Waldheim propone inchiesta sullo Scià se verranno liberati gli ostaggi in Iran di Ennio Caretto

Waldheim propone inchiesta sullo Scià se verranno liberati gli ostaggi in Iran Waldheim propone inchiesta sullo Scià se verranno liberati gli ostaggi in Iran L'offerta fatta al rappresentante di Khomeini e trasmessa a Teheran - Un collegio internazionale di giuristi esaminerebbe le accuse all'ex sovrano - Blocco navale all'isola di Kharg, terminal del petrolio? DAL NOSTRO CORRISPONDENTE NEW YORK — A quasi tre settimane dall'occupazione della loro ambasciata a Teheran, gli Stati Uniti hanno deciso di accentuare le pressioni militari e diplomatiche sul regime dell 'ayatollah Khomeini per ottenere il rilascio degli ultimi 49 ostaggi. Al tempo stesso, hanno avviato un piano per una maggiore presema in Medio Oriente e nell'Asia Centrale, piano che contempla la formazione di una forza congiunta coi Paesi islamici alleati. E' convinzione della Casa Bianca e del Dipartimento di Stato che se gli Stati Uniti non usciranno vittoriosi dal drammatico braccio di ferro con l'Iran, e non controlleranno l'ondata di fanatismo scatenata dall'ayatollah nel mondo musulmano, scoppieranno rivoluzioni anche in Paesi vitali per l'equilibrio nel Mediterraneo come la Turchia e l'Egitto. Tra le pressioni militari più immediate, figura il blocco navale del porto dell'isola di Kharg nel Golfo Persico, da cui parte la maggior parte del petrolio iraniano diretto all'estero, accompagnato dal presìdio dello stretto di Hormuz, necessario per mantenere libera la navigazione dagli altri Stati costieri. Le due portaerei Midway e Kitty Hawk, la prima già sul posto, la seconda in rotta verso lo stretto, e le altre 11 navi d'appoggio potrebbero anche distruggere le installazioni militari navali e aeree iraniane. Dietro questi movimenti c'è lo sdegno crescente contro l'ayatollah. Il Dipartimento di Stato si prepara da ieri a presentare un rapportodenuncia sui maltrattamenti subiti dagli ostaggi. Il portavoce della Casa Bianca Jody Powell ha parlato di torture psicologiche simili a quelle inflitte ai soldati americani dai vietcong nella guerra del Vietnam. Powell ha detto che, contrariamente a quanto comunicato da Khomeini, gli ostaggi sono sottoposti a lavaggio del cervello: «LI tengo¬ no In isolamento, legati e ben-j dati, e leggono loro false lettere dei familiari e del loro governo per piegarli alla loro volontà». In una commovente cerimonia di benvenuto all'aeroporto di Andrews, a Washington, per i 13 prigionieri dell'ambasciata liberati, il segretario di Stato Vance ha detto che «gli Stati Uniti non risparmieranno i loro sforzi... per salvare quelli rimasti a Teheran». Vance ha ribadito che «non verranno fatte concessioni», e ha dichiarato ai fotografi che il presidente Carter ha diser- tato la cerimonia «per dimostrare che non cederà sin quando non torneranno in patria tutti gli ostaggi». Il segretario di Stato ha aggiunto che l'iniziativa diplomatica più importante in questo momento è quella dell'Onu. Al Palazzo di Vetro a New York, il segretario generale Waldheim ha fatto una duplice proposta all'inviato del ministro degli Esteri iraniano, Salamatian, giunto in segreto alcuni giorni fa. Waldheim ha detto di essere pronto a nominare un collegio di giuristi internazionali per un'inchiesta sullo Scià, e a convocare il Consiglio di Sicurezza per un dibattito sugli Stati Uniti, previa liberazione dei 49. Salamatian ha trasmesso l'offerta a Teheran. Tramite terzi, l'organizzazione per la liberazione della Palestina ha riferito al governo americano che gli ostaggi verrebbero rilasciati se la du plice proposta di Waldheim fosse seguita dalla partenza di Reza Pahlavi dagli Stati Uniti, per il Messico o per