Se un obiettivo fruga San Pietro

Se un obiettivo fruga San Pietro L'occhio «ingenuo» di una fotografa tra i marmi sacri e profani Se un obiettivo fruga San Pietro Antonia Mulas: «San Pietro». Prefazione di Federico Zeri. Ed. Einaudi, pag. XXII con 94 foto, lire 15.000. La gonfia noia del Sublime, il rigonfio teatro del Potere. Niente, a prima vista, è più deludente delle pompe regali. Si ergono e si affollano, colossali ed eccessive, da Nabucodònosor all'Aida, gelatinosa rettorica del maestoso. Per imporsi ai sudditi non sanno che moltiplicare misure, accrescere pesi, ostentare costi, annullare la realtà. Antonia Mulas, fotografa, ha raccontato questo suo stupore esplorando San Pietro. Ma avrebbe potuto anche trovarvi un'altra storia: quella «urbanistica» di uno straordinario spazio da organizzare e che fu dopotutto organizzato — dopo che Bernini ne aveva individuato e determinato per sempre il modulo, occupandone i punti chiave —, con efficente rettorica almeno fino al Canova. Che tentò l'inversione — la grandezza dell'umiltà — e rimase' solo, controcorrente, non seguito: 11 suo monumento a Pio VI è, in questi giorni di nuova gloria mondiale, sfrattato dall'ingresso della Confessione senza che nessuno protesti. Il «moderno», ahimé. ha poi ripreso una rettorica di maniera: il dolciastro di Manzù. l'effetto involontariamente da Alien, fantascientifico, della statua occhialuta di Pio XII del Messina. Le carte, in. San Pietro, devono rimanere per forza in regola. Condannarne la boria raggelata, la prepotenza esibita, è ingenuità o malafede. Come dire, in musica, che Haydn è sublime ma gelido, troppo olimpico Dalla esplorazione compiuta «da un occhio immune da pregiudizi estetizzanti e da schematismi storico-artistici*, aldilà della bellezza delle immagini fotografiche, viene fuori e rimane, difatti, la successiva riflessione «storica» di Federico Zeri. Ci fu, all'inizio dell'avventura «imperiale» di San Pietro, dopo i tanti miracoli architettonici, anche quello che abbiamo detto «urbanistico» del Bernini: una ebollizione barocca, una ingegneria poetica capace di giocare su tutto accontentando (anzi più: interpretando) la committenza. Fu una «turbolenza di macchina in funzione*, capace di usare ogni cosa, di mettere in scena contemporaneamente la pietà, il magnifico, il meraviglioso, lo spirito e i sensi: la stessa sensualità profana vi prende immagine «anticalvinista», seni e scheletri, drappeggi e fogliami, nuvole ali e corpi. Fu insomma la soluzione «à jamais*, e i cherubini culaccini di Pietro Canonica ripetono difatti ancora, e se la cavano dignitosamente, il silicone sdutto degli aiuti del Bernini. O gli oscuri monumenti a santi «moderni» d'oltralpe' (per noi è finita: chi può ritrovare santità alla Corte Imperiale?) inerpicati sulle vertiginose muraglie, incassati in questa strepitosa cava di marmi, hanno grammatica e metrica che tutto sommato funzionano: come il latino delle scuole dei gesuiti. Fino a Canova, si è detto, al suo tentativo di recupero nella grandezza «cristiana». Ma era lui, fuori quadro, in quel gelido e conseguente teatro di colossali marchingegni scultorei, nel Pastorale codificato in Aulico e tra il Repertorio consacrato in Cerimoniale. Anche un occhio «ingenuo», come quello della macchina fotografica della Mulas. serve a porre domande: ma poi deve rispondere, e chiarire, la cultura. Claudio Savonuzzi