Che fecero i partiti durante il fascismo

Che fecero i partiti durante il fascismo NUOVI STUDI SULL'ITALIA DI EBRI Che fecero i partiti durante il fascismo Prima degli Anni Sessanta, c'era un solo libro, e per di più un libriccino, che dedicasse ai partiti politici nella storia d'Italia una sintesi panoramica, globale, dal Risorgimento all'agonia dello Stato liberale. L'aveva scrìtto a Firenze di getto, subito dopo la liberazione, Carlo Morandi, un compagno di cordata di Maturi e di Chabod in quella generazione di storici anticipatori dell'antifascismo dall'interno delle aule universitarie italiane, negli anni fascisti: allievi, diretti o indiretti, della lezione di Croce,' innestata sul metodo, ma non sugli ideali, di Volpe. Morandi: uno storico che proveniva dal giornalismo, che aveva conservato, del mestiere giornalistico, tutte le curiosità, le insoddisfazioni, gli umori e malumori. Collaboratore assiduo, negli anni della guerra, di' quella singolare ed eclettica rivista tollerata dal regime, con quel titolo un po' mazziniano Popoli, che era nata all'ombra dell'Ispi di Milano, una testata cara ai libri, non meno tollerati, di Luigi Salvatorelli. Poco più di cento pagine, uscite in una collezioncina della casa Le Monnier, «Cultura viva», che poi era morta per strada. Sopravvissuto, il libro, alla scomparsa prematura di Morandi, stroncato nel 1930 ad appena quarantasei anni (e Paolo Serini doveva sempre curarne, per Einaudi, la raccoltar completa degli scrìtti storici, secchi, scarni, essenziali: un progetto rimasto purtroppo tale). Attualizzato, per la bibliografia, nelle successive edizio-' ni, da Walter Maturi. Ma fermo ostinatamente a quelle colonne d'Ercole del 3 gennaio 1925, le leggi eccezionali, la fine dello Stato liberale, il termine cronologico che nel '45 era il solo che potesse adottare uno storico che volesse parlare di partiti politici, e non del partito unico totalitario, almeno sulla scena italiana. La società italiana si stava trasformando in modi radicali, ma il libretto di Morandi continuava ad avere un successo eccezionale. Rimaneva la sola guida valida per i concorsi delle scuole secondarie e dell'uni-' versità. Si approfondivano gli studi monografici (sarebbe sta-, to impossibile contare i libri, e libercoli, sul socialismo), ogni partito curava collane monografiche prò domo sua. Ma non nasceva una nuova e più aggiornata sintesi; il vecchio Perticone non bastava allo scopo. Raccogliendo il volumetto di Morandi nella mia collana '«Quaderni di stori?», nata nel '62, presi una decisione che suscitò non poche polemiche e critiche negli amici di Morandi, e non solo in quelli; pregai un giovane storico che aveva respirato nel clima morandiano del vecchio fiorentino «Cesare Alfieri», allievo di quella facoltà e più tardi suo preside, Luigi Lotti, di dedicare un aggiornamento al periodo 1925-1943, sotto il profilo dell'emigrazione antifascista, cioè della lotta clandestina dei partiti in Italia e all'estero. «Gruppi e correnti politiche nella resistenza al fascismo: 1926-1943»: cosi si chiamò l'appendice di Lotti. Che fece poi corpo col libro e ne accompagnò le successive, innumerevoli edizioni. La vicenda mi è tornata in mente scorrendo l'ultimo volume, uscito in questi giorni, della Storia dell'Italia contemporanea ideata e diretta da Renzo de Felice per le Edizioni scientifiche italiane. Un'opera che punta alla divulgazione, ma attraverso storici professionali (almeno nei limiti del possibile). Siamo oggi al quinto volume che si intitola Resistenza e Repubblica 1943-1956. E mi haj fatto molto piacere constatare i che l'amico De Febee abbia! avuto un'idea analoga alla mia, non più come conclusione del testo ma come premessa condizionante e necessaria, quasi violatrice dei confini cronologici fissati sul frontespizio. 