Gioco è libertà di Gianni Vattimo

Gioco è libertà NON È PRIVILEGIO DELL'INFANZIA Gioco è libertà L'alienazione — lo stato di disagio in cui tutti più o meno viviamo — è stata spesso efficacemente descritta come opposizione di gioco e lavoro, di gioco e vita «seria» di tutti i giorni. Secondo uno schema di derivazione marxiana popolarizzato soprattutto da Marcuse, uno dei caratteri essenziali dell'alienazione è appunto il fatto che il lavoro non possiede i caratteri di libertà e di gratificazione che sono propri del gioco, e anzi si definisce proprio per opposizione ad essi. In tale prospettiva, il gioco tocca le radici stesse dell'esistenza. Il Centro di studi semiotici di. Urbino, che ha scelto «Il linguaggio del gioco» a tema di un convegno tenuto a fine ottobre a Montecatini, ha probabilmente inteso riaffermare così la pretesa della semiotica di investire, attraverso il filtro dei segni, le questioni più profonde della vita individuale e sociale. Affrontando il problema in una prospettiva prevalentemente semiotica, con aperture alla psicologia, alla psicanalisi, all'antropologia, le relazioni programmate al convegno di Urbino rivolgevano soprattutto l'attenzione allo studio della fenomenologia dei giochi, mirando a reperirne analogie e differenze che ne fanno uno specchio, o comunque un aspetto particolarmente significativo, della dinamica psicologica e di quella sociale. L'attualità della nozione di gioco nella cultura contemporanea, tuttavia, sembra andare al di là del significato che i giochi, le loro strutture e le alterne vicende della loro popolarità assumono nelle diverse società. Accanto e oltre a questi fenomeni specifici, il termine gioco sembra funzionare nella nostra cultura soprattutto in due sensi fondamentali, certamente legati alla fisionomia della società nell'epoca del capitalismo maturo: si parla infatti di gioco come modello della libertà oppure come modello della razionalità. Al primo senso si riconduce la funzione che il richiamo al gioco ha avuto nella cultura (e nella retorica) «rivoluzionaria» degli ultimi dieci-quindici anni. Per questa cultura, la rivoluzione deve realizzare una società in cui il lavoro non si distingua più dal gioco: soprattutto nel senso che, abolita o comunque ridotta sensibilmente la divisione sociale del lavoro, l'uomo non sia più legato a un'unica attività, ma possa realizzarsi più integralmente attraverso un'armoniosa composizione di attività diverse, non più sottratte al suo potere di direzione e di disposizione. L'altro significato del gioco divenuto dominante negli ultimi anni nella cultura italiana è quello che vede in esso il modello della razionalità. In questo caso non è tanto la libertà di chi gioca a venire sottolineata, quanto il fatto che l'essenza del gioco è avere regole. Lud wig Wittgenstein, il filosofo che più ha influito sulla cultu ra anglo-americana del nostro secolo, nella fuse più matura del suo pensiero adoperò il termine «giochi linguistici» per indicare i vari linguaggi che l'uomo usa, da quelli delle varie scienze a quelli della rell gione, della morale, della politica, dell'arte. Nessun linguaggio è più «vero» degli altri; ognuno ha proprie regole d'u so, rispettando le quali evita le contraddizioni e gli equivoci che in passato hanno tormen tato il pensiero come vere t proprie malattie. Al di fuori dei singoli «giochi» non è possibile alcun discorso sensato; e non c'è, al di sopra dei giochi, un linguaggio generale, un «gioco dei giochi» che possa legittimare o meno le regole dei vari linguaggi Questa accezione del gioco, molto più di quella che vi vede un modello della libertà da realizzare in una improbabile' società rivoluzionata (la quale avrebbe poi sempre bisogno della tecnica e delle sue regole), appare adeguata a descrivere la struttura della società tardocapitalistica; che è fatta di una molteplicità di ambiti diversi, ciascuno regolato da proprie specifiche norme, cioè da una propria specifica razionalità, senza che sia possibile mai indicare una ragione egemone, centrale, da cui tutte le razionalità particolari dipen dano. La vicenda dei rapporti tra queste due accezioni del termi ne gioco potrebbe