Un caro nemico delle donne di Stefano Reggiani

Un caro nemico delle donne DA STASERA IN TV IL CICLO DEDICATO AI FILM DI FERRERI Un caro nemico delle donne Storie del nostro costume in una galleria di personaggi femminili - «L'ape regina», moglie divoratrice per vendetta e ignoranza, nel '62 attese 8 mesi il visto di censura - Il caso della mostruosa «Donna scimmia» e le stupratoci di «Ciao maschio» Il regista dice che la sua misoginia è un'invenzione maschile, dopo «Chiedo asilo» coltiva qualche speranza (e se ne vergogna) ROMA — Tra i luoghi comuni e le verità sulle donne che abbiamo udito e consumato in questi anni, può darsi che la traccia meno labile sia stata affidata alle invenzioni sarcastiche, agli odi, alle insofferenze di un regista che è considerato il più spontaneo misogino d'Italia. S'inizia questa sera in tv un ciclo dedicato a Marco Ferrerl, del quale è appena uscito Chiedo asilo, originate e provvisorio punto d'arrivo di una carriera passata a guardare, a pugnalare, a salvare le donne. S'inizia naturalmente con L'ape regina, il film che suscitò scandalo nel 1962, che indignò le persone per bene, che scosse i difensori della famiglia e perfino i libertini che ritenevano poco educato indagare certe intimità coniugali. Ricorda Ferreri che il film stette fermo otto mesi aspettando il permesso d'uscire. «Anzi, il film originale non è mai uscito in sala pubblica, la questione era politica, di principio. Non si ammetteva la scoperta denuncia del titolo e dell'intreccio. Bisognava cambiare, attenuare, suggerire che si trattava di un caso circoscritto, patologico, paradossale». Il soggetto era di Ferreri e di Azcona, ma c'era anche la collaborazione del commediografo cattolico Diego Fabbri, di Festa Campanile, di Franciosa. E lo spunto critico veniva dal profondo della provincia cattolica veneta, da un'idea dello scrittore Goffredo Parise. Che cosa cambiarono Ferreri e gli autori per ottenere il visto? Ferreri è cauto: «Almeno il titolo. Aggiungemmo, anteponemmo alla definizione di ape regina una specie di spiegazione, chiamando il nostro racconto "Una storia moderna"». Come dire che si trattava di un paradosso del nascente consumismo, di una bizzarria urbana, mentre l'obiettivo era puntato piuttosto sulle convenzioni cristallizzate della cultura cattolica di provincia e di città. Col mutamento del titolo e qualche alleggerimento che Ferreri non dice, la sostanzadei pamphlet coniugale si salvò; rimase un ritratto di donna in cui la misoginia aveva il grande merito di mettersi al servizio di una polemica di costume. Si affanna Ferreri: «Bisogna considerare la storia inserita nel suo contesto, nella cultura cattolica più bigotta, altrimenti si rischia di snaturare il senso della polemica». Poi gli viene un sospiro quasi di consolazione e di stupore: «Chi l'avrebbe detto che L'ape regina sarebbe arrivata in televisione? E' un piccolo segno che qualcosa davvero è cambiato». Chi saranno oggi gli spettatori piii attenti? «Non so, credo gli uomini. C'è sempre da meditare». E le donne? «Porse le lettrici dei periodici che insegnano come si fa l'amore, tra fidanzati e tra coniugi, per capire come stavano le cose nel 1962». In quell'anno le cose, dal punto di vista femminile, sta¬ vano così. Marina Vlady era una ragazza di buonissima famiglia romana, educata dalle suore, di principi severi, assolutamente ignorante dei fatti sessuali. Il fidanzato Ugo Tognazzi la rispetta, con fatica, ma anche con orgóglio: una volta che la sorprende mentre si veste, la volta verso di sé e la fa arrossire, le dice quanto rispetti e approvi il suo pudore. Finalmente Ugo e Marina si sposano e l'ignoranza femminile fa le sue vendette. Marina scopre un gioco nuovo, il sesso, un diritto nuovo, quello di pretendere il debito coniugale, e li esercita entrambi con la voracità punitiva delle ingenue. Ugo prende da parte un frate amico, cerca di spiegargli la situazione; tenta anche di fuggire in un campeggio d organizzato dai preti; ma le buone regole della morale e del diritto sono contro di lui, quello che prima gli era vietato adesso gli è ordinato. Prigioniero, come un fuco, di un alveare domestico nel quale ha fatto entrare incautamente la regina, Ugo non può sottrarsi alle regole. Non può rifiutare il debito coniugale, perché la tradizione vuole che il maschio domini la moglie; non può cercare aiuto all'esterno perché nessuno apparentemente ammette infrazioni alla supremazia sessuale maschile. Cosi passano le energie di Ugo; quando Marina resterà incinta, lui sarà sul punto di morire per esaurimento vitale. Aforìrd anzi, per lasciare Marina luminosamente presa dal suo nuovo compito di donna incinta, di madre, di ape procreatrice. L'ape regina era il ritratto di una donna conculcata che si vendica seguendo le regole, ma anche il ritratto di una donna distruggitrice. Ferreri, il nemico delle donne, aveva incominciato abilmente la sua galleria femminile. Appena finita L'ape regina, s'era messo al lavoro