New York: febbre degli Anni 20 di Furio Colombo

New York: febbre degli Anni 20 TRIONFANO LE MOSTRE SUL DECENNIO CHE CAMBIO' LA NOSTRA VITA New York: febbre degli Anni 20 Un'epoca in cui è stato immaginato e realizzato tutto - Mai se ne erano visti, accostati con fantasiosa bravura, tanti documenti e reperti: manifesti, pittura, arredamento (dalla teiera alla sedia a sdraio), la fotografia, la moda - L'arte e l'ideologia s'impossessano della macchina - Le città e i modi di abitare: dalla Bauhaus a Le Corbusier - Una nuova passione: la radio NEW YORK — E' tempo di mostre a New York, come sempre all'inizio dell'inverno. La scelta è grande. Si può andare a vedere De Kooning e sapere dov'è finito l'impressionismo astrattista americano. Si può andare da Sam Francis e avere notizie delle sue macchie. Si può visitare il revival di Larry Rivers e constatare a che cosa sta applicando il suo talento, adesso, il più eclettico pittore degli Anni Sessanta. C'è Andy Warhol con le sue fotografie e c'è Segai con le sue statue «vere come la vita». Eppure la folla, intenditori e curiosi, visitatori occasionali e discepoli veneranti, va e viene fra altri punti della città che sembrano congiungere un nuovo culto. Son le mostre degli Anni Venti, manifesti, grafica, pittura, oggetti, arredamento (dalla teiera alla sedia a sdraio;, la fotografia, la moda. Sono le donne abbracciate e miste- riose dei due grandi pittori \ della «Vienne moderne. Schiele e Klimt. La sensazione, insieme inquietante e pia¬ cevole, è di conoscere tutto. Non perché le mostre non siano straordinarie e inedite. Al contrario. Non si era mai visto tanto e con tanto fantasiosa bravura nell'accostare documenti e reperti. Il disagio viene dalla constatazione, cui è impossibile sfuggire, che in quell'incredibile, inspiegabile epoca che comincia un po'prima, finisce un po' dopo •gli Anni Venti' (dalle dolcezze della Vienna pre-guer- ra alla febbre della Germa- nia pre-nazista), è già stato immaginato e realizzato tutto. E' l'impressione di chi ha avuto un padre troppo forte, un maestro troppo autorevole o un'infanzia troppo felice. C'è il rischio che dopo non resti niente. Non si tratta adesso, in un momento di entusiasmo, di svalutare altri decenni di attività creativa. Ma questi Anni Venti, una specie di 'scatola nera' di tutto il secolo, sembrano, quando uno li va a rivedere, contene- re un segreto. O almeno un avvertimento. Come se avvicinarsi troppo al punto per¬ fetto della bellezza volesse dire rischiare troppo, spingere alla distruzione e alla guerra. Possibile? «In Germania, dice Wilj liam Lieberman, il critico del I Museum of Modem Art che j ha organizzato la mostra "Arte nei Venti", li chiamavano gli anni d'oro. In Francia li ricordano come gli anni folli. Gli americani, forse influenzati da Hemingway, gli hanno dedicato lo slogan di anni ruggenti. Quello che soprattutto affascina e confonde, riguardando i materiali di quel periodo, è che stiamo vivendo ancora, giorno per giorno, oggetto per oggetto, della spaventosa creatività che si ammassa in un breve angolo di mondo, in un rapido frammento di secolo.. Lieberman ha organizzato la mostra dividendola in sezioni che non sono omogenee, non si corrispondono né in modo logico, né in modo critico, ma in una sequenza, lui dice, che era inevitabile, «perché le zone di crescita sono state troppe e troppo diverse, un incrocio fra lo splendore di troppa vita e la paura di cellule impazzite che si riproducono in tutte le direzioni». Una sezione della mostra si chiama .Le macchine.. Vi trova spazio l'incanto della macchina nel modo in cui era esploso in quel tempo, oggetti, manifesti, quadri e fotografie. La locomotiva domina i manifesti tedeschi, le litografie russe, le réclames francesi il nascente iperrealismo americano (c'è già Edward Hopper, con i suoi tratti più veri del vero). Una cosa si nota subito in questo furore che circonda le macchine e che scatena la febbre di decine di artisti. La macchina è il bene, nessun pericolo o minaccia viene dalla macchina. Nella macchina c'è il miracolo e l'attesa del miracolo. L'ideologia s'impossessa della macchina. Ma accanto al nitido disegno delle strutture che producono, accanto alla famosa tela di Leger (1919) che si chiama semplicemente Ingranaggi Meccanici, ci sono le terree facce dei Mercanti di uomini deformati dalla mano di Grotz. Cattivo può essere chi controlla le macchine o manipola il lavoro. Ma non il lavoro, non le macchine, che l'artista immagina e rappresenta bellissime. Anzi, ciò che questo decennio di corsa violenta verso il futuro dimostra è insieme un eccitato amore per il congegno meccanico (che si estende all'oggetto pratico, al mobile e alla sedia della vita quotidiana) e un'ansia profetica per il destino delle creature umane, dei corpi. La lucente bellezza delle locomotive appare, nelle collezioni e nelle gallerie, accanto alle fragili figure umane di