Quando per molti italiani era il buon padre Baffone di Leo Longanesi

Quando per molti italiani era il buon padre Baffone IL MITO DI STALIN CHE «METTE A POSTO LE COSE» Quando per molti italiani era il buon padre Baffone In un vecchio libro di Leo Longanesi intitolato «Parliamo dell'elefante», sotto la data dell'8 gennaio 1944 c'è una nota di diario che mi sembra il caso di trascrivere: «Sui giornali è apparsa questa notìzia: Vittorio Emanuele III ha conferito al maresciallo Stalin il collare dell'Annunziata. Da oggi essi sono cugini». Difatti, secondo gli Statuti dell'antichissimo ordine sabaudo, chi ne era nomina.to cavaliere diventava de jure cugino del sovrano. Non so se la notizia riferita in «Parliamo dell'elefante» sia esatta; Longanesi si divertiva sempre a raccogliere in giro, senza troppo vagliare, le voci divertenti o le più strambe: e certamente quella su Baffone collare dell'ordine della Santissima Annunziata non era da scartare. Vera o falsa che fosse, aveva il senso di una precisa denuncia sarcastica: pur di salvare il trono alla dinastia, il nostro piccolo re non avrebbe esitato a imparentarsi col despota sovietico. Questi in Italia era chiamato Baffone e gli si attribuivano facoltà straordinarie. Era per molti la controfigura del demonio, il diavolo incarnato: ma per altri italiani era una specie di angelo sterminatore che un giorno sarebbe venuto a garantire la giustizia anche in terra italiana: «Ha da veni Baffone» era una parola d'ordine largamente circolante all'indomani della guerra, ripetuta ogni volta che si aveva la sensazione che la giustizia sociale tardasse ad accompagnarsi alla democrazia politica restaurata. Non c'è nessun dubbio che anche l'aspetto fisico di Stalin — certamente il più bello fra gli altri condottieri alleati. Churchill, Roosevelt. De Gaulle — giovasse a procurargli una assai facile popolarità preferenziale. Baffone era l'immagine del padre, non solamente per i comunisti ma anche per tutti i disgraziati, i poveracci, gli sprovveduti afflitti da carenza paterna. Che fosse stato un sanguinario, un vendicativo, un uomo senza scrupoli capace di sterminare i suoi rivali concorrenti al potere, non si teneva in conto. Un po' era il fatto che le informazioni sull'Unione Sovietica a quel tempo erano scarse, imprecise, e in ogni modo c'era il sospetto che l'anticomunismo degli occidentali le inquinasse : ma d'altra parte anche l'idea che Stalin avesse usato la mano pesante nei confronti dei suoi nemici gli faceva merito ed onore. Un padre e maestro deve essere severo, altrimenti non serve: e comunque Baffone aveva vinto tanto all'interno quanto in guerra contro Hitler, ed era quindi il padre-eroe. Figurarsi se si poteva pensare a contestargli qualche colpa. Ho l'impressione che il partito comunista italiano abbia in quegli anni tratto enormi benefici dal carisma di Stalin. Se Togliatti era chiamato normalmente «il migliore» per Baffone si usava un titolo non meno impegnativo: era «il numero uno» indiscutibilmente, sul piano del comunismo universale, e ciò faceva premio su qualunque altro richiamo. Ricordo che in dicembre di trent'anni fa. 1949. ci fu ij problema di celebrare degnamente il giorno 21 il settantesimo compleanno di Stalin. Alle Botteghe Oscure si era un po' preoccupati perché altri partiti stranieri erano riusciti a rispondere con offerte di genere eccezionale. I comunisti della Germania Est avevano regalato a Stalin un treno di settanta vagoni, uno per ogni anno del Baffone. Gli operai cechi gli mandavano una locomotiva modernissima, e gli artigiani viennesi lussuosi mobili da studio. Gli ungheresi avevano riempito tutto un treno di regali, non chiaramente specificati, ma sicuramente cospicui. Per reggere al confronto internazionale la stampa comunista italiana e in particolare il quotidiano l'Unità e il settimanale Vie Nuove lanciarono un appello a tutti gli iscritti al pei ed a tutti i lavoratori italiani perché inviassero per Stalin, in via Botteghe Oscure, i doni della riconoscenza. Il comitato centrale del partito si era iscritto in capo alla lista con l'offerta di un'Alfa Romeo fuori serie, tipo sport, sei cilindri. 