Sartre: «Mi piacciono i radicali italiani» di Bernardo Valli

Sartre: «Mi piacciono i radicali italiani» Per il filosofo le sinistre sono sconfitte e in via di estinzione Sartre: «Mi piacciono i radicali italiani» DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE PARIGI — Di fronte al desolante spettacolo della sinistra tradizionale e all'evaporazione di quella «nuova», a suo parere entrambe sconfitte, in ritirata o addirittura in via di estinzione non soltanto in Francia, Jean-Paul Sartre prova una certa simpatia per il partito radicale italiano. Non lo nasconde, auspica quasi la nascita di un'Internazionale radicale. Non più «dieci, cento Vietnam», ma «Dieci, cento Palmella». Sartre non suscito ironia, impone il rispetto. Egli resta, per il suo impegno individuale, l'intellettuale di sinistra che ha incarnato via via il militante rigoroso, il pensatore manicheo, intransigente, ma anche lucido di fronte alla realtà. Il nuovo atteggiamento suscita stupore unicamente in chi non ha seguito la sua profonda evoluzione, in chi non ha registrato la morte del sartrismo secondo Sartre, con tutto quello che ha comportato negli ultimi decenni. Oggi il filosofo settantenne dice: •Occuparsi di noi stessi è il nostro vero problema, è il solo che possiamo risolvere». Quasi cieco, con un registratore a portata di mano per incidere quel che ormai non può più scrivere, egli vive in un piccolo appartamento di Montparnasse, assistito da Simone de Beauvoir e da un ristretto numero di amici. Benché esca raramente per le difficoltà che ha nel camminare, si tiene informato. Il telefono suona continuamente. Insieme a Pierre Victor, suo figlio spirituale, è impegnato in un'opera da lui stesso definita importante. Sono rari coloro che riescono a superare la barriera creata attorno a lui dalla «famiglia». Per i radicali italiani è stata fatta un'eccezione. A Sartre sono piaciuti. Li ha ascoltati a lungo e «le loro idee, le loro azioni» hanno suscitato il suo interesse. In un'i-.tervista pubblicata ieri dal quotidiano Le Matin, il filosofo è severo con i partiti politici di sinistra: il partito comunista francese .non ha alcun rapporto con la situazione attuale», quello socialista «non è un granché» ed è troppo disunito. Per Sartre quel che manca alla sinistra è un terreno, uno spazio su cui camminare. Essa non ha obiettivi, ha perduto il suo dinamismo e non ha i mezzi per ritrovarlo. Il '68 è stato una breve vittoria seguita subito da una sconfitta. Il movimento, sul quale egli puntò, ha cercato di gettare le basi di una nuova sinistra. Ma è stato inseguito e distrutto «dai padroni, dal governo borghese, dalla polizia e, al tempo stesso, dai comunisti». L'agonia dei gruppi rivoluzionari, è durata fino al 1974. In quell'anno per Sartre, è venuta l'ecatombe. Gli extraparlamentari sarebbero adesso, in Francia, all'incirca «cinquecento-mille», si riuniscono ancora, discutono, rievocano il passato, ma sono isolati. Ascoltata questa visione apocalittica della sinistra. Catherine Clément. l'intervista-trice. ha chiesto a Sartre: «E se spuntasse in Francia un partito radicale come quello italiano?». // filosofo ha replicato: .Un partito radicale internazionale, se-.za nulla in comune con i partiti radicali esistenti in Francia? Per esempio con una sezione italiana e una francese ecc.? Ho visto i radicali italiani, le loro idee e le loro azioni mi sono piaciute. Penso che i partiti siano necessari anche oggi, soltanto più tardi la politica sarà senza partiti. Per un organismo internazionale del genere avrei dell'amicizia». Non è una consacrazione, ma non si è molto lontani. Severo, spietato nel giudicare tutte le formazioni politiclie, l'autore de «Le mani sporche» risparmia soltanto il partito di Pannello, gli concede la sua amicizia, che è la sua sthna. La grande svolta di Sartre è avvenuta nell'estate scorsa, quando la tragedia dei profughi vietnamiti lo spinse a prendere un'iniziativa tutt'aitro che sartriana. Il filosofo lasciò per alcune ore il suo appartamento di Montparnasse per partecipare ad una manifestazione in favore delle migliaia di uotnini e donne che fuggivano su barche di fortuna dalla penisola indocinese. Non era mai capitato che Sartre si pronunciasse in favore di un'azione wnanitaria. Aveva sorriso ironicamente, con disprezzo, quando Albert Camus aveva descritto nella «Peste» la vicenda di un me- i'dico che rinuncia ad ogni ideologia per curare gli appestati, dicendo che non c'è più tempo di pensare alla rivoluzione e a Dio. perché bisogna dedicarsi a chi soffre. Sartre aveva allora chiamato Camus un boy-scout, l'aveva definito «Croce Rossa». Per Sartre la carità. la preoccupazione di salvare delle vite, era un alibi per non prendere posizione. Più di vent'anni dopo ha rinunciato alla rivoluzione («Lasciamo da parte la politica»;, per soccorrere i profughi. Sartre ha abbandonato la linea di condotta sartriana e si è unito a coloro che un tempo chiamava boy-scouts. In quell'occasione il filosofo s'incontrò pubblicamente, dopo anni di aperta ostilità, con Raymond Aron. I due grandi intellettuali, l'uno incarnazione della rivoluzione o della rivolta (Sartre non si è mai dichiarato marxista), l'altro del liberalismo, si riconciliarono durante una manifestazione antitotalitaria riguardante il Vietnam. L'incontro avvenne sul terreno di Aron. Quella stretta di mano era carica di significati. Bernardo Valli

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