Il ministero espelle dall'Italia due cileni presunti terroristi inviati al confino dal magistrato di Vincenzo Tessandori

Il ministero espelle dall'Italia due cileni presunti terroristi inviati al confino dal magistrato Erano in attesa di processo per Azione rivoluzionaria Il ministero espelle dall'Italia due cileni presunti terroristi inviati al confino dal magistrato i DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE MILANO — La storia è insolita e preoccupante. Uno spagnolo e un cileno, accusati di «partecipatone a banda armata» in attesa di un processo ormai imminente, usciti dal carcere dove hanno trascorso un anno e mezzo per decorrenza dei termini sono stati espulsi dall'Italia per motivi di ordine pubblico». La decisione, del ministero dell'Interno, è in contrasto con quanto stabilito dalla magistratura: soggiorno obbligato in attesa del dibattimento e della sentenza che potrebbe anche essere di assoluzione. Dice, infatti, l'articolo 150 del Testo Unico di pubblica sicurezza: •Oli stranieri "condannati" per delitto possono essere espulsi dallo Stato e accompagnati alla frontiera. Il ministro dell'Interno, per motivi di ordine pubblico, può disporre l'espulsione e l'accompagnamento alla frontiera dello straniero di passaggio o residente nel territorio dello Stato». I protagonisti di questa storia devono ancora essere giudicati per l'appartenenza ad una 'associazione sovversiva costituita in banda armata denominata Azione rivoluzionaria». La vicenda inizia la sera del 19 aprile del 1978, in una pizzeria di Lucca. C'è un'irruzione della polizia, vengono fermati sei giovani, vicino a loro trovate quattro pistole. Uno degli sconosciuti afferma che 1 compagni «sono terroristi», volevano coinvolgerlo, ma lui ha paura. Si chiama Sergio Melonari, romano. Nel gruppo ci sono anche Ernesto Reyes Castro, di Santiago del Cile, 24 anni, e Gulllermo Cajgal Ferrer Palleja, di Barcellona. Il cileno è giunto nel nostro Paese qualche mese prima proveniente da Cuba. Dal Sudamerica era fuggito quando i militari fascisti avevano abbattuto il presidente Salvador Allende. Con lui c'erano Juan Teofilo Soto Paillacar, che rimarrà coinvolto in un'inchiesta su Azione rivoluzionarla condotta a Pisa e a Firenze, e Alberto Marin Pinones. che, anch'egli di Azione rivoluzionarla, con un compagno, Attillo Di Napoli, saltò in aria a Torino in corso Umbria per l'esplosione della bomba che trasportavano. Più tardi, il gruppo fece un attentato a «La Stampa», feri il giornalista Nino Ferrerò de «l'Unità». Legami inquietanti che gli inquirenti non mancano di sottolineare. Scrive il sostituto procuratore Gabriele Ferro in requisitoria: «71 Castro aveva alloggiato per alcun tempo, in Roma, presso il cileno Paìllacar, già oggetto di indagini da parte della Questo ra di Roma perché giunto in Italia con titolo di viaggio cubano e qui accolto, in asilo politico, assieme ad altro profugo cileno, tale Marin Pinones». In ogni modo Castro riconosciuto 'profugo politico», gli viene consegnata una carta d'identità italiana, gode di ogni diritto. Palleja anarchico è legato alle Confederazioni sindacali degli edili. Si protestano innocenti di tutto. Ma c'è la storia delle armi, una istruttoria rapida che porta a un processo con rito direttissimo e a una serie di condanne fra i due anni e mezzo e i tre anni. E subito parte l'inchiesta sulla banda armata, il reato più complesso e grave. Dice il magistrato che in carcere, a Lucca, viene trovato addosso a un detenuto un documento, scritto a mano, con il quale si rivendica l'appartenenza del gruppo arrestato in pizzeria all'organizzazione terroristica Azione rivoluzionaria. Sempre il magistrato afferma che lo scritto apparteneva a Enrico Pagherà, uno dei sei, nato a Genova, anch'egli in carcere, e che l'altro detenuto doveva soltanto batterlo a macchina. Cosi per la «proprietà transitiva» scatta 11 mandato di cattura per tutti, Castro e Palleja compresi. Dopo un anno e mezzo di carcerazione preventiva, però, venerdì 26 ottobre Fernando Castro viene scarcerato per decorrenza dei termini. Dovrebbe aspettare il processo a Capannori, presso Lucca, ma fuori dai cancelli del supercarcere di Favignana, ad attenderlo, ci sono gli uomini della Digos di Palermo. Gli hanno restituito i documenti tranne la carta d'identità italiana. Lo portano all'aeroporto di Fiumicino, settore internazionale, e gli chiedono in quale Paese vo¬ glia andarsene. E' l'espulsione. Il cileno fa appena in tempo a telefonare al difensore per informarlo che sta per raggiungere in volo la Francia e che in aula non potrà essere presente per difendersi. L'indomani da un altro supercarcere (Termini Imerese) esce Ferrer Palleja. Per lui il soggiorno obbligato è a Castelnuovo Garfagnana, ma anch'egli trova gli uomini dei servizi di sicurezza che l'accompagnano in un campo di profughi nel dintorni di Roma. Poi, controllato il suo passaporto, è espulso. Sceglie la Francia. Anch'egli non potrà difendersi di fronte ai giudici della Corte d'assise di Lucca chiamati lunedi a emettere giudizio sulla partecipazione alla banda armata. La decisione del ministero dell'Interno 'travolge» secondo i difensori le disposizioni del potere giudiziario e nega la possibilità di difendersi a due imputati, «ritenuti innocenti sino a condanna definitiva». Vincenzo Tessandori