Attesa la sentenza d'appello per il rapimento Montelera di Vincenzo Tessandori

Attesa la sentenza d'appello per il rapimento Montelera Milano: i giudici in consiglio da ieri mattina Attesa la sentenza d'appello per il rapimento Montelera Trenta imputati responsabili anche del sequestro di Pietro Torielli ed Emilio Baroni - La banda era capeggiata da Liggio, assente al processo DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE MILANO — Si consuma nell'attesa della sentenza l'ultimo atto del processo di appello per i sequestri di Pietro Torielli junior, Luigi Rossi di Montelera ed Emilio Baroni. Da ieri alle 10,30 il presidente della terza sezione della corte d'appello, Dalberto Cassone e i giudici a latere Giovanni Arcai ed Edgardo Santachiara sono in camera di consiglio per decidere sulla sorte per 30 imputati. E" la mafia della «seconda generazione» ad essere sotto giudizio, gli uomini dell'«onorata società» che agli inizi degli Anni Settanta, sotto la guida del «padrino» Luciano Leggio detto «Liggio», avevano portato al Nord le proprie losche attività: il traffico della droga, il sequestro di persona a scopo di estorsione. Oggi, si dice, il ramo rapimenti è abbandonato, lasciato nelle mani di concorrenti accaniti, soprattutto i calabresi affiliati alla «'ndrangheta». Ma fra il 1972 e il 1974, la mafia organizza nel «triangolo d'oro» un'intensa attività e appare efficiente soprattutto la banda Liggio. Torielli viene catturato per strada a Vigevano la sera del 18 dicembre 1972, un lunedi: pagherà, per la propria liberazione, un miliardo e 470 milioni. Rossi di Montelera è bloccato a Moncalieri sul cavalcavia d'ingresso per le autostrade verso il Sud alle 10 del 14 novembre 1973. Quattro mesi esatti più tardi i giudici milanesi Giuliano Turone e Giovanni Caizzi e gli uomini della guardia di Finanza, lo trovano in una cella sotterranea in una cascina di proprietà dei fratelli Taormina, a Calvenzano di Treviglio. La liberazione avviene tre giorni prima del pagamento del riscatto, stabilito in tre miliardi da versare a Palermo. In quel marzo l'organizzazione doveva trovarsi in difficoltà: le trattative per il riscatto di Montelera andavano per le lunghe, cosi, il primo giorno del mese venne sequestrato a Lodi Emilio Baroni. Prezzo della liberazione: 800 milioni circa. L'inchiesta mise in luce gran parte dell'attività criminale della cosca. Finirono dietro alle sbarre «uomini d'onore» e «picciotti», «uomini de panza» e «padrini». Le manette furono messe a «don» Francesco Guzzardi. titolare di un'affermata impresa edile che aveva ottenuto anche appalti per la costruzione di tratti della metropolitana milanese: un nuovo «padrino», si disse. Lo hanno ammazzato a revolverate mentre era seduto al tavolo di un caffè di Cesano Boscone, alla fine del settembre scorso, pochi giorni prima dell'inizio del processo d'appello; in primo grado era stato assolto. E in un anonimo appartamento di Milano, gli inquirenti avevano catturato Liggio. E a Palermo era stato individuato e poi arrestato il reverendo Agostino Coppola, detto «padre Santa Lupara», della potente famiglia dei Coppola, pronipote di «Frank tre dita», pezzo da novanta di «Cosa nostra», personaggio di grande spicco anche nella mafia della prima generazione. Erano, quelli delle cosche siciliane, sequestratori con «mentalità industriale»; respingevano la crudeltà gratuita né rientrava fra i loro piani ammazzare l'ostaggio, perché considerato non soltanto inutile, ma dannoso air-attività-. Testimonianza di Luigi Rossi di Montelera. in un giorno attorno all'inizio del dicembre '73: «// capo mi legò al piede, mettendo uno spessore di tela attorno all'anello della catena, dicendomi che faceva ciò per essere sicuro di ritrovarmi vivo, poiché, testualmente, "a me la selvaggina serve viva e non morta "». Si arrivò a sentenza nel processo di primo grado, sabato 13 novembre 1976. dopo un conclave di 25 ore e 15. Liggio fu condannato a 18 anni e Giuseppe Pullara, suo braccio destro, a 13; Coppola a 14. e i tre fratelli Taormina a 19. Venne assolto Torielli che. vittima del sequestro, aveva avuto paura durante l'interrogatorio ed era stato rinviato a giudizio per reticenza e falsa testimonianza. E altri furono assolti. Cosi, il 3 ottobre scorso si è aperto il giudizio di appello, sempre nello stesso scenario, e cioè nell'aula magna del palazzo di giustizia, ma senza protagonisti importanti. Senza Guzzardi. morto ammazzato, e senza Liggio. che ha snobbato il dibattimento. E senza pubblico: ma la mafia è già soddisfatta perché nel silenzio ottiene i successi maggiori. Vincenzo Tessandori