servire da filo conduttore per ricostruire la storia della cultura militante degli ultimi dieci anni. Il gioco come modello della razionalità si è imposto, di fatto, nel momento in cui l'ideale di una so cietà ludica è entrato in crisi Mdsv Ma ciò non sembra solo segno i ndel riflusso, della perduta speranza nella rivoluzione. Spesso, invece, il modello della razionalità si presenta come la vera concretizzazione del modello un po' astratto della identificazione tra lavoro e gioco; nel senso che la libertà che ci è dato realizzare in questa società non può che dispiegarsi in una organizzazione tecnologica del mondo in cui le varie tecniche non siano più assoggettate a un potere centralizzante, sia quello di Dio o della natura o della stessa ragione pensata come qualcosa di unitario. A parte i rischi di «disumanizzazione» che questa concezione comporta, per quanto riguarda il senso del gioco va perduto, nel modello della razionalità come in quello della libertà, uno dei caratteri essenziali del fatto di giocare: il «mettersi a giocare», il carattere differenziale del gioco. Sia che il gioco diventi il denominatore comune di ogni attività, in una ideale società liberata dalla divisione del lavoro; sia che l'esistenza venga vista tutta; come articolata in giochi, in ambiti specifici regolati da norme diverse e irriducibili a unità, ma non per questo, nei di-' versi campi, meno ferree e indiscutibili, non è previsto mai che «ci si metta a giocare», che si stabilisca cioè una differenza esplicita tra un livello di esistenza (la vita di tutti i giorni) e un altro (quello del gioco). Tolta questa differenza, la vita assume una rigidità che contrasta con uno degli aspetti essenziali del gioco. Per questo, accanto alle due' accezioni dominanti del termine gioco, bisogna ricordarne una terza, alle cui implicazioni non si è ancora fatta abbastanza attenzione, almeno in Italia. Si trova in un libro che è stato tradotto in italiano già da alcuni anni, Verso un'ecologia della] mente di Gregory Bateson (Adelphi). Per Bateson, carat-' (.eristica del gioco non è tanto il fatto di avere regole, quanto piuttosto che queste regole vengono applicate con l'intesa che «non si fa sul serio». L'esempio a cui egli si richiama è quello del gioco fra gli animali: quando si mordicchiano per gioco, gli animali fanno bensì gesti aggressivi, ma, attraverso un insieme di atti comunicativi, si informano anche reciprocamente che non si tratta di una lotta vera. Qualcosa di simile, a livelli di maggiore complessità, accade fra gli uomini. Il gioco si rivela una complessa macchina comunicativa, dove alla comunicazione di primo livello (per esempio, mordere, che di per sé è un atto aggressivo) se ne accompagna una di secondo livello (si tratta di un gioco) che toglie alla prima la sua univocità e la mostra come un segnale capace di avere più significati. Questa teoria del gioco può essere sviluppata, anche oltre quanto ha già fatto lo stesso Bateson, in una generale teoria della comunicazione sociale, Accettare le regole di una società pur sapendo che non so- stzingpvluchcloaacmncplali rèdictutGcIrilpclNdsqpbdmntsdtepdieepvsc no le uniche possibili, che sono storicamente cariche di condizionamenti ideologici («continuare a sognare sapendo di sognare», direbbe Nietzsche), è possibile solo se si porta nella vita sociale un atteggiamento ludico. Sempre più, nelle società laiche moderne, dove i valori accettati non si spacciano per valori eterni, l'uomo, per essere animale politico, deve essere animale ludico, saper giocare come e più di tutti gli altri animali. Anche cosi il gioco rimane un modello di società: la so-' cietà ludica non è però né l'impossibile luogo idilliaco dove lavoro e gioco coincidono, né la macchina senza centro in cui i singoli meccanismi hanno però norme rigorose e perentorie; è invece l'ideale di un mondo dove ogni messaggio è inserito in contesti che ne mettono continuamente in gioco le pretese, facendone il termine di un dialogo umano, cioè limitato e sempre correggibile. Gianni Vattimo

Persone citate: Bateson, Gregory Bateson, Marcuse, Nietzsche, Wittgenstein

Luoghi citati: Italia, Montecatini, Urbino