I ghiacciai scendono verso valle

I ghiacciai scendono verso valle Dal Monte Bianco I ghiacciai scendono verso valle . o e l e e r COURMAYEUR — Il vecchio montanaro indica la lingua di ghiaccio che si addentra nella Val Veny, in quella stretta gola racchiusa (tanto per dare due punti di riferimento noti a tutti, anche se non sono proprio quelli geografici) fra il colle su cui sorge la chiesetta di Notre Dame de la Guérison e quello del piazzale d'ingresso del tunnel del Monte Bianco. «Il ghiacciaio viene avanti. Era già accaduto più di 50 anni fa: io ero bambino, ricordo che era arrivato fin sotto la chiesa», brontola con voce arrocchila dal fumo di troppi «toscani». Il ghiacciaio in questione è quello della Brenva che scende dal Monte Bianco e il prediletto dal prof. Corrado Lesca. docente di topografia al Politecnico di Torino, segretario del Comitato glaciologia) italiano, studioso dei ghiacciai e dei loro affascinanti misteri. «Nel 1920 — spiega — in seguito ad un'enorme frana di materiale roccioso, il ghiacciaio era "precipitato" lungo la lingua con un'avanzata irregolare e rapida. Poi era arretrato: il fenomeno si è protratto per anni, fino al 1960, quando ha ripreso ad avanzare. In maniera anomala, se si vuole: la nuova lingua del ghiacciaio, infatti, si muove su quella vecchia, ormai morta. Dal 1920 al 1940 era avanzato di circa 440 metri. Poi era tornato indietro. Adesso ha già superato questo limite». Il ghiacciaio «cammina» ad una velocità di oltre 50 metri all'anno. «Può sembrare poco — precisa lo studioso — ma, continuando con questo ritmo, dal punto in cui è arrivato ora. fra sei anni può investire il piazzale del traforo». Attualmente il ghiacciaio dista 300 metri dal piazzale: se continua ad avanzare, può erodere alla base la collina di materiale di riporto (detriti ricavati dallo scavo del tunnel) sulla quale sorgono gli edifici dei servizi e si apre l'accesso della gallerìa, e farla crollare. In Italia ci sono un migliaio di ghiacciai fra grandi e piccoli: oltre 50 mila ettometri quadrati di territorio è ricoperto da uno strato di ghiaccio per un volume di 27 miliardi di metri cubi. In perìodi di grave crisi energetica (come quello che stiamo attraversando) sarebbe logico utilizzare questi grandiosi serbatoi naturali; purtroppo nessuno, almeno finora, ha ritenuto opportuno farlo. «Eppure non si tratta di imprese impossibili — precisa il giaciologo —. Sarebbe sufficiente affrontare il problema col dovuto impegno. Anche il Po potrebbe fornire molta energia elettrica sfruttandone quella cinetica. Sarebbe sufficiente costruire delle dighe lungo il corso del fiume, ogni 5 o 10 chilometri, e utilizzare l'acqua per produrre l'energia necessaria ai centri rivieraschi». Di queste interessanti notizie nessuno sembra tener conto e gli scienziati del comi tato glaciologico — che riceve un irrisorio contributo finanziario dal Centro nazionale ricerche, sotto la cui egida agisce —si limitano, con gli scarsi mezzi a disposizione, a seguire i movimenti dei ghiacciai «I ghiacciai avanzano e re trocedono secondo l'andamento climatologico. Se fa molto caldo e d'inverno le pre cipitazioni nevose sono state scarse, il ghiacciaio non più. alimentato si ritira. Se accade il contrario, si allunga». Da qualche anno i ghiacciai delle Alpi Occidentali sono in fase di avanzamento. «Ormai restano coperti di neve tutto l'anno — dice il prof. Lesca —, questo significa che siamo in un periodo di raffreddamento che si è iniziato 15 anni fa con innevamenti notevoli d'inverno e, d'estate, un consolidamento delle zone di accumulo». Ci stiamo dunque avvian do verso una nuova èra glaciale? Il professor Lesca non è cosi pessimista, tuttavia afferma che «non si può escludere. Nigel Calder, studioso inglese del problema, sostiene in un libro di recente pubblicazione che «il raffreddamento è già incominciato e ci stiamo avviando verso un periodo di freddo sempre più intenso» A sostegno di questa tesi, ricorda l'avanzamento dei ghiacciai «in continua espansione» e la comparsa, nei mari del Nord, degli iceberg a latitudini mai raggiunte prima. «Ancora non si sono verificati gli "snowblitz", i raffreddamenti improvvisi che para lizzano ogni forma di vita (co me testimoniano le carcasse dei "mammouth" trovate im prigionate fra i ghiacci, fulmi nati dal freddo improvviso) — prosegue lo scienziato inglese —ma è certo che i periodi caldi nella vita della Terra dura no in media diecimila anni. Quello che stiamo vivendo dunque alla fine: l'ultima già dazione, infatti, risale a dieci mila anni fa». f. f orn.

Persone citate: Corrado Lesca, Lesca, Nigel Calder

Luoghi citati: Courmayeur, Italia, Torino