Anfetamine ai bimbi iperattivi «Così stanno attenti alle lezioni»

Anfetamine ai bimbi iperattivi «Così stanno attenti alle lezioni» Una cura in voga negli Usa, ma che può presentare rischi Anfetamine ai bimbi iperattivi «Così stanno attenti alle lezioni» Secondo la definizione più usata il «bambino iperattivo», cioè affetto dalla «sindrome ipercinetica infantile», presenta due caratteristici sintomi a carico del comportamento: un'aumentata attività di tipo impulsivo che lo rende più irrequieto e mobile dei compagni e una difficoltà a mantenere l'attenzione, cioè una facile distrazione. Queste due caratteristiche si notano maggiormente quando il bambino inizia la scuola. Non può star seduto tranquillo e non presta attenzione. Si tratta di un bambino «difficile», dal profitto scolastico scarso, che viene evitato dai compagni e rimproverato da insegnanti e genitori. Il bambino ipercinetico non è in grado di soddisfare le esigenze della società e se sente che questa ha richiesto troppo da lui può anche ribellarsi e divenire asociale o perfino criminale. Presto si sente inutile, pigro e insoddisfatto di sé. Man mano diminuisce la sua sicurezza e la stima di se stesso. Clinici e ricercatori stanno studiando questo comportamento da quasi 50 anni. Dal punto di vista terapeutico si impiegano frequentemente dei farmaci aventi un'azione stimolante sul sistema nervoso centrale, per il loro effetto detto «paradossale» perché calmare sugli lperclnetici. Le due sostanze più usate sono le amfetamine e il metilfenidato (Ritalina R). Le amfetamine furono introdotte nella terapia dei bambini iperattivi nel 1930 e a partire dagli Anni 60 vennero ritenute una vera panacea. Qual è l'effetto più noto? Basta parlare con l'insegnante: «Permettono al bambino di star fermo e di prestare attenzione in classe». Soddisfatti di questo risultato gli insegnanti hanno favorito, in certi casi addirittura forzato, l'uso di questi farmaci (che i genitori hanno presto accettato). Solo negli Stati Uniti 1 bambini iperclnetici trattati con gli stimolanti sono decine di migliaia. Anche se si tratta di farmaci potentissimi e che possono causare assuefazione e dipendenza assoluta ben pochi studi si sono rivolti al loro effetto sul futuro sviluppo del bambino in termini di prestazioni scolastiche e comportamento sociale. Il trattamento è cosi diffuso che è perfino difficile trovare un gruppo di bambini non trattati che possano servire da controllo. All'Ospedale pe diatrico di Montreal O. Welss e colleghi hanno condotto re. centemente uno studio su bambini curati con il metilfenidato per 3-5 anni, con la clorpromazina (un farmaco non avente azione stimolante centrale) e non curati affatto Questo studio non dimostrò alcuna differenza nel comportamento tra i tre diversi gruppi, almeno per quanto si potesse valutare con una serie di tests psicologici. Ovviamente i risultati stupirono molti clinici. Altri studi recenti all'Università dell'IlHnois, da parte di Eisenberg e Sleaton, hanno sottolineato il fatto che dosi troppo alte di metilfenidato hanno un effetto inferiore (o addirittura peggiorano) di dosi più basse (l'apprendimento sarebbe colpito dalle alte dosi). Oltre al pericolo dell'assuefazione bisogna pure considerare l'effetto che questi farmaci hanno sul cuore (aumento del battito e della pressione). Altri clinici, come Sprague e Sleator, raccomandano quindi trattamenti con dosi «guidate» (cioè valutate individualmente fino a ottenere un effetto calmante) e soprattutto per periodi brevi, riservando la psicoterapia (behavior modif ication therapy), la consulenza scolastica e la modificazione nei programmi scolastici per trattamenti di lunga durata. Malgrado «l'effetto calmante paradosso» degli stimolanti centrali sia stato ampiamente accettato, si è cominciato a dubitare della sua veridicità. Si è notato infatti che molti adulti rispondono al metilfenidato e alle amfetamine come i bambini iperattivi. Un gruppo di ricercatori del Nimh (National Instltute of Meritai Health) di Bethesda (Usa) sotto la direzione di Rapoport e Buchsbaum hanno ottenuto il permesso di provare le amfetamine su un gruppo di bambini normali dai 6 ai 12 anni. Anche questi, come gli iperattivi, dimostrarono una marcata diminuzione della loro attività motoria e un miglioramento dell'attenzione. Questo studio fu permesso in via del tutto eccezionale dal governo, con il consenso sia dei genitori che dei bambini, tenendo presente il valore eccezionale dei futuri risultati. Lo studio del Nimh dimostra chiaramente che i ricercatori non possono più usare l'effetto paradossale degli stimolanti centrali come la chiave per comprendere l'iperattività. Altri studi condotti pure al Nimh dalla Waldrop dimostrerebbero che alla deviazione del comportamento si associano delle anomalie fisiche già presenti nel genitori (linea paterna). Ciò porterebbe a sottolineare del fattori congeniti. Altri studi porterebbero a valutare, usando dei modelli animali, l'effetto di sostanze che (come le amfetamine) modificano le cosiddette amine biogene cerebrali (specialmente la dopamina e la noradrenalina. Il difetto sarebbe quindi a carico delle amine cerebrali. La verità è che la ricerca è ancora ben distante dal poter intravedere la differenza tra bambini normali e bambini cosiddetti iperattivi. Se le cause fossero di carattere ereditario sarebbe difficile prevenire il disturbo; se fossero invece di carattere sociale e psicologico forse un intervento psicoterapeutico potrebbe dare buoni risultati. Per quanto riguarda "il trattamento coi farmaci questo deve essere prudente, a dosi guidate e di breve durata. Insegnanti e genitori devono essere consci dell'estrema potenza e pericolosità degli stimolanti ad azione centrale e non lasciarsi prendere la ma- n0 Ezio Giacobini Professore di psicofarmacologia all'Università del Connecticut, Usa

Persone citate: Eisenberg, N0 Ezio Giacobini, Rapoport

Luoghi citati: Connecticut, Montreal O., Stati Uniti, Usa