1 Prima del racconto, analitico, diligente, talvolta un po' distaccato che Lamberto Mercuri, un vecchio combattente dell'azionismo, ha dedicato agli anni 1943-1956 — pieno di tabelle, di grafici, di note, di elenchi dei ministeri, di tutti i corredi necessari — il direttore della collana ha voluto che una prima parte fosse dedicata integralmente all'«antifascismo all'estero» ed ria egualmente voluto che il compito, delicato e difficile, fosse assolto da uno storico universitario, da Simona Colarizi, autrice delle prime fondamentali ricerche sull'«Unione democratica nazionale» di Giovanni Amendola e dei I due volumi laterziani sull'Italia antifascista. Sono sessanta pagine, ma essenziali nell'economia dell'opera. Ormai non è più concepibile la storia del fascismo senza quella dell'antifascismo, e viceversa. Proprio l'autore della monumentale biografia di Mussolini, lo storico che da anni dedica ogni minuto del suo tempo all'approfondimento del suo complesso e sfuggente protagonista, ha consacrato tale innesto, che ancora vent'anni fa suscitava dubbi di metodo, provocava incertezze e contrasti. E' una storia, quella tracciaIta da Simona Colarizi, che suscita sempre maggiore interesse, che stimola un complesso di pubblicazioni suggestive, e non più soltanto nell'area dei partiti di massa, depositari di tutto, anche in materia, fino a pochi anni fa. Le correnti ereticali, né comuniste né socialiste né cattoliche, tornano ad avere il loro peso e il loro valore. Metà delle pagine della Colarizi sono dedicate, e giustamente, a «Giustizia e Libertà» e all'esperienza del «socialismo liberale». La Colarizi non cancella, com'era di moda una volta, le forze cosiddette minori. Ci sono notazioni molto belle dedicate all'emigrazione repubblicana (uno dei primissimi partiti che si ricostituì formalmente in Francia agli inizi del '27), alla dissidenza di Schiavetti rispetto alla «concentrazione» di Parigi, alla nascita e alla breve durata del progetto di fusione repubblicano-socialista. Si può' rimproverare all'autrice di' queste pagine asciutte e documentate di aver concentrato tutta la sua attenzione, o quasi,. sui filoni parigini dell'emigrazione politica, trascurando gli altri filoni che presero la via di. Londra o degli Stati Uniti. Il' ruolo di Gaetano Salvemini è,: indirettamente, impicciolito! dalla sintesi della Colarizi; cosi quello, decisivo, di Carlo. Sforza. Si può anche discutere sul limite rigido del 1943, fra clandestinità e ritorno alla lotta politica. In questo volume non c'è saldatura fra il racconto della Colarizi e quello, diversamente articolato, di Mercuri. Il colpo di Stato del 25 luglio rimane un po' staccato e isolato dal contesto di una storia complessa e sinuosa in cui l'emigrazione politica ha operato, in stretta congiunzione con Tanti-: fascismo di casa, quello di Croce, di Bonomi, di De Gasperi. di La Malfa. La rielaborazione storiografica dovrà mescolare un giorno tutti gli apporti, rifondere tutti i singoli contributi, ristabilendo proporzioni che in quest'opera sono intuite ma non, per la verità, pienamente realizzate (segnalerei anche alcune sviste, per la successiva edizione: a pag. 201 il governo De Gasperi di coalizione del dicembre 1947 è indicato prima del governo De Gasperi monocolore succeduto alla crisi del maggio '47, con una violenza alla cronologia che diventa anche violenza alla logica). Quella che conta è l'unità di una storia contemporanea ricuperata in tutte le sue componenti, senza più distinzioni fra la lotta politica, sia pure soffocata in Italia dalla dittatura, e la contenuta e spesso contrastata lotta politica dispiegata fra le formazioni antifasciste, in un esilio amaro, travagliato, solcato da dubbi, da riserve, da crisi di coscienza. Qualcosa di simile avvenne in Italia dopo il Risorgimento. Ci vollero anche allora trent'anni, e forse più, perché il valore della cospira¬ zione mazziniana, attenuata all'inizio dalle prudenze o dagli eufemismi del conformismo cortigiano, riuscisse ad entrare nei libri di testo e ad alimentare una storiografia degna del nome (accanto a quella delle vittoriose istituzioni liberali e monarchiche). Solo dopo la fine del fasci-' smo i due moti, il primo e il secondo Risorgimento, tornarono ad unirsi, e quasi a intrecciarsi, perfino nelle formule magiche, perfino nelle insegne dell'azione politica o cospirativa. Giorni fa, parlando a Milano al convegno sul «socialismo liberale» promosso da talune riviste e sottolineando quanto la formula rosselliana dovesse all'educazione mazziniana del futuro martire di Bagnoles-del'Orne, ricordavo come il no-' me del «partito d'azione», nel secondo Risorgimento, fosse stato ripreso di petto dalle esperienze risorgimentali. Ad opera di un patriota che aveva nel suo animo, nella sua gentilezza, nella sua infinita bontà, qualcosa di risorgimentale: Mario Vinciguerra. Giovanni Spadolini