Chi governa l'economia europea di Arrigo Levi

Chi governa l'economia europea COME LA COMUNITÀ' AFFRONTA LA SFIDA DEGLI ANNI OTTANTA Chi governa l'economia europea L'esito della crisi energetica, dell'inflazione, dell'instabilità monetaria dipenderà da come gli organismi comunitari sapranno imporsi sui governi - Si spera molto nello Strie, ma non si sa ancora che poteri avrà, quali fondi controllerà - Parla l'economista italiano Padoa Schioppa che a 39 anni è il più giovane direttore generale della Cee DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE BRUXELLES — Il discorso sull'economia europea negli Anni 80 si intreccia strettamente con quello sull'Europa politica. La crisi energetica, l'inflazione, linstabilità monetaria, l'inasprita concorrenza internazionale, sono tutti problemi che risulteranno piU o meno controllabili a seconda di come l'Europa saprà governarsi: a seconda cioè di come crescerà la Comunità, di come si svilupperanno i rapporti tra il Consiglio d'Europa (il comitato di capi di Stato e primi ministri che si riunisce ogni quattro mesi e crea una specie di governo viaggiante europeo) e la commissione, tra il Par¬ lamento europeo e lo Sme, come pure tra tutu questi elementi di governo continentale e i governi, i Parlamenti, le istituzioni e i gruppi di pressione nazionali. I meccanismi L'Europa si presenta oggi come un insieme di interdipendenze; un fitto intreccio di scambi; una rete continentale di leggi e regolamenti. Non è ancora un Paese, ma non è più soltanto un gruppo di nazioni vicine e amiche. La Comunità procede sulla via dell'unificazione, intesa come la messa in comune di un numero crescente di decisioni di governo dei Paesi europei: ma una struttura amministrativa così complessa non c'era mai stata prima nella storia, e non poteva esserci (nemmeno nel caso delle unificazioni tedesca e italiana dell'800) perché la fusione delle volontà politiche e delle strutture di governo di tante individualità nazionali cosi forti non era mai stata tentata: non certo con un processo democratico e consensuale, anziché imperiale ed egemonico. In questi ultimi anni, per di più, c'è stata anche una ridistribuzione di poteri e funzioni dei governi nazionali a vantaggio di organi regionali e locali o di gruppi sociali organizzati (i sindacati). Il ri- sultato è una struttura reale del potere, del modo cioè in cui si determina in Europa, a vari livelli e in vari centri, la volontà collettiva, estremamente intricata e anzi confusa: gli stessi protagonisti di questo processo, i grandi funzionari di Bruxelles, esitano a pronunciare giudizi o previsioni categoriche. Ogni discorso serto su come si governa oggi l'Europa è insomma necessariamente insoddisfacente, perché problematico e aperto. Questo vale anzitutto per la gestione dell'economia. Chi governa oggi l'economia europea? Un grande diplomatico mi dice: «Il coordinamento informativo tra 1 governi nazionali è molto forte, i comitati ad alto livello tra funzionari sono come dei club ristretti, dove si incontrano costantemente persone che oramai si conoscono molto bene, che hanno ottime segreterie e che dispongono di una massa di informazioni eccellenti. Ma l'influenza esercitata da questi meccanismi e da questi funzionari sulle decisioni dei governi è ancora soprattutto indiretta. Oli uomini di governo sanno sempre ciò che dovrebbero fare come europei, ma molte volte finiscono per fare ciò che vogliono 1 loro sistemi politici nazionali: gli strumenti coercitivi europei sono scarsi e usabili raramente». Un funzionario risponde alla stessa domanda un po' diversamente: «Le grandezze dei bilanci nazionali, dice, non sono certo decise a Bruxelles; ma vengono comunicate a tutti prima di essere adottate, e sono coordinate tra