I segreti e le lotte di Gino Bartali di Luciano Curino

I segreti e le lotte di Gino Bartali L'AUTOBIOGRAFIA DEL CAMPIONE DEDICATA A COPPI, L'AMICO-NEMICO I segreti e le lotte di Gino Bartali DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE FIRENZE — Fra pochi giorni uscirà, edito da Mondadori, un libro di Gino Bartali che non racconta soltanto la sua vita, ma «vuota il sacco., n titolo è Tutto sbagliato, tutto da rifare, la frase tante volte ripetuta dal grande brontolone e che gli è rimasta appiccicata come un'etichetta. «Ma guarda che questa frase io mica la dicevo contro gli altri. La dicevo per me quando mi andava buca». Pensa un poco e dice corrucciato: «Perché io ho sbagliato tutto». E' troppo severo. A chiusura del bilancio, proprio tutto sbagliato, tutto da rifare non sembra proprio. Bartali ha smesso dì correre ventiquattro anni fa eppure è ancora nel cuore di milioni d'italiani. Glielo dico, e sorride: «SI. qualche volta penso che in ogni paese d'Italia ci sarà sempre un bicchiere di vino per me, un posto a tavola». Sfogliamo le bozze del libro ed ecco subito una dedica che non ti saresti aspettato: «Alla memoria di Fausto Coppi». Bartali spiega: «Ho dedicato il libro a Fausto, primo perché è stato il mio più grande avversario; secondo perché lui, aveva dedicato a me il suo ultimo anno di carriera. Quando stava per lasciare le corse e io dirigevo la San Pellegrino, venne a cercarmi: "Gino, mi prendi a correre con te?". Gli dissi: "Di volata ti prendo, e ti pago il doppio degli altri perclié tu vali per due". E lo presti Proprio quando mori doveva debuttare con me». Nel suo libro Bartali scrive: «... pretendere che due rivali convivano è sempre stato difficile: ma le folle che amano l'esplosione dell'agonismo desiderano che fuori della gara i due siano amici Talvolta conviene persino fingere di esserlo: ma è molto meglio riuscire a esserlo sul serio». Si direbbe una riflessione nata dal rimpianto per quello che poteva essere e non è stato. Dice Bartali: «Fausto e io ci si punzecchiava. Ma c'era chi soffiava sul fuoco della rivalità e c'erano i giornali che esageravano le cose. Comunque, nel libro c'è tutta la verità. Parlo delle cose sbagliate che Coppi ha fatto e di quelle che gli hanno fatto fare». Dice di avere scritto 11 libro perché avvilito di leggere cose che offendono la verità e che lo offendono. «Tutti scrivono libri in Italia. E scrìvono di ciclismo anche quelli che il ciclismo non lo hanno mai visto. Nel mio libro dico cose che mi porto dentro da un quarto di secolo, tutta roba che nessuno lia mai voluto pubblicare per paura delle conseguenze. Ma io non posso dire le bugie per fare piacere alla gente. Ho scritto col cuore, senza malanimo, non per polemica o per ritorsione. Ho scrìtto cose che non possono essere gradite a qualche fanatico. A me non interessano i fanatici interessano quelli che ragionano e vogliono conoscere la verità». La verità, secondo Bartali. è che lui era una briscola. Coppi era un'altra briscola. Erano briscole tutti i corridori. Il gioco era dominato dal poker d'assi. Chi erano questi assi? «Quello più forte, l'asso di cuori, era l'industria. Allora chi comandava nel ciclismo era il commendatorZambrìni dirìgente della Bianchi. Altri assi: i rappresentanti degli accessori la stampa, gli organizzatori». Fa un esempio. Lui, dilettante affamato, nel 1935 corre e sta per vincere la MilanoSanremo. «Era uno sconcio se vincevo, perché ero nessunissimo, non ero un accasato». E cosi si vede affiancato da automobili dove tutti sono cortesi e pieni di premure, lo intervistano, lo fanno chiacchierare e lui. emozionato e frastornato, manco si accorge degli avversari che lo superano e volano verso il traguardo. Scrive ne) libro che. qualche anno dopo, pranzava a Varese con Emilio Colombo. direttore della Gazzetta dello sport che organizzava la Milano-Sanremo. «Colombo mi disse: "Lo sa, Bartali, che sono, stato io a farle perdere la Sanremo del '35?". "Perché?" domandai. "Perché lei con quella maglia senza la scrìtta della Casa avrebbe rovinato tut-, to, com'era già successo una volta con un altro toscano, Pietro Chesi». Aggiunge Bartali: «Non si sarebbero venduti giornali se avesse vinto uno sconosciuto». Comunque, è grato a Colombo perché «di Sanremo me ne ha fatto perdere una, ma me ne ha fatto vincere quattro. Ero già un campione e lui mi ha sfidato: "Tu non sei un grande corridore perché un grande corridore ha vinto almeno una Sanremo". Cosi sono andato alla sui corsa e l'ho vinta quattro volte». Scrive Bartali: «La gara, ogni gara, è ur.a lotta: e quando c'è di mezzo l'agonismo e, con esso, il guadagno e la gloria, è difficile accettare e fare proprio il discorso della correttezza, della lealtà e del.a generosità». Il libro racconta questa sua lunga lotta, la slealtà di compagni, le tattiche dei direttori sportivi e i giochi dei dirigenti, gli umori dei giornalisti e dei tifosi. Scorrono i nomi, i primi arcaici (Girardengo, Guerra, Binda, Bizzi. Olmo, Di Paco), poi l'ondata del dopoguerra (Coppi amico-nemico, i Tour con Bobet. Pvobic, Kubler e Koblet) e infine il tramonto della carriera. Vi sono rivelate cose finora rimaste segrete o appena sussurrate nell'ambiente. E di se stesso che ha scrit-, to? Ha scrìtto soltanto bene? «Ho scritto anche di ribellioni mie. Non ero proprio buonino nemmeno io. Nel Giro del'36, nella tappa Campobasso-L'Aquila mi si rompe il sacchetto dei rifornimenti che rotolano fuori strada e resto con una mela. All'inizio della salita per L'Aquila dico a Mollo: "Ti do una lira per un panino", ma lui mi vuole affamato e in crisi per battermi, e dice di no. "Ti do due lire", arrivo a offrirgli dieci lire e lui ripete sempre no. Allora gli dico: "O tu mi dai due panini o ti cazzotto ben bene e me li prendo". Me li dà e mi servono per batterlo, vincere la tappa e prendere la maglia rosa». Il ricordo lo mette di buonumore. E ridacchia quando racconta i tiri giocati a Kubler («ma mi ha suonato di più lui e ogni volta diceva: "Gino, tu grande corridore e io piccolo, tu non stare arrabbiato con il tuo amico Ferdy" ecco, ti imbrogliava e poi ti corteggiava come una donna»). Qual è il suo ricordo più bel-' lo di ventiquattro anni di ciìli-no? •Ho partecipato a 988 corse ritirandomi sol'anto 28 volte. E' un record, quello di cui più mi vanto. Io sono tenace di natura, ma , u Guerra a insegnarmi a non ritirarmi, se possibile. Ricordo ancora la sua lezione. Anche se non puoi vincere, cerca di dare il meglio, perché c'è pente che si alza all'alba per venirti a vedere. Se sei deluso tu non puoi deludere anche loro». Luciano Curino