Mercante-manager del Trecento di Francesco Rosso

Mercante-manager del Trecento In 150 mila lettere l'avventura di un uomo e un'epoca Mercante-manager del Trecento Iris Orif.o: <-Tl mercante di Prato», ed. Rizzoli, pag. 302, lire 12.000. Traduz. Nina Ruffini. All'inizio c'è una polemica alquanto aspra, come accade quando due studiosi si ritrovano a rosicchiare contemporaneamente un solo osso. Fra l'autrice italo-americana Iris Origo ed il curatore dell'archivio di Casa Datini Federigo Melis non ci fu mai buon sangue, entrambi avevano messo su una vera miniera di lettere e diari di un ricco mercante toscano, e è comprensibile che ognuno volesse giungere primo con un'opera che poteva essere fondamentale per comprendere le condizioni di vita dell'Italia medioevale. Ci arrivò la marchesa Origo' e il suo libro, apparso in Italia nel 1958 da Bompiani con una prefazione di Luigi Einaudi, ebbe vasto successo di pubblico e di critica perché, da buona pragmatista americana, la signora Origo, senza trascurare gli aspetti economici della vicenda, puntò soprattutto a dare un ritratto il più fedele possibile di un ricco mercante toscano di poco posteriore a Dante, Petrarca e Boccaccio, guardandolo dal buco della serratura, cioè, cercando nelle centocinquantamila lettere ed i cinquecento registri lasciati da Francesco di Marco Datini, gli elementi da cui, oltre a trovare la chiave per comprendere la vita italiana a cavallo tra Medioevo e Rinascimento, venisse una lettura comprensibile anche ai meno avvertiti. La riedizione del libro a distanza di tanti anni ha una giustificazione; l'opera era ormai introvabile, e nel frattempo erano usciti altri studi che sono serviti all'autrice per correggere alcune inesattezze. Lo racconta onestamente lei stessa in una breve nota introduttiva, correzioni che sono di poco conto, perché il nuovo libro rimane fondamentalmente identico al primo, cioè un'opera di storia economica raccontata quasi come un romanzo in cui il protagonista, il mercante pratese Francesco di Marcò Datini vien fuori a tutto tondo nel panorama di un'epoca grandiosa e sciagurata, fra battaglie, papi ed antipapi, pestilenze d'ogni sorta, campanilismi e rivalità tra fazioni dì una stessa città. Francesco Datini, ricchissimo, può ben essere il protagonista di un romanzo del tardo medioevo. E' mercante abile, lavoratore sfrenato, avido, lussurioso, pavido, non diverso da un imprenditore odierno; accumula danari e froda il fisco, elude le cariche politiche e, come i suoi colleghi, lascia l'amministrazione della cosa pubblica alla burocrazia che «da quel dì è rimasta una delle piaghe della vita politica italiana*. Il merito dell'autrice è di aver scrutato nello sterminato epistolario del Datini le qualità, i difetti, le virtù ed i vizi di un uomo che non sfigurerebbe nemmeno ai giorni nostri. Commerciava in panni, preziosi, armi, pellami, vini, olio, ed anche in schiavi, specie in schiavette, che servivano a molti usi. Già allora erano di moda le 'colf esotiche, ricercatissime, perché anche a quei tempi di cameriere locali c'era penuria. Non esistevano cinema e teatri, ma c'erano le chiese coi predicatori, e c'erano monaci che la facevano da divi del pulpito. «Non mancare le prediche di fra Giovanni, scriveva la moglie Margherita al Datini, è affascinante*. La peste mieteva regolarmente vittime e l'autrice va a cercare le lettere che indicano le medicine per curare le malattie. La casa era il centro della vita, nella corrispondenza di Datini con la moglie si trovano ricette per cucinare certe vivande. Bisognava ve-' stirsi, e ne scaturisce il mercante aggiornato, che descrive alla moglie gli ultimi modelli creati dai sarti dell'epoca. Se i brani di lettere riprodotti sono di lettura alquanto faticosa, ci sono però le pagine della scrittrice a imporre vigorose cabrate narrative, abilissime, all'opera che risulta piacevole ed istruttiva in sommo grado. Francesco Rosso

Luoghi citati: Italia, Prato