loro. Lo stesso vale per le politiche monetarie. I contatti tra i ministri economici, che si riuniscono ogni mese, sono intensi e costanti. I gruppi di lavoro tengono incontri frequenti. Poi C'è il nuovo Sistema Monetarlo Europeo, con le riunioni mensili a Basilea del comitato dei governatori delle banche centrali, le riunioni di funzionari minori, le ripetute conferenze telefoniche e quotidiane tra le banche per coordinare gli interventi monetari. Tra meno di due anni ci sarà anche il Fondo Monetario Europeo, che sarà la banca federale e fungerà da segreteria permanente del governo monetario dell'Europa. Infine, c'è la commissione, che forse si sente un po' tagliata fuori dallo Sme, ma che è sempre presente in tutte queste riunioni, come al Consiglio del ministri finanziari e al Consiglio d'Europa. Nasce cosi un modo nuovo e forse imprevisto di governare l'Europa: 11 governo non si esercita soltanto qui, nella capitale comunitaria, ma corre ogni giorno lungo i fili del telex». Il fatto nuovo e centrale, ai fini del governo economico dell'Europa, è sicuramente lo Sme, un organismo che attende però ancora un suo corpo fisico: per ora è soprattutto un confluire di volontà. Per sapere cosa farà lo Sme bisognerà aspettare il Fondo Monetario Europeo: non si sa esattamente che poteri avrà, quali fondi controllerà, dove risiederà, che legami avrà con la commissione e gli altri organi europei. Dopo nemmeno un anno di vita, lo Sme delude gli idealisti impazienti, ma soddisfa i realisti. Emanuele Cazzo, che con la sua Agence Europe è diventato quasi un'altra istituzione europea (è, tra i giornalisti, l'equivalente dei «padri fondatori. dell'Europa), esprime, con la fiducia che nasce da una esperienza di trent'anni, un giudizio positivo. E' convinto che lo Sme abbia avuto un'influenza determinante e benefica sulle politiche economiche, monetarie e di bilancio, del vari Paesi (soprattutto il Belgio, l'Italia) irrobustendo la volontà dei Doventi di combattere l'inflazione. Gozzo crede di poter riconoscere per la prima volta «una politica economica italiana che cerca veramente di europeizzarsi», e definisce la decisione di Andreotti di aderire subito allo Sme «un atto di piglio degasperiano, eseguito con la giusta prudenza». Afa anche Gozzo sa che lo Sme non ha finora potuto realizzare una vera convergenza tra le economie e una riduzione del divario tra i tassi di inflazione nazionali: tuttavia, è da queste cose che dipenderà il futuro dello Sme e dell'Europa. Ascolto un giudizio più limitativo, ma anch'esso non negativo, dal giovane economista italiano che pochi mesi fa ha assunto la carica di direttore generale per l'economia; occupa la sedia che fu di Marjolin, di Bobba, di Mosca, ma è tanto più giovane di lo¬ ro. Tommaso Padoa Schioppa è, a 39 anni di età, il più giovane direttore generale che abbia mai avuto la Comunità, dopo Noel e Ortoli, che furono tra t «padri fondatori*: era ancora al liceo quando nacque la Comunità ed è ben conscio della responsabilità che ricade sulla sua generazione, la seconda generazione europea, e delle grandi difficoltà che essa dovrà superare per portare avanti la costruzione dell'edificio europeo. Il grado d'integrazione comunitaria non è certo diminuito, anzi è aumentato, ma Padoa Schioppa non ignora che «il ruolo della Commissione si è Invece ridotto». Dice.