l'Egitto. Lo Scià non sembra tuttavia in condizioni di muoversi prima di una decina di giorni: ha concluso ieri la radioterapia del tumore al collo, ma è ancora afflitto da un calcolo al condotto biliare di cui i medici tenteranno di liberarlo senza interventi chirurgici la settimana prossima. Sia la Casa Bianca che il Dipartimento di Stato lasciano all'Onu e all'ex monarca iraniano «la più ampia libertà di prendere iniziative». A nome dei compagni, uno dei 13 prigionieri liberati, il caporale dei marines Wesley Williams, ha dichiarato «Qualsiasi commento potrebbe danneggiare i nostri amici ancora a Teheran. Siamo in pena per loro, e più passa il tempo più crescono i pericoli che essi corrono». E'palese il loro timore che presto non resti altra via che l'uso della forza. L'opzione militare per la soluzione della crisi, come viene definita alla Casa Bianca, ha oggi la preminenza, anche in seguito agli eventi della Mecca, di Islamabad e a quelli meno gravi del Kashmir. Il portavoce del dipartimento di Stato Hodding Carter ha affermato che le azioni «non erano state coordinate», ma ne ha attribuito la responsabilità «ai discorsi provocatori de\Vayatollah Komeini». Ha spiegato che gli incidenti in Arabia Saudita sono stati strumentalizzati in Pakistan, e attribuiti agli Stati Uniti e a Israele. Trasmissioni radio di ignota origine hanno scatenato la furia della popolazione. Benché non lo dica apertamente, il Dipartimento di Stato sta cercando di stabilire se i servizi segreti sovietici abbiano avuto qualche parte in quest'opera. Alla Casa Bianca, il consigliere politico di Carter, Brzezìnski, ha dichiarato che «gli Stati Uniti non staranno a guardare l'assassinio degli ostaggi... o la caccia alle streghe verso i cittadini americani nei Paesi islamici... senza intervenire a prote¬ zione delle loro vite e degli interessi nazionali». Come misura immediata, è stata ordinata l'evacuazione dal Pakistan di circa 400 persone, in genere familiari dei diplomatici dell'ambasciata di Islamabad o personale non indispensabile. Dopo la scoperta di una seconda vittima dei torbidi, l'ufficiale Bryan Ellis, 29 anni, dell'Alabama, una protesta è stata inviata al generale Zia, capo di Stato pakistano. Washington ha constatato che tra l'inizio dell'attacco all'ambasciata e l'arrivo delle truppe sono trascorse quattro ore, «un lasso di tempo inaccettabile». Dagli altri governi islamici del Medio Oriente e dell'Asia Centrale sono giunte rassicurazioni sui provvedimenti di sicurezza per le rappresentanze diplomatiche Usa. L'Arabia Saudita in particolare ha sostenuto di avere ormai sotto controllo la situazione alla Mecca. La linea dura del presidente Carter ha il completo appoggio del mondo politico statunitense, comprese le -colombe- come il senatore McGovern. L'accusa che gli si rivolge — e l'ha ripetuta l'ex capo delle Forze Armate della Nato, generale Haig — è semmai di aver tardato ad adottarla. Contatti segreti sembrano essere in corso tra Washington, Bonn e Tokyo per il blocco di Kharg. La Germania e il Giappone sono i massimi importatori di petrolio iraniano, c gli Stati Uniti vorrebbero un assenso all'operazione. Altri contatti segreti sono stati presi coi Paesi amici del Golfo Persico per prevenire torbidi, e riesaminare l'opportunità di creare una forza congiunta nella regione. Il primo passo sarebbe la permanenza della Midway. della Kitty Hawk e di una ventina di altre unità da guerra nel Golfo Persico come «Vili Flotta». A nome di tutti i pellerossa, «la minoranza più calpestata del Paese», i Sioux hanno offerto di sostituirsi agli ostaggi. «Chiediamo che vengano rilasciati, prenderemo il loro posto — hanno detto —, l'America è unita, non può essere divisa per razze». Ennio Caretto zt