Con la febbre dell'inflazione di Arrigo Levi

Con la febbre dell'inflazione INCHIESTA SULUECONOMIA DELI/OCCIDENTE NEGLI ANNI OTTANTA Con la febbre dell'inflazione Aggravata dal problema petrolifero, ha fiaccato l'economia dei Paesi più industrializzati - Un esperto dell'Ocse dice.: «Senza una buona politica dell'energia, la miglior politica antinflazionistica non basterà» - Molte crisi possono esplodere Ma dai colossali investimenti necessari per prepararsi al dopo-petrolio potrebbe anche nascere una nuova età dell'oro DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE PARIGI — «Senza una buona politica dell'energia la miglior politica economica non basterà a curare i mali dell'Occidente». Lo dice uno dei ìnassimi esperti dell'Ocse. l'organizzazione dei ventiquattro Paesi industrializzati dell'Occidente, il cui prodotto globale lordo supera oggi i 6 mila miliardi di dollari l'anno. La questione del petrolio, delle quantità disponibili e del presso a cui saranno vendute, è oggi dominante e lo rimarrà per diversi anni, nel determinare gli sviluppi dell'economia Ocse. Tuttavia, la politica dell'energia non è la sola cosa che conta per il nostro avvenire. Strategia Mi dice lo stesso interlocutore (gli esperti Ocse preferiscono rimanere anonimi): «I nostri mali non sono incominciati con la crisi del petrolio del 1973. ma prima, attorno al 1970. con l'inflazione le cui origini vanno cercate anche più indietro nel tempo, nella seconda metà degù Anni Sessanta». Avemmo negli Anni Sessanta un'età dell'oro dell'economia, perché non avevamo problemi d'inflazione, se non embrionali: la grande inflazione degli Anni Settanta è però la degenerazione di tendenze preesistenti e trascurate. «L'aumento dei prezzi dell'e¬ nergia dicono all'Ocse. fu un fattore acuto di aggravamento, e può impedirci oggi di guarire dall'inflazione. Ma non fu il petrolio l'origine storica della nostra crisi». Se fossimo entrati nella crisi petrolifera con un'economia sana non minata dall'inflazione, avremmo potuto assorbire gli aumenti del costo del petrolio molto più facilmente: la Germania e il Giappone ci sono riusciti. Oggi «l'energia rappresenta un grosso limite per la nostra crescita. Siamo stretti da un vincolo che deriva dall'inflazione e da un vincolo energetico. Per sciogliere questi due nodi dovremo agire in modo molto più aggressivo, al fine di ridurre il consumo d'energia; ma dovremo aggredire in modo altrettanto energico l'inflazione». Questa è la strategia Ocse per assicurarci un futuro prospero. Oggi gli economisti sì dividono in due categorie a seconda di come rispondono alla domanda: qual è il nostro male più grave? Alcuni dicono petrolio, altri dicono inflazìone. e hanno tutti ragione. Idue mali vanno combattuti simultaneamente, se si vuole preparare un'altra epoca di grande sviluppo per l'economia. Per capire meglio le prospettive economiche per gli Anni Ottanta e oltre, bisogna dare uno sguardo sintetico al passato. La storia degli ultimi ventanni, dal 1960 al 1980. si può dividere in tre pe- riodi. Il primo durò dal 196^ al 1973. e fu la continuazione del decennio dei «miracoli economici» tedesco, italiano e giapponese, i favolosi Anni Cinquanta. La crescita rapida continuò, e tra il 1960 e il 1973 il prodotto globale dei Paesi dell'Ocse crebbe in media del 5 per cento all'anno. La crescitaannua degli investimenti lordi fissi fu nello stesso periodo del 6.3 per cento. Questa fu «l'età dell'oro» dell'economia moderna: ma. negli ultimi due o tre anni di quel periodo, una prima ondata inflazionistica ne preannunciava già la fine: quando esplose, alla fine del 1973, fa «bomba petrolio». L'aumento di tre o quattro volte dei prezzi del greggio, nel giro di pochi mesi, segnò il tracollo del lungo boom. Si ebbero cosi due anni magrissimi: nel 1974 la crescita del prodotto lordo Ocse fu appena dello 0.5 per cento e gli investimenti diminuirono del 5.5; nel 1975 il prodotto lordo diminuì dello 0,7, e gli investimenti scesero ancora del 6.5 per cento. Nel Duemila Questi due anni di malattia acuta furono seguiti da una ripresa, se non proprio da una guarigione. Nel triennio 1976-78 la crescita media annua tornò a essere del 4,2 per cento, mentre gli investimenti ritornarono anch'essi ad aumentare del 4,1 percento l'anno. Nel 1976 l'Ocse aveva previsto che nel quinquennio 1976-1980 la crescita sarebbe stata addirittura del 5.5 per cento l'anno. Ma gli esperti si erano sbagliati. In seguito ai nuovi aumenti del petrolio nel 1979 e alla nuova crisi economica, il risultato probabile del quinquennio 1976-80 sarà una crescita media annua del 3.5 per cento e una crescita annua degli investimenti del 3.25. Questo significa che la malattia acuta del 1974-75 ha lasciato molto indebolito quel grande organismo che è l'economia dei Paesi industrializzati: tanto che si teme seriamente una ricaduta tipo '74- 75 se dovessero esserci altre tempeste petrolifere: purtroppo è virtualmente certo die ci saranno, anche se non sappiamo quando, e quanto violente. Dunque, per sopportarle meglio bisogna risanare l'organismo, bisogna abbassarne drasticamente