Klimt e di Schiele, che mostrano, tutte, di essere feribili da un vizio, da un tormento, dalla naturale inadeguatezza fisica. I nudi, specialmente i nudi maschili nei disegni di Schiele, appaiono oggi una strana allucinazione sul martìrio dei campi di concentramento che sarebbe cominciato a succedere solo pochi anni dopo. Un'altra'sala della mostra Anni Venti del Museum of Modem Art di New York si chiama .La città.. Al centro, generatore di tutti i modi di vivere e di abitare che abbiamo conosciuto fino ai giorni nostri, il modellino originale della Bauhaus. E'strano che, insieme, nella stessa epoca, e quasi con le stesse mani, il segno di creazione e riproduzione della realtà si faccia dritto e nitido (dalla Bauhaus a Le Corbusier) e anche contorto e delicato e malato come II sifilitico di Dix, o I mendicanti di Beckmann, o Giornale quotidiano di Scholtz. La stessa città, d'altra parte, è splendore e incubo, paura e festa, solitudine e folla. E la folla è, in un quadro. La passeggiata e nell'altro un'assemblea di mendicanti. Nessuna sala è dedicata all'ossessione che filtra attraverso tutti i materiali degli Anni Venti: la rivolta o la rivoluzione. Ma essa è celebrata nella sua prima fase, di illusione e bellezza, dall'avanguardia sovietica, da fotografie, che ispirano il senso di qualcosa di giovane, primaverile, nuovo, come quella di Todchenko intitolata Preparandosi per una dimostrazione. La radio è un'altra passione. Il senso del potere emana dal mistero della comunicazione sema fili e sembra estendersi attraverso quasi tutte le opere. Il centro di questa ossessione compare varie volte, dalla famosa fotografia che si intitola La torre della radio di Berlino di Moholy-Nagy, alla misteriosa Brezza di Man Ray alla Prima pagina di Steichen. Comunicazione è anche viaggiare. Oltre al mito della locomotiva, le ruote ci sono dappertutto, negli scorci lucenti delle nuove automobili, negli effetti, derivati dal futurismo, di velocità, di movimento in azione, nella strana profezia di un aereo che vola a bassa quota (lì bombardamento, di Dix) all'immagine, da incubo del dirigibile Zeppelin, sollevato appena pochi metri da terra in perfetta posizione parallela, fotografato da un autore ignoto, vera e propria conferma che la follia di Magritte e dei suoi oggetti insensati e sospesi non era senza radice. Nel corso di questa esplorazione, di sala in sala, i segni si fanno duri, precisi: compare, accanto alla Bauhaus e alle case di Richard Neutra, la pittura di Mondrian. Ma più duri diventano i contomi dell'astrazione, più sfatte e sofferenti o languide o stremate sembrano diventare le figure umane, come se l'energia fosse malignamente sottratta agli uomini e passata alle macchine, tolta alle forme sensuali della vita-natura e data invece al rigore della macchina e delle forme geometriche. Dove, in questo contìnuo alternarsi di vitalità e di angosciato presagio, si collochi la rivoluzione e il suo mito, è difficile dirlo. Vi partecipano gli abbandonati e i potenti, l'eleganza, la forza, in un sogno che è soprattutto guidato da impossibile criterio estetico, come se una enorme corsa dell'umanità stesse prendendo il via non verso qualcosa di più giusto o più uguale, ma verso qualcosa di più raffinato e più bello. C'è una cosa che a William Lieberman, l'organizzatore della mostra, al Museum of Modem Art, preme di dire su questi misteriosi Anni Venti. «E' il solo decennio in cui c'è uria vera folla di genialità. Nessuno, neppure Picasso, domina sugli altri. E'un furore di bellezza collettiva. Si direbbe che in quel decennio la febbre dell'arte è cresciuta fino a coprire la vita, come è salita la giungla a inghiottire le città nelle foreste brasiliane». La gente che popola questi quadri, disegni, litografie, sembra accomodarsi in un grande intervallo, fra bellezza e squallore. Gli oggetti raggiungono una forma perfetta. Non sarà più possibile, mutare quella forma, dopo quegli anni. Chi non è incline, all'antiquariato contìnua a vivere fra oggetti e proporzioni che sono stati decisi in quel tempo, in una strana armonia con le nuove tecniche, e nell'illusione che le nuove tecniche avrebbero creato una nuova vita, sarebbero state esse stesse .rivoluzione.. L'operazione critica con cui sono state organizzate le mostre sull'arte negli Anni' Venti, sembra essere stata' ispirata dalla ricostruzione di questa doppia febbrile intuizione: si stava creando una dissociazione fra l'energia delle macchine e la delicatezza della vita, fra potenza e bellezza, fra grandiosità tecnologica e fragilità delle mani (quante mani belle, deboli, delicate, contorte compaiono in queste immagini) che avrebbero dovuto dominare e domare quella tecnologia. E' una storia di sogni, di attese, di celebrazioni, di esaltazioni, di fallimenti. E' tutto il secolo in dieci anni. Salvo sorprese. Furio Colombo

Luoghi citati: Berlino, Francia, Germania, Moholy, New York, Vienna