2500 ce. di color rosso vivo. Più tranquillamente, i lavoratori di Piana dei Greci mandarono un carretto siciliano, senza però i somari per trainarlo, dato che questi avrebbero sofferto in un clima tanto differente. Gli operai comunisti milanesi pensarono a regalare una Lambretta, ma come era giusto per un paese come il nostro, le offerte furono prevalentemente di carattere artistico: un quadro di Vittorio Magnani intitolato «Sciopero»; «Lavoratori a comizio», gruppo in terracotta inviato dalla federazione giovanile di Mantova; e poi la riproduzione di un operaio in tuta con un libro sottobraccio, statuetta di Mario Minuto da Riccione. Non sarà il caso di elencare tutti i doni che i lavoratori italiani mandavano allo Stalin Baffone per il suo settantesimo compleanno di trent'anni fa: ma alcune note che traggo dalla lettura della stampa comunista di allora mi sembrano degne di trascrizione. Gli operai di un calzaturificio di Cosenza spedivano eleganti pantofole di camoscio foderate di pelo; da Mantova venivano bottoni d'argento gemelli, da polso; scarpe fatte a mano da Pavia; da Como fazzoletti, e da una quantità di paesi cassette di bottiglie di vino pregiato. Da Crecchio. una frazione di .Chieti, arrivò un'anfora piena di chicchi d'uva locale immersi nel rum. Più importante della qualità dei doni, tuttavia, mi sembra che fosse il tributo di reverenza di tanta povera gente all'immagine di Stalin. Angelo Maronna da San Lorenzo Bellizzi (Cosenza) scriveva: «Da questo borgo solitario, senza strade, senza acquedotto, senza fognature, senza edificio scolastico, sema cimitero, senza luce, a nome di tutti i comunisti e i socialisti e di tutti i democratici invio auguri sentiti a Giuseppe Stalin». Un certo Alberto Spalla, da Genova: «Pensavo di comperarti una pipa come omaggio per il tuo compleanno. Ma questa maledetta società non me ne ha dato la possibilità. Credimi, non ho un soldo in casa, posso mandarti solo un pensiero, e accettalo come se fosse una pipa». Poi c'erano i bambini. La tredicenne Enza Cauro, residente a Roma in via dei Polacchi, scriveva: «Caro Stalin, in occasione del tuo 70mo compleanno ti mando la medaglia che ho vinto in un concorso indetto da "Vie Nuove". Spero che questo piccolo modestissimo ricordo ti sarà gradito. Augurandomi che i tuoi sforzi per la pace abbiano successo ti mando tanti cari saluti da mamma e da papà e dai miei due fratellini». Anna Negri, abitante anche lei a Roma, in via Homs: «Caro Stalin, non ti offenderai se mi prendo tanta confidenza, ma io credo che verso una bambina di otto anni come me tu userai un po'di indulgenza, fa conto che io sia una tua nipotina. So che il 21 dicembre è il tuo compleanno: io insieme al mio fratellino, a mamma e papà ti facciamo tanti ma tanti auguri di vero cuore, e ancora tu per moltissimi anni possa essere la nostra luminosa guida. Permetti che ti giungano tanti bacetti». Sono cose da ricordare, mi sembra, perché bisogna pur tenere a mente che nella nostra storia c'è anche stato un momento in cui Baffone Stalin è stato visto da molti come un santo protettore: un San Gennaro armato che avrebbe messo a posto tutte le cose che non andavano bene, un San Giorgio a cavallo capace di trafiggere il verde dragone del male. Una certa attesa di soluzioni miracolose non è mai assente in Italia, data la diffusa sfiducia nella possibilità di soluzioni razionali. Stalin per tanta nostra gente ha rappresentato quella' speranza, e ancora oggi i responsabili del partito comunista sinceramente ammettono che in certe sezioni, in certi strati della base il mito di Stalin continua a costituire il solo e vero possibile ancoraggio di una fede. Destalinizzazione? Andiamoci piano, bisogna fare i conti con i miti e con le favole cui si è rimasti affezionati. »Ha da veni Baffone», lo pensava anche il re. Vittorio Gorresio OJ.7CM LA MÀSCHERA <»»«>vb1cj»J« «w«*u un tali** !»!»* <« tndm* » v»t«i Un manifesto dei comitati civici nel 1948. Ironizza sul fronte popolare (psi e pei) che ha come emblema il volto di Garibaldi dietro il quale, se lo si rovescia, appare Stalin (Da «L'Italia delle cartoline». Ed. L'Arciere)