Il Paese dei dottori di Mario Salvatorelli

Il Paese dei dottori fi nostri soldi di Mario Salvatorelli Il Paese dei dottori La scarsa partecipazione dei genitori alle elezioni per i consigli scolastici ha suscitato nell'opinione pubblica, e in quel suo specchio, più o meno fedele, che è la stampa scritta e parlata, un'eco molto più fievole di quel che ci si poteva, attendere. La disoccupazione giovanile, evidentemente, non insegna nulla alla scuola, ostinatamente attaccata al suo motto: maestra di vita, che forse era giusto un tempo, mentre oggi è quasi ridicolo. Il fossato che separa la scuola dalla vita, invece di colmarsi, si approfondisce sempre di più, con i risultati che tutti sappiamo, o meglio dovremmo sapere, ma che gli studenti, le loro famiglie, gli insegnanti rifiutano an-, che solo di prendere in considerazione. Un aspetto di questo distacco tra la scuola e la vita lo si può ricavare da quella miniera inesauribile di notizie che è costituita dal nuovo rapporto del Censis sulla situazione sociale del Paese, di cui si occuperanno diffusamente, da domani in poi, i giornali. Qui mi limito a un'osservazione: il rapporto tra laureati, specializzati in medicina e popolazione, indica una tale divergenza tra teoria e pratica, ambizioni e bisogni, da risultare incredibile. In poche parole, anzi in poche cifre, ecco il quadro della situazione. Negli ultimi dieci anni, dal 1969 al 1978, il numero dei laureati in medicina e chirurgia si è quadruplicato in termini reali, cioè in rapporto alla popolazione, perché è salito da 6,4 a 25,4 ogni centomila abitanti. Quasi nello stesso periodo — le cifre in questo caso si fermano al 1975 ma la tendenza è sufficientemente eloquente — il numero dei diplomati nelle diverse specialità mediche è rimasto quasi invariato: da 8,7 a 9,1 ogni centomila abitanti. Di medici in Italia ce n'erano già troppi anni fa: quasi 20 ogni 10 mila abi- tanti nel 1975, quando in Gran Bretagna erano meno di 14, in Francia e in Olanda meno di 16, e solo nella Germania Occidentale si avvicinavano alla nostra 'densità*, con 19,3, sempre ogni 10 mila abitanti. Tuttavia, la caccia alla laurea in medicina non conosce stagioni, è sempre aperta. Intanto, il personale specializzato, che fa da necessario supporto all'opera del medico negli ospedali, e spesso può efficacemente sostituirla, non aumenta, quindi in pratica scarseggia sempre di più. Ma si sa: questo è il Paese dei dottori e dei professori, e sembra ancora lontano il tempo in cui potrà diventare, soprattutto in certe attività, un Paese di professionisti. Dimenticavo, però, una cosa: stiamo tutti riscoprendo, anche i sindacanti l'importanza della professionalità. Attendiamo, quindi, con fiducia, che da questa riscoperta derivi un rilancio della serietà e della dignità del lavoro, in tutte le attività e con ogni grado di diploma scolastico. I medici e la vita Non sembra, tra l'altro, che ci sia un rapporto stretto e conseguenziale tra •densità» dei medici e mor¬ talità. Se si mettono a confronto due tabelle, quella del numero dei medici e quella del numero dei morti, ovviamente in rapporto alla popolazione, il risultato, infatti, è deludente. Per esempio, in Olanda, dove, come si è detto, i medici sono meno di 16 ogni diecimila abitanti, i morti sono appena 7,9 ogni mille abitanti. Nel vicino Belgio, invece, dove i medici sono 17,6 ogni diecimila abitanti, i morti sono V11.4 per mille. Infine, l'Italia e la Germania Occidentale sono assai vicine come «densità» di medici, ma assai lontane come mortalità: 9,6 per mille da noi, 11,5 in Germania. Possiamo vantarci, a questo proposito, di essere secondi solo all'Olanda, nella Comunità europea, e con una netta tendenza al miglioramento. Infatti, il tasso di mortalità in Italia era più che triplo un secolo fa, cioè 29,9 ogni mille abitanti, e ancora quasi doppio cinquantanni fa. Da un punto di vista «economico», ovviamente, questo crescere della longevità crea dei problemi. La vita media un secolo fa non arrivava a 38 anni, a causa dell'altissima mortalità infantile, poi si è portata a 60 anni alla vigilia dell'ultima guerra mondiale, ed oggi supera i 76 anni. Ne sa qualcosa, di questi problemi, l'istituto delle pensioni, che oggi scricchiola sotto un peso doppiamente crescente, perché aumenta il numero delle persone che hanno diritto alla pensione e si allunga il periodo della riscossione. E' ovvio che il problema non si risolve eliminando gli anziani, ma adeguando i contributi previdenziali di tutte le categorie, e non solo di alcune, agli assegni che dovranno percepire al termine della vita lavorativa. E' ciò che si sta tentando di fare, ma non sembra che in questo sforzo trovi posto lo scrupolo doveroso di non violare i diritti acquisiti da chi ha già versato, o sta versando, il dovuto.