Un sorriso a Berlinguer di Lietta Tornabuoni

Un sorriso a Berlinguer Un sorriso a Berlinguer (Segue dalla 1* pagina) «La ricostruzione dei nostri rapporti» — dice Giancarlo: Pajetta — «è un processo che richiede tempi lunghi, e non passa attraverso colpi di scena». Verissimo. Questi che i comunisti definiscono oggi cau-, tamente «atti significativi da, entrambe le parti, che vanno'nella direzione d'una ripresa' di normali rapporti tra i due partiti», sono il risultato di anni d'un lavoro diplomatico da mandarini, prudente, lentissimo, paziente, tessuto di sfumature, in cui ogni minuzia diventava un successo:, quando, nel 1971, Luigi bongo mandò una lettera di caloroso benvenuto al primo ambasciatore cinese a Roma, e alla signora Ping inviò una corbeille di gladioli e rose, fu tutto contento di non ricevere cenno di risposta né di ringraziamento: nove mesi prima, lettera e corbeille sarebbero state rispedite al mittente. I due partiti non si parlavano dal 1962, anno della rottura tra l'Unione Sovietica e la Cina. Nel 1962, al X congresso' del pei, il rappresentante del partito comunista cinese tenne un discorso d'aspra polemica ideologica, accusando i compagni italiani d'infedeltà ai principi, di riformismo e nazionalismo, d'abbandono della grande strategia rivoluzionaria. Togliatti gli rispose con altrettanta asprezza. Da 'allora, pur senza rottura di-i chiarata, i rapporti tra i due ■partiti s'interruppero del tutto. | • Il pei continuò a sostenere !to necessità del riconoscimen■to ufficiale della Repubblica popolare cinese e nell'ambito del comunismo internazionale si oppose ad ogni proposta di pronunciamenti, condanne o scomuniche contro la Cina. Seguitò pure a compiere piccoli gesti propiziatori. Ad ogni congresso, partiva la lettera d'invito per la Cina e l'Albania: i cinesi non rispondevano affatto, i più duri albanesi rimandavano indietro la busta sema neppure aprirla. In occasione del ventesimo anniversario della Repubblica popolare cinese, il pei inviava un messaggio augurale: non pubblicato, rimasto senza risposta. Durante lunghi anni, l'unico contatto lo ebbe Giancarlo Pajetta nel 1972: in viaggio per il Vietnam massacrato dalla guerra, si fermò all'aeroporto di Pechino per un breve colloquio con alcuni dirigenti cinesi sulla campagna internazionale di solidarietà' con il popolo vietnamita. L'episodio rimase isolato. Il riavvicinamento è comin- ciato dopo la morte di Mao, e la Jugoslavia vi ha avuto un ruolo non irrilevante. Nei suoi incontri con i cinesi, Tito era ambasciatore della disponibilità del pei a riprendere in ogni momento, sulla base delle rispettive posizioni autonome, i rapporti con il partito comunista cinese; pure il premier romeno Ceausescu si prestò a farsi interprete di questo desiderio durante la visita di Hua Guofeng in Romania nel 1978. { Con successo: in questo 1979 'si sono moltiplicati i segni di [nuova amicizia. Lenti, graduali, magari infimi, ma ciascuno salutato come una viteria. In aprile, la solita lettera d'invito al XV congresso del pei non parte invano: il partito cinese non risponde, ma l'ambasciatore cinese a Roma accetta volentieri, segue assiduamente i lavori congressuali, calorosamente applaude in piedi Berlinguer che rende omaggio ai veterani comunisti, cordialmente partecipa al ricevimento offerto alle delegazioni straniere. Nell'estate, vengono invitati in Cina Claudio Petruccioli componente il comitato centrale del pei oltre che condirettore del;'Unità, e Massimo Ghiara, inviato di Rinascita. Non li ricevono alla sede del partito co-, munista cinese, mentre i due giornalisti cinesi subito re-invitati in Italia hanno un incontro formale alle Botteghe Oscure con Adalberto Minucci componente la segreteria e la direzione del pei. L'ambasciatore cinese a Roma va fino a Milano per assistere al comizio di Berlinguer conclusivo dei festival dell'Unità; a settembre Sergio Segre, componente il comitato centrale e incaricato dei rap-. porti internazionali del pei viene accolto con gran cordialità a Pechino, dove va con una delegazione dell'Istituto Affari Internazionali. All'inizio di ottobre, per la prima volta Berlinguer viene invitato all'ambasciata cinese di Roma, dove nessun dirigente del pei aveva mai messo piede e dove lui era stato un'unica volta, senza invito, insieme con Luigi Longo, a firmare il registro di lutto alla morte di Mao; per la prima volta il messaggio augurale del pei per il trentesimo anniversario della Repubblica popolare viene pubblicato, integralmente e al posto d'onore, sui giornali cinesi; per la prima volta una delegazione della Federazione giovanile comunista italiana viene invitata in Cina dalla Lega della gioventù comunista cinese. Alla fine d'ottobre, durante la conferenza stampa alla vigilia della partenza per l'Europa, Hua Guofeng dichiara: «Tra i due partiti, cinese e italiano, vi sono stati contatti»: il contatto personale con Berlinguer si realizza alla fine ieri al Quirinale, per arricchirsi, poi all'ambasciata. Nulla di simile è accaduto a Parigi tra Hua Guofeng e il segretario del partito comunista francese Marchais: I comunisti italiani negano di volersi assumere il compito di mediatori tra le due grandi nemiche, Unione Sovietica e Cina: «Nessuno di noi pensa di fare il papa Wojtyla de) nuovo internazionalismo, ma vogliamo dimostrare che è possibile una collaborazione anche nella diversità», dice Giancarlo Pajetta. Negano che Berlinguer abbia in programma un viaggio in Cina nel 1980, assicurano di voler essere amici di tutti, nemici di nessuno: «Per avere legami con i compagni cinesi non chiediamo il nulla-osta a nessuno» — dice Antonio Rubbi — «ma non stabiliremo rapporti in contrapposizione con i compagni sovietici, e ci auguriamo che loro non vogliano dare un'interpretazione simile ai nostri passi». Lietta Tornabuoni