Un ciclone alle Botteghe Oscure

Un ciclone alle Botteghe Oscure Un ciclone alle Botteghe Oscure ROMA — Il «ciclone Amendola» è tornato a soffiare con un vigore politico sconvolgente. Stavolta, addirittura dentro le mura delle «Botteghe Oscure», dove mai, in un «comitato centrale», si era levata una voce tanto eretica da contestare, chiamandoli in causa con nome e cognome, alcuni dei maggiori leader del partito e del sindacato: Berlinguer, Lama, Pajetta. I tre esponenti comunisti, in tre diverse occasioni, avevano replicato all'articolo su Rinascita» affermando che l'analisi anti-partito e antlsindacati dell'anziano leader era infantile e sbagliata politicamente, miope socialmente. In pratica, l'attuale classe dirigente del pei ha fatto «muro» contro una sortita dura ed improvvisa. Un «muro» al quale Amendola ha contrapposto ieri il suo orgoglio di grande «isolato», di coscienza critica» di un partito che, a suo giudizio, ha commesso e sta commettendo troppi errori. «Si dice che io sia un isolato — ha esclamato davanti a un uditorio attento e teso, impassibile formalmente ma psicologicamente trascinato da Amendola nel fuoco di una vera battaglia politica — per me, questo è un grande complimento. Io sono stato sempre un isolato e ho sempre sventato ogni tentativo di imprigionarmi in una corrente o, addirittura, in una frazione. Il sistema del centralismo democratico, opportunamente richiamato da Berlinguer, è stato sempre difeso ad oltranza, ma esso non può funzionare a senso unico, esige che le necessarie battaglie politiche i compagni le conducano a viso aperto, assumendosi le proprie responsabilità e non ricercando accordi preventivi, alleanze, appoggio di gruppi*. Amendola continua questa sua arringa impietosa invocando atti di coraggio e non di conformismo opportunista ed Ipocrita all'interno del partito: «JVon credo che vi debbano essere preclusioni di tipo amministrativo contro coloro che rifiutano, e con pieno diritto, la linea generale del partito fissata dal congresso, ma chiedo che esprimano apertamente il loro dissenso in discorsi franchi e comprensibili e che contro costoro vada condotta una aperta lotta politica, con nomi e cognomi, da parte di coloro che intendono difendere la linea del partito. In questo modo i termini del contendere saranno resi noti e comprensibili a tutti gli iscritti, si formeranno maggioranze e minoranze e si eviterà una falsa ed ambigua unanimità che è il contrario di una reale unità politica*. E' questa — al di là della grande polemica politico-sindacale che Amendola riprende e dilata replicando ai suoi potenti compagni di partito — la parte più nuova e drammatica del secondo «j'accuse» dell'anziano leader. Sia pure in negativo, è riecheggiata nell'austera sala del comitato centrale una parola che non si udiva più dal '69: frazionismo o frazione. Allora, Pintor e il gruppo del «Manifesto», avvertendo (a loro giudizio) il distacco tra il pei e la società com'era o come avrebbe dovuto essere, espressero posizioni diverse dalla linea ufficiale del partito. Furono radiati dal pei con l'accusa, formulata da Natta, di «frazionismo». Oggi, ovviamente, nessuno pensa a qual¬ cosa di simile per uno dei capi storici del pei. Le sue accuse, il suo invito spregiudicato e generoso al dibattito e alla critica, il suo esplicito appello a maggioranze e minoranze, sono la «spia» di un malessere, di una crisi nel pei non meno grave di quella di 10 anni or sono. Malgrado egli stesso affermi d'essere isolato, il prestigio e il «fascino» politico di Amendola all'interno del suo partito sono ben maggiori di quelli degli eretici di allora. Già la relazione ufficiale di ieri, di Gerardo Chiaromonte — di dura critica al governo ma di rifiuto netto di una crisi al buio — è stata, sul «caso» Amendola, più prudente e mediatrice che non gli interLuca Giurato (Continua a pagina 2 In quinta colonna)

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