Due stranieri, un agente Già scomparso e troppi misteri nel processo ai cinque presunti anarco-marxisti a Lucca di Vincenzo Tessandori

Due stranieri, un agente Già scomparso e troppi misteri nel processo ai cinque presunti anarco-marxisti a Lucca Si riuscirà a scoprire la verità sul gruppo di «Azione rivoluzionaria»? Due stranieri, un agente Già scomparso e troppi misteri nel processo ai cinque presunti anarco-marxisti a Lucca Apparterrebbero alla sigla terroristica che firmò, tra l'altro, l'attentato a «La Stampa» • I due stranieri inviati al confino dai giudici sono stati invece espulsi dall'Italia dal ministero dell'Interno: nessuno sa perché DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE LUCCA — Questo è un processo, un «rompicapo», che forse non arriverà mai a fine. Imputazione «banda armata» per quattro giovanotti e una ragazza. Secondo l'accusa, fanno parte dell'organizzazione anarco-marxista «Azione rivoluzionaria», un gruppo dai contorni assai sfumati sul quale, sostengono gli inquirenti, si allungherebbero inquietanti molte ombre, compresa . quella dell'americano Ronald Stark, forse agente provocatore, arrestato a Bologna per spaccio di stupefacenti e scarcerato, come sottolinea l'ordinanza, perché «agente della da». Oggi, l'«amerikano» è scomparso. , Altri processi su Azione rivoluzionaria attendono di essere celebrati: a Livorno, a Torino, a Firenze. Il fatto. Il 19 aprile 1978, a Lucca, vengono bloccati in pizzeria quattro italiani, un cileno e uno spagnolo. Sono trovate anche delle pistole. C'è uno che accusa gli altri di essere terroristi. Tre giorni più tardi il processo per direttissima, condanne fra i duo anni e mezzo e i tre anni. Poi in carcere si scopre uno scritto che rivendica l'appartenenza del gruppo a Azione rivoluzionaria. Quel documento, attribuito dalla perizia a certo Enrico Pagherà, è alla base dell'istruttoria per il processo sulla banda armata. Detenuto a Favignana, Pagherà ha rinunciato a presentarsi in aula. Eppure non sembra personaggio secondario. Quando lo arrestano, in tasca ha la piantina del campo di addestramento per guerriglieri di Taibe-Baalbeck, nel Libano: gli sarebbe stata data da Stark durante un incontro nel carcere di Bologna. Un secondo documento, aveva in tasca Pagherà: un biglietto con il nome di Giuseppe Fruci, direttore sanitario dell'infermeria di Regina Coeli, secondo alcuni estremisti responsabile della morte di Bruno Santin, fidanzato di Renata Bruschi, che oggi è l'unica imputata detenuta. Il processo cominciato alla Corte d'assise di Lucca dovrebbe dare la risposta a una serie di domande, soprattutto a questa: che cos'è, in realtà, Azione rivoluzionaria? O meglio, chi c'è alle spalle dei militanti che, uno dopo l'altro, cadono nelle mani della legge? Dell'organizzazione che ha firmato una serie di attentati, compreso quello al tritolo contro lo stabilimento della «Stampa», secondo l'accusa facevano parte anche lo spagnolo Ferrer Palleja, 29 anni, e il cileno Reyes Ernesto Fernando Castro, 24 anni, di Santiago. Era costui, sottolineano gli inquirenti, legato a Marin Pinones, anch'egli cileno, saltato in aria a Torino nell'aprile '77 con il compagno Attilio Di Napoli. E un altro cileno, Juan Teofilo Paillacar, era fuggito con loro da Santiago, dopo il golpe di Pinochet. Paillacar è ora finito nell'operazione condotta dal controspionaggio militare conclusa sembra con la scoperta di una centrale di spionaggio a Roma. Questa la cornice nella quale si è sviluppata un'inchiesta che non ha fino ad ora chiarito molto. Molto difficilmente i dubbi saranno cancellati dal processo. Lo spagnolo Palleja e il cileno Castro, scarcerati per scadenza dei termini dalla sezione istruttoria del tribunale di Firenze, erano stati destinati al soggiorno obbligato, ma sono stati espulsi dall'Italia con decisione del ministero dell'Interno, che ha cosi «sottratto» due imputati al potere giudiziario. I giudici della Corte d'assise sembrano imbarazzati. Hanno cominciato un processo con due imputati non secondari in meno. Il ministero aveva chiesto alla magistratura l'autorizzazione per espellere gli stranieri? Sembra di si. «Sembra», perché nessuno qui alla Corte d'assise ha visto quel documento. Dice il presidente, Elio Nardone: «Noti so se c'era, non rispondo. Il giudice parla attraverso le ordinanze della Corte». Gli fa eco il giudice a latore. Fabio Romiti: «L'autorizzazione è stata chiesta, si. A chi? Chi lo sa». In una ordinanza, la Corte ha chiesto almeno «la prova che sia stata concessa agli imputati la speciale autorizzazione del ministero degli Interni di rientrare nel territorio nazionale per presenziare al dibattimento». Cioè, i giudici vogliono sapere se almeno i due erano liberi di difendersi. Ma rientrare per preparare un processo in poche ore, hanno sottolineato i difensori, era assolutamente impossibile. La prima udienza è trascorsa nell'esposizione delle eccezioni preliminari. L'avvocato Gabriele Fuga, di Milano, ha sottolineato come con l'espulsione si siano violati i più elementari diritti della difesa e come, in queste condizioni, sia impossibile andare avanti nel processo. Enzo Lo Giudice, di Paola, ha chiesto che si aspetti la sentenza definitiva del processo sulle armi perché altrimenti non potrebbe neppure essere applicata la continuazione sui reati. Da più parti si è chiesta la nullità del decreto di imputazione. Tre ore di camera di consiglio, poi l'ordinanza che sembra avere come fine immediato guadagnar tempo. Domani il processo riprende, e. forse, si parlerà «anche» di Azione rivoluzionaria. Vincenzo Tessandori