Il non intervento

Il non intervento MUTA IL CONCETTO DI SOVRANITÀ' Il non intervento Ogni generazione porta con sé da quelle che l'hanno preceduta, un certo numero di vocaboli, con la tonalità, di approvazione o di condanna, ch'ebbero un tempo. Così è del non intervento, in tema di politica internazionale. Nessuno Stato può intervenire negli affari interni di un altro Stato: dove c'è libertà di stampa, i giornali potranno criticare, ma gli organi ufficiali no: possono solo compiacersi per intese raggiunte, pericoli di guerra scongiurati. Non intervento: strettamente connesso con l'idea non tanto della sovranità, quanto con quella del popolo sovrano, che ha diritto di governarsi come crede. Concetti ignoti all'antichità. Ma pur nell'età moderna negli affari di religione si riteneva lecito a uno Stato d'intervenire presso altri Stati del pari sovrani. Il sovrano cattolico o protestante difendeva quella minoranza di sudditi di altri Stari che professassero la sua confessione. I Savoia ebbero proteste dall'Inghilterra e dalle Province unite che formarono poi l'Olanda, quando perseguitarono più crudelmente i valdesi. Per la protezione dei propri correligionari si poteva giungere alla guerra. Ma quel che più contava era la solidarietà dei re: questi, considerati quasi proprietari dello Stato: ed era pressoché naturale che chiedessero l'aiuto dei proprietari vicini, se i servi si ribellavano. Così in Italia gl'interventi austriaci contro quei rivoluzionari che volevano togliere almeno le Romagne e Bologna al Papa, e nel '49 i due interventi, della Russia a domare la insurrezione ungherese che resisteva alle forze austriache, l'altro della Francia a spegnere la Repubblica romana. Non era apparsa invece giustificabile di fronte al diritto internazionale accettato nel tempo l'occupazione di Ancona da parte francese del 1832: ch'era affermazione della volontà della Francia di non lasciare all'Austria il monopolio degli affari italiani, e solo secondariamente incoraggiamento del governo di Luigi Filippo ai liberali. * * L'unità italiana si formò all'insegna del non intervento: col Trattato di Zurigo che poneva fine alla guerra del '59. il re di Sardegna riceveva la Lombardia, ma nulla più: lutto il resto doveva tornare agli antichi sovrani: e già il figlio di Leopoldo di Toscana s'intitolava Ferdinando IV ed era ricevuto alle Tuileries come sovrano. Ma in fatto Napoleone III — alla cui memoria l'Italia restò così ingrata — in cui non si erano spenti gli spiriti giovanili del cospiratore a Roma nel '30-'31. formatosi al contatto di antichi ufficiali del regno italico. Napoleone, che si sentiva debitore per aver ottenuto la Savoia e Nizza senza poter dare il promesso Veneto all'alleato piemontese, riuscì col prestigio ottenuto dopo il Congresso di Parigi, a fare accettare il principio del non intervento: se toscani, emiliani, romagnoli, modenesi, parmensi, non volevano i loro vecchi sovrani, bensì unirsi al Piemonte a formare un unico Stato, nessuna Potenza doveva intervenire. E così nacque il regno d'Italia. Ed il principio del non intervento si affermò. Le insurrezioni dei polacchi contro la Russia del 1830-3 le del 1863 riscossero la trepida simpatia di tutto l'Occidente, ma nessuno Stato si mosse, tentò una mediazione. Anche le stragi turche degli armeni poterono dar luogo a raccomandazioni, a platoniche proteste: ma nessuno Stato cristiano fece balenare neppur l'idea d'interventi. Solo nel 1896-98 si ebbe un primo strappo, verso il più debole degli Stati, al margine dell'Europa, con l'accorcio tra Inghil-] terra. Russia. Francia e Italia, per l'occupazione di Candia, Creta, ad evitare stragi. Ma quando al principio del nostro secolo prevalsero a Costantinopoli i «giovani turchi» le Potenze compresero ch'era finito il tempo della grande dormiente, del sultano Abd eiHamid. che. conscio della propria debolezza, piegava ad un arrivo di flotta francese od inglese, però nessuno Stato pensò di poter intervenire a favore del discreditato sultano. Naturalmente la dottrina ufficiale non nascondeva la realtà, specie nei Balcani: un lavorìo sotterraneo delle due grandi potenze antagoniste: né alla Russia né all'Austria erano indifferenti le vicende serbe, l'essere sul trono un Obrenovic o un Karageorgevic. ma ufficialmente in Europa (non in Africa né in Asia) il principio del non intervento restava fermo. E' ancora vivo? ufficialmente sì: gli stessi interventi russi in Ungheria ed in Cecoslovacchia sono stati giustificati con ciò che il Patto di Varsavia ha dato luogo ad una nuova figura, quella di Stati che sono sì. sovrani, ma legati da un vincolo per cui devono seguire un dato indirizzo, con il diritto degli altri d'intervenire se ci siano accenni a deviazioni da