I lupi grigi del colonnello di Igor Man

I lupi grigi del colonnello TURCHIA: IN VENTIDUE MESI, 2300 MORTI DI TERRORISMO I lupi grigi del colonnello Sono gli «uomini di Turkes», animati da un fanatico nazionalismo islamico, in feroce lotta con i «gruppuscoli» dell'estrema sinistra, addestrati nei campi palestinesi - Gli uni e gli altri sembrano privi di una vera base ideologica, ma sono pronti a uccidere DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE ANKARA — Il Carlo Casalegno della Turchia si chiamava A odi Ipekci Fu assassinato, nel marzo scorso, da un terrorista di destra. Abdi sulla quarantina, baffuto, scattante, di giusta statura, era il classico intellettuale kemalista che aveva risciacquato i suoi panni nell'Arno della cultura occidentale. Vicedirettore e «columnist* di Milliyet il più diffuso e autorevole quotidiano turco, Abdi Ipekci dedicava la maggior parte dei suoi interventi al fenome-1 no del terrorismo, specie dopo la strage di Kahramanmaras (21-24 dicembre 1978), di chiara matrice fascista. Kahramanmaras, vale a dire «Ma ras l'eroica» per la resistema opposta alle forse francesi d'occupazione dopo la prima guerra mondiale, è un capoluogo di provincia a 300 chilometri a Nord di Adana, ai confini dell'Anatolia e delle montagne dell'Est (Arabi e Bizantini se la disputarono durante secoli, gli ottantanni se ne impadronirono definitivamente nel 1515). Centocinquantamila abitanti, in maggioranza sunniti, una animosa minoranza di sciiti che qui chiamano «aleviti*. Il 20 dicembre due professori di quel liceo tecnico approvarono la sospensione di tre allievi per motivi disciplinari. L'assassinio degli insegnanti, il 21 dicembre, scatenò un macello. Bande di giovinastri al gridodi «Turchia musulmana* «Esercito e popolo, mani nelle mani* infierirono contro igli esponenti della minoranza sciita, non risparmiando donne e bambini; «genocidio all'indonesiana», definì i fatti di Maras l'allora presidente del Consiglio Bulent Ecevit Cento morti, mille feriti: la punta più alta nella escalation del terrorismo turco che ha la sua data di nascita il 16 giugno del 1970. L'assassino Lo stato d'assedio in quella e altre tredici province, decretato il 26 dicembre dal Parlamento turco (537sì contro 1 e un astenuto), ebbe a scrivere Abdi Ipekci «è un provvedimento necessario che tuttavia non può non mortificare ogni sincero democratico. Le baionette e 1 carri armati riusciranno forse a ristabilire l'ordine, ma tocca a ognuno di noi, con la denuncia serrata e implacabile dei sedicenti nazionalisti, allontanare lo spettro dell'anarchia facendo quadrato intorno alla cittadella dello Stato, assediata da mitomani incoscienti, mandanti di sprovveduti allo sbaraglio per destabilizzare il Paese». Ma Abdi non si limitava nei suoi scritti a predicare il dovere civico di difendere lo Stato e le sue istituzioni il suo non era un discorso genericamente moralistico: da buon laico egli denunciava ..l'islamismo surrettizio dei nuovi e dei vecchi fascisti», faceva nomi e cognomi, stila- va accuse precise e imbarazzanti Sordo ai consigli di chi lo esortava alla «prudenza*, incurante delle intimidazioni e delle minacce continuò la sua battaglia contro il fascismo senza risparmiare nessuno. L'assassino di Abdi Mehmet Ali Agca, 20 anni, lasciò, dopo il delitto, le armi nella sede del Partito di azione nazionale del funesto colonnello Turkes. Riuscì facile alla polista arrestarlo. Comparso davanti alla corte marsiale di Istanbul il 12 ottobre, questo ragazzo dagli abiti dimessi e dalla faccia pulita ha dichiarato testualmente: «Ho ucciso 11 signor Abdi Ipekci per por fine al massacro di uomini, bambini, contadini e studenti, per stroncare