- «Una percentuale minore di decisioni passa per Bruxelles, una parte più grande è direttamente concordata tra i governi». Ma questo 'governo elettronico* decentrato e consultivo è poco adatto, a suo giudizio, per guidare i mercati monetari, che richiedono decisioni fulminee. Anche la prima deliberazione sul riallineamento delle monete «andò molto vicina al fallimento, perché non era stata preparata organicamente». Il governo 'elettronico* dell'Europa dovrà insomma darsi al più presto un suo organismo permanente. Il fatto che lo Sme non abbia potuto impedire una divergenza crescente tra i tassi d'inflazione dei Paesi membri, ha inoltre deluso chi si aspettava che fosse uno strumento automatico per la convergenza delle politiche e delle economie nazionali. Ma, dice Padoa Schioppa, «anche se lo Sme è più un sistema per gestire in modo ordinato le variazioni di cambio, che non un mezzo per ridurle, già questo non è poco. E' meglio svalutare che uscire dallo Sme. L'immagine ambiziosa dello Sme era quella di un organismo che creasse una moneta europea. L'immagine meno ambiziosa era quella di un istituto che difendesse l'Unione doganale europea e la politica agricola comune. Uno Sme che realizzi la difesa del già acquisito, che gestisca bene la variabilità dei cambi, anche se per ora non può ridurla, è già molto meglio di una anarchia, che distruggerebbe il Mercato Comune». Grandi rischi Lo Sme, organismo che sarà al centro dell'evoluzione dell'Europa negli Anni Ottanta, è tipico di un momento europeo caratterizzato dall'esistenza di grandi opportunità e di grandi rischi. L'ipotesi di una rottura dello Sme non può ancora essere esclusa: questo meccanismo non è un'acquisizione irreversibile, potrebbe non sopravvivere a una divaricazione economica eccessiva fra i Paesi deboli ad alto tasso d'inflazione (Italia, Gran Bretagna) e i Paesi forti a bassa inflazione. Gozzo è ciò non di meno convinto che ciò a cui stiamo assistendo sia la nascita dell'Unione Economica, il che pone però a tutti gli organi nazionali, governativi e sociali, obblighi severi di efficienza e di «europeizzazione*, ossia di adeguamento generale ai comportamenti dei soci più forti ed efficienti. Gozzo è egualmente convinto che la Gran Bretagna non lascerà la Cee (lo dicono, con fermezza, anche i miei amici inglesi più vicini a Margaret Thatcher). I più deboli La Comunità sarà più che mai sottoposta, nei prossimi anni, a forti tensioni istituzionali. Dall'evoluzione del 'governo europeo* dipenderà infatti il modo in cui t Paesi d'Europa affronteranno le difficili prove degli Anni Ottanta: la crisi energetica, le sfide interne che nascono da società che vogliono, tutte, consumare molto e lavorare poco. Ciò porrà grossi problemi ai governi nazionali, ma anche alle istituzioni comunitarie. Padoa Schioppa indica tre sviluppi che imporranno alla Comunità di cambiare: il nuovo governo della moneta europea; l'allargamento della Comunità a Grecia, Spagna e Portogallo; il Parlamento europeo. Sono tutti fatti dirompenti: Padoa Schioppa è convinto che richiederanno un rafforzamento dei poteri centrali e un cambiamento di certe regole di governo comunitario, compreso un ritorno al piano originale che prevedeva decisioni maggioritarie, e non sempre all'unanimità, come impose tredici anni fa il generale De Gaulle. Di fronte a queste sfide ed esigenze, che nascono da un ambiente esterno e interno più difficile, potrebbe anche emergere il rigetto dei più deboli e il formarsi di una Comunità ristretta dei Paesi forti del Centro-Nord, raggruppati attorno all'asse franco-tedesco. Sarebbe la fine della Comunità come la conosciamo, se non la fine dell'Europa. Alternativamente, la Comunità potrà riformarsi e compiere un vero salto verso l'Unione Economica: ma questo richiede che i governi deboli, i Paesi sempre ritardatari, come l'Italia o l'Inghilterra, si 'europeizzino* nei loro comportamenti. Questi Paesi, queste società, potrebbero determinare anche il destino degli altri, decidere da soli come si evolverà tutta la storia europea. Arrigo Levi.

Persone citate: Andreotti, Bobba, De Gaulle, Margaret Thatcher, Padoa Schioppa, Tommaso Padoa Schioppa