Catturato il vice di Liggio era ricercato da sedici anni

Catturato il vice di Liggio era ricercato da sedici anni Considerato il boss più sanguinario della Sicilia Catturato il vice di Liggio era ricercato da sedici anni È Leoluca Bagarella, 36 anni, coinvolto in delitti, sequestri, stragi Bloccato su una «127» a Palermo: forse è stato tradito da una spiata DAL NOSTRO CORRISPONDENTE PALERMO — Il vice di Luciano Liggio, che tutti ritengono il più sanguinario boss della mafia siciliana. Leoluca Bagarella, trentaseienne, è stato catturato per caso ieri mattina in corso Vittorio Emanuele a PaleAno. Lo cercavano da sedici anni. Lo accusano di omicidi, sequestri ed associazione a delinquere. Due carabinieri (è questa la versione ufficiale) l'hanno notato su una «127» verde e l'hanno riconosciuto e bloccato. «Sono Salvatore Di Maggio» ha detto il mafioso esibendo una carta d'identità falsa. Poco più tardi, in caserma, al capitano Tito Baldo Honorati, del reparto operativo, messo alle strette ha urlato, spazientito: «Sono fatti miei, tanto non parlo». Era molto nervoso ed incerto. Probabilmente il luogotenente di Liggio è stato tradito da un confidente. Alcune coincidenze, inoltre, fanno credere che l'arresto sia seguito all'omicidio — tre sere fa — di Stefano Marfia, 37 anni, massacrato da due killers mentre era in automobile con la moglie, alle porte di Palermo. L'ucciso aveva in braccio il figlio di un anno che, con la madre, è stato solo sfiorato dalle pallottole. I cognati di Marf ia. i macellai Melchiorre e Salvatore Sorrentino, sospettati di connivenza con la «cosca Liggio», sparirono misteriosamente in una torrida mattina di giugno. Poco dopo, in un alloggio di Palermo, la polizia trovò le loro tracce ma, soprattutto, vi scopri un involto con quattro chili di eroina pura. Accanto c'era un documento d'identità falso con la foto di Leoluca Bagarella. Guidava gli agenti, nell'irruzione, il vicequestore Boris Giuliano, poi assassinato il 21 luglio scorso. Nei delitti impuniti a Palermo Leoluca Bagarella c'è dentro come più non potrebbe. Il giudice l'ha anche indiziato di aver ucciso, in concorso con ignoti, la sera del 20 agosto 1977, il colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo. In aspettativa da sei mesi, l'ufficiale per oltre dieci anni aveva diretto le indagini dell'Arma sulla mafia. Con Russo, in uno spiazzo nell'intrico dei castagni e dei faggi nel bosco «Ficuzza» a nove chilometri da Corleone e a 51 da Palermo, passeggiava un amico, il maestro elementare Filippo Costa. Assassinarono anche lui. II nome di Bagarella comunque ricorre puntualmente in altri inquietanti fatti della mafia di Corleone. dove Liggio. agli inizi degli Anni Cinquanta, organizzò una «cosca» spietata. Con loro, per la prima volta, fu soppiantata la lupara e in Sicilia apparvero i mitra e le pistole automatiche. Per affermarsi Liggio. con i suoi fidati, uccise il medico Michele Navarra. direttore del locale ospedale e presidente della sezione di Corleone della Coltivatori diretti, un potente capo-elettore de che controllava almeno cinquemila voti da riversare su questo o quel candidato. Fianco a fianco di Liggio, Bagarella sarebbe stato poi coinvolto in una quantità di rapimenti per i quali è in corso a Milano il processo d'appello, che vede, fra gli imputati, anche don Agostino Coppola. Ed il religioso riconduce direttamente a Bagarella. Lui infatti avrebbe unito in matrimonio qualche anno fa (in un appartamento nel rione periferico «San Lorenzo», in assoluta segretezza) la maestrina elementare Antonietta Bagarella e il latitante Salvatore Riina, altro amico di Liggio. Antonietta è sorella di Leoluca: bassina. bruna, graziosa, ormai alle soglie dei 40 anni, sarebbe stata la «postina» della cosca mafiosa corleonese. Fu la prima donna in Italia ad essere inviata al confino (andò in Puglia). A Riina l'avevano «promessa» fin da bimba. Nell'alloggio la polizia — ancora su mandato del vicequestore Giuliano — fece un'improvvisa «visita» e rinvenne alcuni inviti di nozze recanti, appunto, i nomi di Antonietta Bagarella e Salvatore Riina. L'ingerenza non venne tollerata: pochi giorni dopo, per «punizione», fu assassinato il poliziotto del quartiere, il maresciallo Angelo Sorino. Antonio Ravidà