l'aggressione armata dei gruppi di pressione dell'economia e della borghesia. E' un fatto che scienziati come i professori Karafakioglu e Bedrettin Comert sono stati eliminati per gli stessi motivi. Io volevo che Istanbul precipitasse nell'anarchia. Voi potreste dire che io avevo smarrito la ragione. Può darsi, io non lo so. Volevo solo farla finita con l'attuale sistema. Avevo selezionato i responsabili: Abdi Ipekci, l'ambasciatore degli Usa, l'ambasciatore dell'Urss. Mi dispiace di aver ucciso il signor Ipekci, ma non rimpiango di averlo fatto. Non lo conoscevo, non avevo nessun legame con lui. Ho ucciso un grande giornalista». Allucinante ma emblematica: cosi Emin Colasan definisce la deposisione dell'assassino. Emin Colasan, un collega di Abdi Ipekci è l'autore di una inchiesta sul terrorismo turco pubblicata dal Milliyet, prima e dopo l'uccisione di Abdi Fra l'altro ha potuto interrogare in una prigione di Ankara 287 terroristi o presunti tali (125 di sinistra, 162 di destra). I terroristi mi dice, sono giovani (dai sedici ai ventiquattro anni), in maggioranza studenti falliti di povera famiglia, nati nei villaggi o nelle piccole città dell'Anatolia e subito venuti a Istanbul, Ankara o Smirne. Le bindonvilles che sfregiano come una lebbra dannata le grandi città (nella sola Istanbul che ha quintuplicato in venti anni la sua popolazione, gli immigrati sono la metà dei due milioni e mezzo di disoccupati turchi), son divenute il serbatoio ideale della manovalanza del_ terrorismo. Vi pescano a piene mani soprattutto gli «amici* del colonnello Turkes ma anche gli emissari della nebulosa terroristica di sinistra. Il terrorismo di destra ha connotati ben precisi: è mosso dal disegno destabilizzatore di un partito come quello nazionale d'azione che ha campi per l'addestramento di commandos, tresca con la Cia, soffia sul fuoco degli antagonismi religiosi si nutre dei «messaggi* populisti del suo Basbug (duce), il colonnello Turkes, appunto. Il 27 maggio 1960, fra gli ufficiali della giunta che fece il golpe per sbarrare la strada alla dittatura di Menderes, c'era pure lui Turkes. Ma quando si trattò di passare di nuovo la mano ai civili si oppose. Mandato in esilio all'ambasciata di Nuova Delhi nel 1963 diede le dimissioni dall'esercito. Nel '65 impadronitosi del partito contadino repubblicano, lo trasformò nel partito nazionale d'azione che oggi conta 17 deputati e un senatore. Alla fine della seconda guerra mondiale, per i suoi legami col Terzo Reich, Turkes fini in prigione: da qui il suo odio per i militari che accusa di tradimento dei valori nazionali Sogna di riunire in una «grande Turchia* tutti i popoli di lingua turca, anche quelli sotto l'Urss. Il colonnello filonazista, fino all'avvento del potere di Ecevit, era al governo, addirittura come vice primo ministro. E' riuscito a infiltrare suoi fidi in quasi tutti i ministeri nelle amministrazioni comunali nella polizia e financo nell'esercito. Non va sottovalutato. Il suo «messaggio* ultranazionalista, dice Emin Colasan, è recepito pressoché in tutti gli ambienti sociali dai ricchi industriali ai commercianti agli operai Esiste persino un sindacato operaio legato al partito di azione nazionale e la maggioranza dei «lupi grigi*, i militanti armati sono di estrazione operaia. Contro gli uomini della Ulku Ocaklari («fraternità idealista*), la società segreta creata da Turkes, che ha i suoi tremila membri piazzati in posti chiave, combattono gli uomini che si rifanno al partito (clandestino) rivoluzionario degli operai e dei contadini Gli esperti di qui sostengono che codesto «partito* svolga un ruolo analogo a quello esplicato in Italia. dalla cosiddetta area dell'Autonomia. Ma