicenni di oggi non hanno voglia di affermarsi attraverso la bellezza. Non tirano al marito. La maternità la definiscono spesso «una cosa bella». Dicono: «Prima o poi». Dicono: «Magari». Su un punto sono irremovibili: «Maternità anche. Non maternità soltanto». La maternità non è un lavoro. D lavoro, anzi, è quello che rende possibile la maternità. E già, perché sennò ci vuole il marito. E il marito nessuna ammette apertamente di volerlo (quando si sposeranno, se si sposeranno, diranno di essersi sposate per ricevere in dono uno stereo e due servizi di piatti). Il marito, è un mito il non cercarlo. E lo era già dieci anni fa, nei libertari primi Anni Settanta. Allora c'erano le emancipazioniste che pensavano se stesse inviate speciali nel fuoco del Vietnam o «career women». E le idealiste che, liberamente traducendo dall'infermiera - fra - i - lebbrosi di qualche ventennio prima, si figuravano a capo di una specie di import-export delle rivoluzioni che avrebbero cambiato la faccia all'Occidente e anche al Terzo Mondo. Oggi emancipazioniste lo sono tutte, ma senza esagerare, restando nel vago: «Un lavoro che mi realizzi», «indipendenza economica senza noia». Le idealiste le hanno spazzate via questa generazionale assenza di retorica, questa tendenza collettiva all'immobilità: «D mondo è quel che è» sembrano dire tutte quante, «e non sarò io, povera untorella, a poterlo cambiare». Ma resta il dubbio che, dietro a tanta sobrietà, si nasconda una specie di pudore, come di chi. pur nutrendo un desiderio, non osi esprimerlo: come di chi non osi quasi averne di desideri. Paola. 19 anni, conferma direttamente la mia ipotesi: «Non te lo dirò mai che cosa vorrei fare. Non riuscirai mai a farmelo dire». Un suo amico, un bel po' più vecchio di lei e animatore di una radio libera democratica di Torino, mi racconta che. quando taglia da scuola, il che accade con una certa frequenza, Paola si precipita alla civica biblioteca comunale, dove si dedica per ore alla lettura dei romanzi di Virginia Woolf e Ivy Compton Burnett. Mi dice anche che è buffo vedere quanti giovanissimi, soprattutto ragazze, se ne stiano chini nel silenzio della biblioteca, fra l'austerità degli schedari, senza osare neanche una paiola, il mattino, leggendo libri di tutti i tipi, mentre i loro compagni, chiassosamen¬ te, evitano la cultura nelle cinque ore di scuola. Perché lo fanno? Perché nella scuola nessuno ci crede? Per amore dei libri? «Soprattutto per autodeterminazione», sostiene l'amico di Paola. «A tutte quante piace pensare di essere padrone della loro vita, del loro tempo, di essere libere di decidere una cosa oppure un'altra. La scuola è qualcosa di imposto, di obbligatorio. Trasgressione, e quindi libertà, è andare a studiare in biblioteca, scrivere poesie in piola o risolvere problemi di algebra in un prato». Ecco: il futuro è una categoria in qualche modo compresa nel presente. Non è qualcosa che verrà, per cui sacrificarsi e lottare. Il futuro è già oggi, nel sottrarsi a qualcosa in cui non si crede, nel vivere, minuto per minuto, un proprio profondissimo ed inesprimibile desiderio di essere, in qualche modo, persone. Sul far degli Anni Ottanta, tarde, assennate e tranquille, vedo le ragazze muoversi senza direzione, attente a tutte le direzioni, come la Margot Hemingway di «Manhattan», sfiorando appena noi. ventenni di ieri, nevrotici parolai e preoccupati che esista anche un altro «modo di crescere», come tanti disperati Woody Alien. Lidia Ravera

Persone citate: Ivy Compton Burnett, Macha, Margot Hemingway, Mimma, Rada Rassimov, Virginia Woolf, Woody Alien

Luoghi citati: Manhattan, Torino, Vietnam