Gli israeliani lasciano il monastero di Santa Caterina, ai piedi del Sinai di Giorgio Romano

Gli israeliani lasciano il monastero di Santa Caterina, ai piedi del Sinai Restituito all'Egitto l'antichissimo luogo di culto e di studi Gli israeliani lasciano il monastero di Santa Caterina, ai piedi del Sinai NOSTRO SERVIZIO PARTICOLARE TEL AVIV — Una nuova tappa del ritiro israeliano dal Sinai è stata compiuta ieri con l'abbandono del monastero di Santa Caterina ai piedi della montagna di Mose, due mesi prima di quanto stabilito dagli accordi, per un gesto di buona volontà deciso in occasione della visita di Sadat ad Haifa. La bandiera egiziana sventola al posto di quella israeliana, ammainata dopo oltre dodici anni, e le opere compiute nelle vicinanze dagli israeliani sono state in gran parte smantellate. L'arcivescovo greco-ortodosso del Sinai, Damiano, che è anche l'abate del monastero, non ha nascosto ai corrispondenti della stampa i suoi sentimenti contrastanti: da un lato la speranza che cessi l'af- fluenza di turisti e di curiosi, notevole in regime israeliano, e che sia sostituita da un flusso di pellegrini e di fedeli; dall'altro qualche dubbio per l'iniziativa di Sadat di costruire un santuario musulmano-cristiano-ebraico che egli si augura sarà eretto a una certa distanza dal monastero. Posto fuori dalle grandi vie carovaniere, il monastero di Santa Caterina, costruito 1450 anni fa, è sempre stato un luogo di preghiera, di studio, di meditazione, di spiritualità. Generazioni di monaci si sono susseguite, anonime. Quando i monaci muoiono vengono inumati per un anno nello stesso orto, in attesa che la terra scarnisca le ossa le quali vengono poi deposte in fila, in un ossario senza lapidi, poiché «la morte è anonima e uguale per tutti», ai piedi del Monte Sinai. Nella loro vita dedicata allo studio e alla preghiera, migliaia di monaci hanno accumulato per circa quindici secoli documenti, testi, tesori e la più bella collezione di icone del mondo. Dipendono dal patriarcato di Gerusalemme. Tra dieci giorni saranno consegnati agli egiziani i pozzi di petrolio di Alma ed entro gennaio tutto il settore occidentale del Sinai, coi passi strategici, le strade, i campi militari da El Harish a Nord a Ras Mohammed al Sud. Mentre gli israeliani attuano questa fase dell'accordo con l'Egitto, la tensione in Giudea-Samaria aumenta a seguito della confermata espulsione del sindaco di Nablus, Bassam Shaka, decisa mercoledì dal consiglio ministeriale per la Difesa. La collera cresce nei territori che sono pattugliati da unità israeliane dell'esercito e della polizia confinaria. A Gerusalemme Est moltissime botteghe e scuole sono restate chiuse e le forze dell'ordine hanno impedito una manifestazione di protesta; una bandiera palestinese è stata issata su un edificio e una pattuglia dell'esercito è stata accolta a sassate. Nablus, Ramallah ed He- bron sembrano città morte per gli scioperi dei negozianti e degli studenti e ci sono sbarramenti lungo le strade. Si teme che oggi ci possano essere sommòsse. Intanto la Commissione ministeriale per gli insediamenti, presieduta da Begin, ha deciso ieri mattina di fondare diciannove nuovi villaggi in Cisgiordania, la cui costituzione era stata decisa dal governo in passato, di estendere i centri di popolamento già esistenti e di costruire ogni anno 10-15 mila locali di abitazione. Per ora è soltanto una decisione di principio, presa forse con lo scopo di indurre i coloni di Eilon Moreh, che giovedì prossimo devono sgombrare il loro insediamento, a non opporre resistenza. Giorgio Romano

Persone citate: Bassam Shaka, Begin, Eilon, Sadat

Luoghi citati: Cisgiordania, Egitto, El Harish, Gerusalemme