in Italia (cfr. Sabino Acquaviva: Guerriglia e guerra rivoluzionaria in ItaIla; i filoni culturali che alimentano la rivolta di sinistra sono tre: a) il neomarxismo; b) il «movimento* e l'area del «personale come politico*, cioè di coloro che tendono a dare un significato politico più generale alla lotta per le libertà personali; c) il neocattolicesimo. Orbene, in Turchia i gruppuscoli terroristi sono sì alla sinistra del pc (clandestino) ma a livello di Terza Internazionale, lontani quindi da alcunché che possa somigliare al neomarxismo. La cosiddetta area del «personale come politico* non esiste né esiste qualcosa che possa esser paragonato al neocattolicesimo per la semplice ragione che la Turchia rimane un Paese fondamentalmente laico, dove gli integralisti islamici hanno un peso politico irrilevante. C'è di più: in Italia, Paese sviluppato, dove la cultura è creazione, «creazione continua di idee, di modelli di comportamento, di avanguardie culturali», la teoria rivoluzionaria o è creativa oppure — alla lunga — diventa incapace di gestire la rivolta. Insomma, «quando la guerriglia si chiude culturalmente, lo spazio della innovazione culturale diventa "terra di nessuno" e il sistema tende a rioccuparlo». E' quanto, appunto, per certi versi si comincia a notare nel nostro Paese. Una nebulosa In Turchìa, invece, per le sinistre vetero marxiste, il primo nemico da combattere è il fascismo dei «lupi grigi*. Che poi la lotta si allarghi in una caccia disordinata a «obiettivi* che con quel fascismo hanno legami presunti o effettivi questo accade in via succedanea, come logica conseguenza di una «azione rivoluzionaria* che vuol recuperare gli antichi valori della nazione turca, fuori dall'egemonia «dei blocchi imperialisti delle multinazionali*. Altrimenti non si capirebbe come in nove anni di terrori¬ smo, due sole siano state le azioni condotte dai terroristi di sinistra contro militari americani Mancando in Turchia un'area di indottrinamento paragonabile a quella della nostrana Autonomia, il cosiddetto «partito armato* è in fatto una nebulosa afflitta da spontaneismo e caratte-* rizzata da una rozzezza ideologica assoluta. Ciò non toglie che i vari gruppuscoli di sinistra — che si vuole vengano addestrati nei campi palestinesi —, tendano ad aggregarsi tumultuosamente intorno al princiìpio-idea dell'affrancamento della Turchia «da ogni blocco egemone*. Esistono collegamenti con i kurdi e con i siriani con la Bulgaria, ma tutto si svolge, appunto, all'inségna dello spontaneismo. Epperò, nella Turchia di oggi sospesa tra la «finlandissasione* e l'adesione decisa alla Nato, stravolta da una recessione economica fra le più tragiche (quasi il 100% di inflazione, tre milioni di disoccupati pari al 20% della farsa lavoro, un reddito prò capite di messo milione di lire l'anno), il terrorismo (sia di destra che di sinistra) è oramai un mondo a sé, una «cultura*, un modo di vita. Le cifre parlano da sole: in Irlanda, in dieci anni di guerriglia, si sono avuti meno di 2000 morti; in Italia nel 1978 sono state uccise 37 persone; in Turchia solo negli ultimi ventidue mesi i morti ammassati ammontano a 2300. «Se la Turchia non fosse un Paese-cerniera — mi dice un professore dell'Università di Istanbul —, se si riuscisse in capo a cinque anni a soddisfare almeno i bisogni primari di questo popolo frugale, docile, pieno di buon senso, contadino in una parola, il terrorismo finirebbe con l'esaurirsi. Perché il fascismo, è un fenomeno puramente, criminale e il cosiddetto "comunismo" non ha basi ideologiche vàlide né un effettivo supporto delle masse». Ma un proverbio turco ammonisce: «I calci del cavallo.docile sono i più terribili». Igor Man