intorno alla Donna scimmia; non voleva perdere la battuta e il gusto, pur cercando di pareggiare il conto anche con l'uomo. Nella Donna scimmia toccava a una creatura mostruosa e barbuta soffrire, portare il peso della femminilità contro la crudeltà dell'amante sfruttatore. Era una donna-simbolo? Forse, ma un mostro, una donna da far paura. Anche nelle buone intenzioni, la coerenza di Ferreri già mostrava la sua saldezza. Lui si difende, adesso: «Un misogino io? Misogino è un aggettivo maschile, un'invenzione ancora degli uomini. Diciamo che sono uno spettatore delle donne, un guardatore delle donne, uno che le ha seguite in questi anni, in diverse situazioni, in diversi contesti». Ricostruiamo l'istruttiva galleria di Ferreri, tenendo conto anche dei film che non saranno presentati in televisione. (Il ciclo comprenderà con L'ape regina. Dillinger è morto. Il seme dell'uomo. L'udienza, La cagna;. In Dillinger una moglie esiste semplicemente per essere uccisa, nel Seme ci vuole una catastrofe nucleare per intaccare la forza di una donna possessiva e cannibale, nella Cagna neppure la degradazione della donna salva la coppia. O forse si? Catherine Deneuve nella Cagna (il racconto originale è di Flaiano) irrompe nella solitudine di un uomo che vive su un'isola insieme col suo cane. Fa fuori il cane e ne prende il posto, uggiola, lecca la mano dell'uomo, diventa una bestia. A una bestia non si può negare amore e una donna ridotta a una bestia non è più pericolosa, mima con sarcasmo il ruolo che la paura dell'uomo le ha assegnato, ma insieme si accetta. Quanti spettatori uomini hanno provato un brivido di compiacimento e di antica sopraffazione vedendo la bella punta rosa della lingua di Catherine che leccava umilmente la mano di Marcello Mastroianni. La cagna è del 72, è un animale-donna che non a caso s'infila nella cultura femminista che prende forza e ne restituisce il contorno misogino. Nella Grande abbuffata c'è una compagnia di borghesi che si distrugge mangiando; quella che imboccherà dolcemente con un cucchiaio di budino l'unico sopravvissuto (diabetico) sarà naturalmente una donna, venuta a completare l'opera dissolutrice. Lui guarda il dolce a forma di mammella e lei con pazienza lo imbocca, lo avvelena. La vendetta è semprefemminile, la crudeltà del gioco appartiene alle donne; gli uomini sono ingenui anche quando compiono il sacrificio di sé. . Tanto vale essere espliciti e sacrificarsi in modo esemplare, davanti a una donna, contro una donna. ■Nell'Ultima donna (1976) Gerard Depardieu si taglia il sesso con un coltello elettrico e lo offre a Ornella Muti, colpevole d'essere troppo indipendente. Lavedeva dolcissima, bella e materna, ma con un fondo di silenziosa inimicizia sapeva che s'incontrava con la sua ex moglie, scoprendo una solidarietà profonda, priva di ogni rancore rivale. Che poteva fare quest'uomo assediato davanti a due donne serenamente complici? Si risponde appunto col titolo del penultimo film di Ferreri, Ciao, maschio. Ancora il simbolico Gerard Depardieu viene violentato da sette ragazze, femministe e attrici, come streghe nella luce rossa d'un teatro. E quando lui tenta di vendicarsi con una violenza maschile in vecchio stile non ci riesce perché la donna gli oppone una materna, terribile indulgenza, lo beffeggia affettuosa. In Ciao, maschio Depardìeu non si castra semplicemente, si uccide, si annulla buttandosi tra le fiamme di un vecchio museo delle cere. Il nemico delle donne ha fatto vincere le donne. Nell'ultimo film, Chiedo asilo, sembra addirittura che abbia imparato ad amarle, almeno ad apprezzarle per il verso giusto. Il personaggio di Dominique Laffin, la maestra d'asilo, è il più positivo che Ferreri il misogino abbia creato. Lui è irritato con se stesso: «E' vero, troppo positivo; non dovevo esagerare. Ma il personaggio è nato cosi, quasi da solo, durante la lavorazione. A me interessava il rapporto della donna incinta con la propria pancia, il ruolo di donna incinta che sembra essere diventato privo di senso, di rilievo sociale». Nel film, la maestra d'asilo va a partorire in Sardegna davanti al mare. Dalla suat pancia esce la creatura nuova, l'unica, tenue speranza. Ma allora, Ferreri, la speranza verrà dalle donne, almeno dalle donne incinte? E' costretto ad ammettere di sì, dopo Chiedo asilo vede una1 storia nuova, molto lontana nel tempo (-noi non c'entriamo, noi non ce la faremo mai»/ vede una coppia nuova, integrata, formata da un uomo e da una donna finalmente uguali. Dice: «Sarà un grande risultato per l'uomo. Nonostante tutto, ho fiducia nell'uomo». Si capisce che Ferreri vuol dire fiducia nel genere umano, nell'umanità. Ma non saprebbe dire: fiducia nella donna. Sarebbe chiedergli troppo, sarebbe scoprire che mai un misogino ha fatto tanto in favore delle donne, perseguitando le donne. Stefano Reggiani Marina Vlady e Ugo Tognazzi nell'«Ape regina», il film in programma questa sera alla tv

Luoghi citati: Italia, Roma, Sardegna