Indira ritenta la carta indiana

Indira ritenta la carta indiana OSSERVATORIO Indira ritenta la carta indiana Ci sono due domande, almeno, che attendono risposta dal voto di giovedì prossimo in India. La prima riguarda la signora Gandhi. Per 12 anni ha interpretato alla guida del Paese la grande eredità di Nehru e del Mahatma: poi nel '77 ha finito col pagare la svolta autoritaria del suo governo, perdendo di fronte alla coalizione Janata e alla predicazione ascetica di Morarji Desai. Il partito Janata ora si è frantumato Desai è tornato alla vita privata e Indirà Gandhi ci riprova. n giudizio che daranno 361 milioni d'indiani deciderà il suo futuro politico: una sconfitta non solo segnerebbe la crisi profonda della sua leadership personale, ma solleciterebbe anche l'iter processuale (e il verdetto di condanna) delle accuse di -attività incostituzionale» mosse a lei e al figlio Sanjay. Se su questa prima domanda non v'è ancora chi possa far previsioni attendibili, perché l'incertezza dei risultati pare insuperabile da qualsiasi sondaggio, la seconda domanda invece lascia pochi dubbi.' Riguarda il modello politico indiano, e il suo futuro. Fin dagli anni dell'indipendenza, e seguendo il progetto istituzionale sviluppato da J. Nehru. l'India è sempre stata guidata da un partito largamente maggioritario e interclassista, il vecchio partito del Congresso. Al suo interno si componevano in qualche modo le mille contraddizioni della società indiana, e lo sviluppo centralizzato di un'economia marcata da una forte divaricazione tra consumo industriale e mercato contadino. La crisi del «modello» cominciò verso la fine degli Anni Sessanta, con là frammentazione dei partiti e la instabilità delle coalizioni di governo nei grandi Stati del Nord ruttar Pradesh e il Bihar. Progressivamente questa erosione si è allargata al governo centrale, dove l'accresciuta politicizzazione delle caste più basse e dei gruppi sociali emarginati non ha trovato risposte adeguate nel vecchio partito di maggioranza. Il sussulto del Janata ha ricomposto, due anni fa, il modello della democrazia pluralista violato dalle leggi eccezionali decise dala Gandhi. Ma ha anche mostrato la gravità della crisi del sistema; il voto di giovedì sancirà — è molto probabile —la fine di quel lungo costume politico, e aprirà una nuova fase: quella in cui partiti e gruppi di potere dovranno imparare a governare formando coalizioni ed alleanze non omogenee. Non è una trasformazione da poco. Segna il fallimento d'un progetto che tentava di imporre le dimensioni e le difficoltà della «più grande democrazia del mondo» alle regole ai principi della democrazia occidentale. Oggi i soggetti sociali di questo sterminato subcontinente — dove si contano 2000 tra gruppi e caste religiose — stanno passando ad affermare la loro identità distinta attraverso un processo elettorale meno «compatto» del passato. Questa nuova fase si realizza contemporaneamente all'emergere e all'affermarsi delle caste intermedie o anche più basse che stanno assumendo il controllo dei governi locali e del Lok Saba a New Dehli. Charan Singh per esempio primo ministro in carica, è un membro della casta Jat. che rappresenta il nuovo ruolo e il peso crescente della media proprietà contadina. Il sistema delle caste è ancora la colonna rigida della società indiana: ma al suo interno il tempo che passa lascia segni che restano. Mimmo Candito Indirà Gandhi: il giudizio di 361 milioni d'indiani

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