Sherman, Wilson e Rich vedettes a Parigi Gli oggetti contro le finzioni borghesi

Sherman, Wilson e Rich vedettes a Parigi Gli oggetti contro le finzioni borghesi UN MODO NUOVO E UNO TRADIZIONALE DI FARE TEATRO Sherman, Wilson e Rich vedettes a Parigi Gli oggetti contro le finzioni borghesi DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE PARIGI — Se chiedete a qualche giovane critico, a un critico, come si usa dire oggi, di tendenza, qual è lo spettacolo di punta del Festival d'Automne, vi segnala senza esitazione quello dell'americano Stuart Sherman. Se chiedete a un critico maturo e piuttosto «oggettivo», vi suggerisce di abbandonare per una sera il Festival e assistere a Un habit pour l'hiver di Claude Rich, regia di Georges Wilson. In nome dell'informazione, prima ancora che dell'eclettismo, abbiamo visto l'uno e l'altro, senza tentare paragoni impossibili. Sherman è un allievo di Richard Foretnan (che adesso a Roma sta montando da due mesi un nuovo spettacolo, alla Piramide di Meme Perlini). Lavora da solo da quattro anni, ha creato undici spettacoli, gli ultimi due 11 ha presentati qui a Beaubourg, a sere alterne. Durano un'ora l'uno, si intitolano Ritratti di posti e L'erotico. Sono fondati sul rapporto difficile, ambiguo, talvolta intensamente lirico, talaltra comico, tra l'uomo e gli oggetti. Gli oggetti — sembra suggerire Sherman, che naturalmente agisce velocissimo, sue giù per lo spazio scenico, senza mai aprire bocca — ci ingombrano, forse ci fanno guerra, ma in essi, quanto più sono semplici, banali, si addensa il massimo della nostra esperienza del reale. Ed ecco, in Ritratti di posti, diciassette citta del mondo evocate attraverso la combinazione di oggetti, disposti su due traballanti tavolini da picnic e «fatti agire» dalle mani febbrili di Sherman. Istanbul è una torta rituale con la sua candela sopra, tagliata con amore da una perfida scimitarra: ma la scimitarra ci por¬ ta su un fazzoletto insanguinato, mentre il piccolo registratore, che è sempre 11 e lavora sotto le dita dell'attore, ci immette in una dimostrazione di piazza, tra gli spari e le urla di una folla ferita. Sherman si è mosso dal rito antico per condurci alla violenza d'oggi. Molti dei suoi «montaggi» hanno questa suggestione: alcuni sono più facili, decisamente pittoreschi; ma colpisce in questo sperimentatore la sottigliezza, il gusto dell'astrazione, la lindura formale, l'umiltà. Al Théatre de l'Oeuvre si fa, invece, un gran tuffo nel teatro «normale», ma di altissima classe: e c'è già chi, come Michel Cournot, il critico di Le Monde prevede che Un habit pour l'hiver terrà il cartellone per un anno. Non mi impanco in previsioni del genere: certo la commedia è molto tenera e maliziosa. Rich (pensate, un ex attore- commediografo, vera rarità!) ha letto bene il suo Beckett, il suo Pinter, i maestri dell'atte' sa e della solitudine. Di atte» sa. di solitudine si parla, infatti, nella commedia: tre uomini che si ritrovano senza conoscersi, in un ufficio in via di demolizione di una azienda che ha cambiato padrone. Uno ha ricevuto una proposta d'assunzione, o crede d'averla ricevuta, l'altro è l'ex proprietarlo, tornato senza motivo da un suo lungo esilio volontario, il terzo è il suo segretario, che lo ha atteso, senza una ragione vera, tutto quel tempo. I tre non hanno da scambiarsi altro che la loro solitudine: e ricordi, spezzoni di ricordi, rigurgiti di rimpianto, fiotti di rimorso, inutili speranze. Su questo copione, variegato e fragrante, spicca la straordinaria maestria del tre interpreti, che la regia di Georges Wilson asseconda con intelligente misura. Claude Rich (gli appassionati di cinema lo ricorderanno in tanti ruoli di impertinente, di sano da legare) è, oltre che l'autore, 11 segretario: una presenza strana, inquietante, tra la crudeltà e lo spasimo, il sorriso beffardo sulle labbra e poi un improvviso cedimento, giù, nella china delle memorie d'infanzia, e poi, ancora, un'impennata, di nuovo su, aggressivo e asprigno. Georges Wilson, con quel fisico da tagliaboschi, i capelli fulvi sul naso d'aquila, è l'ex-industriale: lunghi silenzi smarriti, e d'un tratto, quella voce di baritono che fende l'aria a evocare 11 profilo tremulo di una ragazza, un'alba In India, a chiedersi ragione della propria sragionevolezza. Ma chi domina la scena, con una ineguagliabile rotondità e pienezza di presenza, è Claude Pieplu, che fa il cinquantenne disoccupato precipitatosi là nella speranza di un lavoro. Ho di rado visto un attore cosi naturale nella più calcolata, minuziosa, caparbia finzione: la finzione del piccolo-borghese smarrito nelle sue bassezze, avvoltolato nelle proprie meschinità, eppure superbamente, orgogliosamente uomo, anche nella pavidità, nel qualunquismo atroce. Guido Davico Bonino

Luoghi citati: India, Istanbul, Parigi, Roma