la temperatura, bisogna insomma vincere la febbre dell'inflazione. Soffriamo di questa febbre (anche se in misura diversa da Paese a Paese) da ormai un decennio, e siamo quindi oggi in grado di capire come e perché l'inflazione fiacchi l'economia dì Paesi altamente industrializzati e ne freni lo sviluppo, molto meglio di quanto potessimo capirlo o prevederlo dieci anni fa. quando la grande inflazione aveva colpito soprattutto dei Paesi in via di sviluppo come il Brasile. Spiegano i miei interlocutori all'Ocse: «Quando una forte inflazione dura per parecchi anni suscita delle attese inflazionistiche profondamente radicate in tutti gli operatori. In un'atmosfera di insicurezza universale crescono le tensioni sociali: ogni individuo, ogni gruppo, pensa soltanto a difendere se stesso e a mantenersi un passo avanti agli altri. Tutti tentano di assicurarsi gli aumenti di reddito a cui erano abituati: ma ottengono soltanto aumenti dei prezzi. In questa situazione, non si ha più il volume di investimenti che sarebbe necessario per mantenere la crescita del passato». Confrontando le cifre che ho citato sopra: se gli investimenti (1976-80) crescono del 3.25 per cento anziché del 6,3 per cento l'anno (come net 1960-1973). il prodotto lordo aumenterà del 3,5 per cento l'anno anziché del 5. Contemporaneamente aumenterà la disoccupazione, perché, con una minore crescita e minori investimenti, non si creano nuovi posti di lavoro in misura sufficiente. Ma accadono anche altre cose spiacevoli. «Il fatto che l'economia è diventata meno efficiente, dicono i miei esperti, suscita tutta una serie di misure difensive, di protezionismi interni ed esterni, di sussidi a favore delle industrie in crisi o delle regioni più colpite. Questi protezionismi sono altrettanti vincoli per il libero mercato, riducono ulteriormente l'efficienza dell'economia e le aspettative di crescita futura. Dopo un decennio di bassi investimenti, ogni tentativo di stimolare la crescita urta molto presto contro strozzature produttive e provoca nuova inflazione: cosi è accaduto all'amministrazione Carter negli ultimi anni». / danni provocati dall'inflazione elevata e prolungata sono insomma molto gravi: «Negli Anni Cinquanta e Sessanta, l'uno per cento in più d'inflazione (quando le medie oscillavano tra l'uno e il tre per cento annuo) produceva un po' più di crescita. Ma oggi non è più affatto vero che l'inflazione produce più crescita: anzi è vero il contrario l'inflazione frena e blocca la crescita. Non torneremo ad avere il volume di investimenti che ci occorre per tornare a tassi di sviluppo ragionevoli, se non avremo prima distrutto le attese inflazionistiche, se non avremo ristabilito un regime di prezzi stabile». Afa possiamo vincere l'inflazione? La risposta che ottengo a questa domanda è cauta ma precisa: «Se avessimo una bacchetta magica con cui eliminare i fattori esogeni (il petrolio), dei governi coraggiosi potrebbero ricondurre l'inflazione entro limiti ragionevoli mediante una forte politica di controllo della domanda. Dovremo tenere le briglie corte alla domanda per diversi anni, finché saranno cambiati i comportamenti dei gruppi sociali. Questo non sarà piacevole, ma ne vale la pena, perché soltanto cosi l'organismo economico guarirà e torneremo al pieno impiego e a una crescita normale». Naturalmente, la bacchetta magica per mettere fuori giuoco i «fattori esogeni» non c'è. Qui si riaffaccia dunque il problema dell'energia e del petrolio. Dal nodo del petrolio non ci libereremo prima di quindici o ventanni di massicci investimenti, necessari per costruire una società e una economia che consumino meno energia, e per creare altre fonti di energia. Questo si può certamente fare. Il problema è se Io faremo abbastanza in fretta, quali crisi scoppieranno intanto nel periodo di transizione dall'economia del petrolio ali 'economia del futuro, come le sapremo affrontare e quali danni ci faranno. Impostato così il problema di ciò clic ci attende negli Anni Ottanta, bisogna pur dire die è molto difficile essere ottimisti. Concludo con due osservazioni. La prima è che quanto più pessimisti si è, tanto più urgente è mettere in moto le politiche antinflazionìstiche ed energetiche che sono la sola ricetta valida per una guarigione a lungo termine, e che comunque ridurranno i danni delle crisi die purtroppo esploderanno a breve e medio termine. La seconda cosa da dire è die per creare la nuova economia del dopo-petrolio. i Paesi industrializzati dovranno investire nei prossimi ventanni, da qui al Duemila e oltre, capitali semplicemente colossali, sema precedenti nella storia dell'economia. Alcuni esperti pensano che da questa necessaria rivoluzione strutturale e tecnologica possa scaturire una nuova età dell'oro dell'economia. Questi investimenti potrebbero cioè diventare il volano di una colossale espansione economica, non diversa da quella degli Anni Cinquanta e Sessanta, nell'epoca del petrolio. Questo lo dico, alla fine, per non lasciare il lettore con la bocca altrimenti troppo amara. Arrigo Levi

Luoghi citati: Brasile, Germania, Giappone, Parigi