I film della crudeltà di Gianni Rondolino

I film della crudeltà Stroheim, Hitchcock e gli altri I film della crudeltà André Bazìn: «Il cinema1 della crudeltà», ed. Il Formichiere, pag. 166, lire 6000. Alessandro Cappabianca: «Erich von Stroheim», ed. La Nuova Italia, pag. 95, lire 2000. «Se oggi esiste un cinema della crudeltà, Stroheim ne è l'inventore* scriveva André Bazin trent'anni fa, anticipando un giudizio critico che sarà largamente condiviso dagli studiosi seguenti, sino al Cappabianca che, nel suo recentissimo saggio su Stroheim, per molti versi stimolante e acuto, riapre in chiave semiotica e psicanalitica il discorso sul grande regista austro-americano, rifacendosi per molti versi alle indicazioni di Bazin. Questi, critico finissimo e intelligente, aveva saputo cogliere nel linguaggio filmico di Stroheim — l'autore incomparabile di Femmine felli, di Rapacità, di Marcia nuziale — una sorta di negazione di tutti i valori cinematografici della sua epoca. «Egli restituisce — scriveva Bazin — il cinema alla sua funzione primaria, lo riabitua a mostrare.! Distrugge la retorica e il di-, scorso, per fare trionfare l'evi-' densa*. La «crudeltà» di Stroheim, come degli altri registi presi in considerazione dal critico francese in questo libro postumo, messo insieme e presentato da Francois Truf f aut, è infatti in primo luogo l'infrazione alle regole costituite. In una prospettiva critica che vede il cinema ancorato alla riproduzione della realtà fenomenica ma gli concede la facoltà di svolgere un discorso metaforico proprio basan¬ dosi sul realismo dell'immagine fotografica, accanto a Stroheim non potevano man-' care, da un lato Cari Theodor Dreyer, dall'altro Luis Bunuel. E a Dreyer e a Buftuel Bazin dedica alcune pagine critiche di grande acutezza. L'introduzione del sovrannaturale nel reale attraverso una meticolosa registrazione della realtà, che fa di Dreyer l'ultimo grande regista mistico; o la presenza della «surrealtà» nei fatti quotidiani, osservati anch'essi con analogo realismo, che fa di Bunuel l'ultimo dei surrealisti, sono gli elementi che possono accomunare l'opera di due artisti estremamente lontani l'uno dall'altro. Ed è anche questa una forma di «crudeltà», nel senso che si mettono a nudo, con impietoso sguardo, quelli che possiamo chiamare i risvolti terribili della quotidianità, fuori dagli schemi morali, dalle convenzioni sociali. Un cinema, quello di Dreyer come quello di Bunuel —come quello di Stroheim —, che si serve del realismo connaturato col linguaggio filmico per fare esplodere le contraddizioni del reale. In questa prospettiva, possono sembrare meno convincenti gli scritti su Preston Sturges, Alfred Hitchcock, Akira Kurosawa, qui raccolti perché hanno in comune, se-; condo Truffaut, «una sorta di mentalità sovversiva*. Eppure anche in queste pagine l'intuito di Bazin è tale da indurci a riconsiderare film e autori sotto un aspetto che ne rivela la sostanziale moralità, come sintomo di anticonformismo. Gianni Rondolino

Luoghi citati: Buftuel Bazin, Bunuel, Dreyer, Italia