Mafiosi uccidono tre carabinieri in auto e fanno evadere un recluso di Francesco Santini

Mafiosi uccidono tre carabinieri in auto e fanno evadere un recluso All'alba di ieri, al casello dell'autostrada di Catania Mafiosi uccidono tre carabinieri in auto e fanno evadere un recluso La vettura (civile) era ferma per ritirare lo scontrino - Tre o quattro killer hanno aperto il fuoco sulla scorta, un brigadiere e due appuntati - Il detenuto è uno dei rapitori dell'industriale Fava; chi sapeva che doveva essere trasferito? DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE CATANIA — Tre carabinieri uccisi in un agguato e un civile ferito per liberare il giovane capo di una banda di rapitori. La delinquenza dei sequestri e delle estorsioni conferma i metodi del terrorismo, a Catania, a poche ore dall'arrivo del Presidente della Repubblica e la città, sconvolta, si raccoglie attorno al capo dello Stato che accorre in ospedale e si inchina a baciare i tre militari avvolti nel tricolore. Curvo, segnato, adesso, da tutto il peso dei suoi anni. Pertini si fa strada nella piccola camera ardente. C'è un generale, lo abbraccia. ..Cosi giovane quel sottuffi- ciale». dice il Presidente, e indica il corpo di Salvatore Bellissima, vicebrigadiere. 24 anni. «Siamo in guerra —riprende con voce ferma Pertini — e voi siete in prima linea». La trincea s'è aperta ieri alle 5.17 sulla autostrada che da Catania conduce a Messina, al casello di San Gregorio. Una Mercedes blu è impegnata nel trasferimento verso Bologna di un detenuto comune: Angelo Pavone. 30 anni, detto «Faccia d'angelo», autore del sequestro di Lino Fava, l'industriale ferrarese di Cento, liberato in marzo con un riscatto di due miliardi. C'è. al volante, il proprietario dell'automobile. Angelo Paolella. 41 anni. Gli è accanto il vicebrigadiere. Sul sedile posteriore scortano Angelo Pavone, che ha i polsi serrati, gli appuntati Salvatore Bologna. 41 anni, due figli e Domenico Marrara. 50 anni, tre figli. L'assalto è improvviso. La Mercedes ha lasciato il carcere giudiziario di piazza Lanza alle 5 in punto. Un quarto d'ora di marcia e la vettura è al casello di San Gregorio, alla periferia della città, in una campagna sovrastata dalla mole dell'Etna, imbruttita dai villini della speculazione. Nel lettuccio d'ospedale, dove dovrà rimanere per dieci giorni, al «Vittorio Emanuele», l'autista Angelo Paolella, un colpo all'ascella e un altro al polso, parla con fatica: «Ho messo fuori il braccio per ritirare lo scontrino e il prima colpo è stato per me. Al secondo, hoperso l'intelletto. Erano mascherati Tre. forse quattro, non posso dire». Nessun testimone. A quell'ora, la pista numero 11 era deserta. I due uomini addetti ai caselli erano sull'altra corsia, nel primo gabbiotto arancione, per la riscossione dei pedaggi. Dice Giovanni Cr<\ di turno sulla Catania-Messina: «L'autostrada, alle 5 del mattino, è ferma. Con il collega Giovanni Caltaliano. eravamo in servizio dalle 22. Il turno termina alle fi del mattino. Abbiamo sentito gli spari, secchi, con qualche intervallo». Sono rimasti all'interno. Poi. in lontananza, hanno scorto un'Alfetta che invertiva la marcia e sgommava verso Catania. Hanno atteso nel loro box di lamiera ancora qualche momento. Gli è tornato il coraggio. Di corsa, hanno attraversato il grande piazzale fino all'ultima pista. «C'è bastata un'occhiata — racconta Cro —per capire che non c'era da perdere tempo». Col «113» hanno dato l'allarme: «Abbiamo visto un militare, scivolato a terra, dal sedile posteriore ina le gambe erano ancora nell'auto e siamo corsi al telefono». Era l'appuntato Domenico Marrara. Ha tentato di reagire, non ce l'ha fatta, n brigadiere Bellissima è morto all'istante. L'autista si lamentavafe l'appuntato Bologna/con sforzo, riu- selva a dire: «/liuto aiutatemi, sono qui: Si setacciano -gli ambienti della malavita catanese. Di Faccia d'angelo» si dice che sia il capo del clan siciliano dei sequestri. I carabinieri lo arrestarono a Napoli il 4 febbraio. L'industriale ferrarese era ancora in mano ai banditi. Angelo Pavone fu sorpreso Capodimonte. Aveva una borsa con 680 milioni, la prima «tranche» del riscatto di Lino Fava. La sua cattura portò gli inquirenti alla prima prigione dell'industriale, a Vaccarizzo, nella villa lussuosa che il bandito possiede sulla Catania-Siracusa. Il clan dei catanesi. con l'arresto di Pavone, affrettò le trattative, ma una serie di errori portò i carabinieri sulle tracce del gruppo con l'incriminazione di quindici persone e l'arresto di dodici. • La banda non era sconfitta», dice il tenente colonnello Francesco Valentino, che guida il gruppo dei carabinieri. Subito aggiunge: «La delinquenza comune ha metodi inattesi, ma quando si dispone di molti mezzi, nessuna meraviglia». Molte sono le domande. Pavone era nel carcere di Catania da venti giorni. Aveva ottenuto un permesso straordinario per stare vicino ai parenti, «e in quei venti giorni fra organizzato l'agguato». Ma c'è un interrogativo: chi ha avvertito il commando sul trasferimento se l'ordine è arrivato soltanto il giorno precedente? Il colonnello risponde: «Stiamo indagando» (s'è però saputo che venerdì sera Pavone aveva avuto un colloquio in carcere jcon la moglie. Innocenza Napoli). L'ufficiale è nella piccola camera ardente accanto al capo dello Stato. Dice Pertini: «Ho saputo di questa barbarie stamane; ero ancora a Palermo, mi facevo la barba e ascoltavo il giornale radio. Subito ho sentito il bisogno di essere qui. di cambiare programma». Attorno al capo dello Stato, militari e autorità. Nella stanzetta dell'ospedale «Garibaldi», un mazzo di gladioli rosa. Un tricolore appeso alla parete sovrasta i tre letti di corsia riservati ai militari assassinaci. Le donne, in lutto, si disperano. Grida la madre di Sai vatore Bologna e dice: «Questo figlio solo avevo. Da quando era alle traduzioni, mai stavo tranquilla, se non mi telefonava dal viaggio mi disperavo». Piange e col pugno si percuote la gamba destra. Pertini le stringe la mano. Lei non lo riconosce. Il capo dello Stato s'allontana mentre l'ospedale si riempie di una folla sterminata. Francesco Santini