Scuse libiche agli Usa per l'attacco di Tripoli

Scuse libiche agli Usa per l'attacco di Tripoli In pericolo le relazioni diplomatiche Scuse libiche agli Usa per l'attacco di Tripoli Washington le ha però definite «inadeguate» e sta riesaminando l'intera gamma dei rapporti con la Libia - Rivelati scontri in Arabia Saudita, con molti morti, fra soldati e sostenitori di Khomeini DAL NOSTRO CORRISPONDENTE NEW YORK — Il governo libico ha porto «profonde scuse» agli Stati Uniti per l'attacco di domenica all'ambasciata americana a Tripoli, rafforzandone la guardia. Ma il Dipartimento di Stato ha definito «inadeguata» la risposta alla sua nota di protesta, asserendo che essa non riconosce la responsabilità del governo libico per la sicurezza del personale Usa, né l'obbligo del risarcimento danni. «Desideriamo — ha detto il portavoce Hoddìng Carter — che il governo libico garantisca la protezione sia dell'ambasciata sia dei cittadini americani in Libia». Il Dipartimento di Stato ha annunciato che è in atto una revisione di tutta la gamma dei rapporti dei due Paesi. Alla domanda se ciò potrà significare la rottura dei rapporti diplomatici, il portavoce ha rifiutato di spiegare, dicendo solo che «presto verranno rese pubbliche le nostre decisioni». Il Dipartimento di Stato ha anche ordinato a 15 tra diplomatici, impiegati e loro familiari di lasciare Tripoli alla volta di Parigi e di Roma. E' ora al suo esame lo sgombero di una parte dei 3000 cittadini statunitensi che lavorano in Libia, in maggioranza tecnici del petrolio e uomini d'affari. La Libia è uno degli 11 Paesi islamici da cui, la scorsa settimana, su •consiglio* del Dipartimento di Stato, gli americani avrebbero dovuto venire via in seguito alla crisi iraniana. Le scuse del governo libico sono state porte dal ministro degli Esteri Ali Trtkki all'incaricato d'affari William Eagleton (gli Stati Uniti non hanno un ambasciatore in Libia, a causa dei difficili rapporti). Nella sua conferenza stampa a Washington, Hodding Carter ha fatto capire che il presidente Carter si aspetta scuse personali da Gheddafi. Soltanto in tale caso, secondo il Dipartimento di Stato, il presidente avrebbe la certezza che l'attacco all'ambasciata non si ripeterà. La rigidità americana è dovuta alla convinzione che la dimostrazione di domenica sia stata organizzata col consenso del governo libico. Il Dipartimento di Stato ha ricostruito gli eventi con palese irritazione. Alle 10,15 ore libiche, le 3,15 della notte negli Stati Uniti, circa 2000 persone si sono accalcate davanti all'ambasciata inneggiando al¬ l'Iran e a «'ayatollah Khomeini. L'ambasciata non era difesa dai marines, per esplicita volontà di Gheddafi, e l'unica guardia libica non ha cercato di fermare la folla. Alle 10,30 i dimostranti hanno incominciato a picchiare pugni sulla porta, subito sbarrata dai diplomatici, e a dare la scalata al secondo piano. L'incaricato d'affari Eagleton ha fatto bruciare i documenti più importanti, ed è fuggito con tutto il personale presente, 20 tra uomini e donne, da un'uscita secondaria. Alle 11,15, le 4,15 della notte a Washington, il segretario di Stato Vance è stato svegliato da una telefonata dello stesso Eagleton, e ha immediatamente avvertito il presidente Carter che si trovava a Camp David. Fra Tripoli e Washington si è svolto per alcune ore un braccio di ferro. L'agenzia di stampa libica Jana ha dapprima smentito l'attacco, poi ha accusato i diplomatici di aver ferito gravemente alcuni dei dimostranti con «gas tossici» lanciati «con strumenti militari». In risposta, il Dipartimento di Stato ha precisato che «un sistema automatico di bombe lacrimogene, di cui l'ambasciata era stata dotata in previsione di torbidi, è scattato quando la folla l'ha invasa». Subito dopo, Vance ha personalmente stilato la nota di protesta al governo, libico. Il Dipartimento di Stato ha rifiutato di rendere pubblico il contenuto. L'incidente di Tripoli ha scosso il governo americano per due ragioni fondamentali: potrebbe avere ripercussioni negative sulle forniture di petrolio, e conferma lo stato di tensione del mondo islamico per la crisi dell'Iran. L'allarme degli Stati Uniti si è acuito alla notizia che la settimana scorsa l'Arabia Saudita, un alleato cruciale nel Golfo Persico e nel Medio Oriente, è stata agitata da sanguinose dimostrazioni a favore dell'ayatollah Khomeini sedate solo con l'intervento dell'esercito, pare addirittura di 20 mila uomini. Il consolato americano di Dharan si sarebbe trovato al centro degli scontri. Domenica pomeriggio il presidente Carter ha anticipato il suo ritorno a Washington da Camp David per studiare la situazione. Provvedimenti straordinari verrebbero decisi per la protezione degli interessi americani nella regione. Gli Stati Uniti ricevono dal¬ la Libia oltre 800 mila barili di greggio al giorno, ilio per cento delle loro importazioni, e si tratta di una qualità di greggio particolarmente adatta a essere raffinata in benzina. Nei torbidi dell'Arabia Saudita, secondo il giornale di Beirut As Safir e alcuni diplomatici occidentali a Gedda, sarebbero rimasti uccisi numerosi dimostranti. La protesta sarebbe scoppiata venerdì scorso, il giorno santo dell'Ashura, e avrebbe avuto per protagonisti sciti, seguaci cioè dell'islamismo dell'ayatollah Khomeini. I torbidi più gravi avrebbero avuto luogo a Dharan dove, oltre al consolato americano, si trova anche la sede della compagnia petrolifera Amoco (Arabian American OH Company). Ma dimostrazioni si sarebbero svolte anche a Ross Tannura, Khafij, Abqaiq, tutti centri petroliferi, e in altre città. 120 mila soldati avrebbero sparato sulla folla. L'Arabia Saudita è uno dei pochi Paesi arabi da cui il presidente Carter non intende sgomberare i cittadini americani. Dieci giorni fa vi si era recato in visita il ministro del Tesoro Miller. e. c.