quella li- nea- * * Ma in realtà il principio, affermatosi in un clima di fede nel principio di natura, voluto quasi da Dio. degli Stati nazionali, formati cioè da popoli uniti nella lingua, nelle tradizioni, nelle consuetudini di vita: di fiducia nei popoli, che nei regimi liberi avrebbero sempre meglio affermato principi di democrazia, ha perduto le sue basi (e. se vogliamo rimpiangerlo, ricordiamo però che la «voce dei popoli» che doveva venir rispettata era quella del gruppo che si era imposto, della maggioranza di energie, che non coincide mai con la maggioranza numerica). Il principio è minato da tendenze antitetiche: allo Stato sovrano si sovrappone l'aspirazione a una unità europea, quanto possibile completa, nell'economia, nelle grandi linee della legislazione, nella moneta, nei mezzi di difesa: e. all'opposto, oltre all'eterna realtà del ricco che non vuole fare mensa comune col povero, la tendenza a sfaldarsi di unità che per secoli erano state indiscusse, come la Spagna, l'accentuarsi dei particolarismi e delle autonomie: anche il risorgere artificioso di lingue sepolte da secoli, la pretesa dei dialetti di essere chiamati lingue, forse premessa all'invocazione della vecchia dottrina: dove si parla la stessa lingua, ivi è la patria, la nazione. Minato il principio soprattutto dell'egemonia di alcune Potenze. In prima linea, poi. l'avanzata di un movimento che non vorrebbe conoscere confini, il comunismo, che di fatto ha costruito la più solida Potenza militare, sacrificando il benessere economico del popolo agli armamenti, ma avendo sempre nel suo programma il venir meno dell'apparato statale, la sovranità del partito, il partito unico, che avrà nei singoli ex Stati dei semplici dipartimenti. E così svanito l'ottimismo sulla saldezza delle democrazie, sulla felicità che avrebbero dato ai popoli, sul cittadino che può far valere direttamente la sua opinione. Minato fondamentalmente dalla sfiducia nel diritto, da un realismo che crede solo della forza, della ricchezza e delle armi. Resta il principio del non intervento degli Stati, seppure platonico: bene vi si appella la Russia se in un incontro diplomatico si parla dei suoi intellettuali perseguitati (è già un intervento che un ministro li riceva, che si offra loro una cattedra), dei suoi ebrei cui non consente di emigrare. Peraltro chi ha il potere interviene: gli Stati Uniti lo hanno fatto in qualche piccola Repubblica sud-americana. Ma non occorrono neppure soldati. Si è talora evocato come simbolo d'ipocrisia il ricordo della Chiesa allorché, proclamando Ecclesia abhorret a sanguine, consegnava gli eretici al braccio secolare, perché lo Stato eseguisse le sue condanne. Quella formula e quel rimprovero mi tornano all'orecchio quando sento tutti deprecare (santamente) una terza guerra mondiale, che sarebbe un immane macello, ma fabbricare e vendere armi, costruite dai grandi per incutere timore all'avversario, vendute ai piccoli, ai Paesi del Terzo Mondo, per le loro pur sanguinose guerriglie: ma ancor più mi risuonano allorché vedo che si può oggi senza spargere una goccia di sangue, debellare un Paese, porlo a terra, negandogli il combustibile, o con un sapiente dosaggio di cambi, di misure protettive contro le sue importazioni, di dumping, di barriere a quel che può esportare, lo si può porre in ginocchio così, col sorriso sulle labbra, con tutte le cortesie degl'incontri tra diplomatici. La formula del non intervento resta, ma dell'originario significato più nulla rimane. A.C. Jemolo DAL NOSTRO CORRISPONDENTE NEW YORK — Come si comporterebbero gli ostaggi dell'ambasciata americana a Telieran se fossero processati per spionaggio, o se dovessero testimoniare a un'inchiesta sullo Scià e sul presidente Carter? Il professor West non ha esitazioni. «Nella maggioranza, risponde, si confesserebbero colpevoli senza esserlo. Addurrebbero false prove a carico dello Scià e del Presidente. Anche involontariamente danneggerebbero in modo grave, con le loro deposizioni, se stessi e il Paese. «Nella circostanza, aggiunge, sarebbe un comportamento inevitabile, normale. E' dimostrato che in un gruppo di ostaggi, in certe condizioni, almeno i due terzi aderiscono alla causa dei carcerieri. Sono prigionieri da un mese e mezzo, un periodo molto superiore al necessario per piegare la volontà di chiunque. Sono certo che i carcerieri non hanno avuto bisogno di ricorrere al lavaggio del cervello, né all'ipnosi, né all'indottrinamento, né alle torture, né alle droghe se non forse in casi eccezionali. I comportamenti si condizionano automaticamente». Louis Jolyon West è il mas¬

Persone citate: Ferdinando Iv, Karageorgevic, Leopoldo Di Toscana, Louis Jolyon West, Luigi Filippo, Napoleone Iii, Obrenovic, Savoia