Così parlò a Fiuggi di Andrea Barbato
Così parlò a Fiuggi Nomi e Cognomi Così parlò a Fiuggi di Andrea Barbato L'oratore, dicevano i maestri della retorica seicentesca, non deve necessariamente convincere, ma deve colpire l'ascoltatore «a guisa di fulmine», con immagini straordinarie e inattese, figure mentali, arguzie concettuali, eloquenza ornata, pensieri abbelliti. Non ho purtroppo ascoltato direttamente il discorso che il presidente del Senato Amintore Fanfani ha svolto, con larghissimo successo d'applausi, nella platea d'una stazione termale del Lazio affollata di estimatori e seguaci; devo contentarmi delle cronache un po' avare e non sempre testuali che rinvengo sui giornali. Ma ciò mi è bastato per constatare die talvolta la politica italiana, prigioniera di gerghi e di schemi oratori, sa liberarsi con accensioni improvvise: e mi ha spinto a leggere con attenzione la voce enciclopedica die è dedicata all'arte del parlare in pubblico in cerca di persuasione. Salterei a piedi pari la retorica classica e antica, troppo carica di simmetrie e di regole architettoniche, di precetti e di norme. Sebbene si debba certo ad Aristotele la scoperta della parola come imitazione e rappresentazione, e del linguaggio come ornamento della realtà. Cicerone, poi, grande parlatore, sdegnava /'«officine dei retori», ma la sua lezione d'austerità si perderà nel trionfo dei sofisti e nelle palestre teoriche. «L'essere reo o innocente — diceva Ennodio — dipende soltanto dalla nostra bocca». Piti interessante mi è sembrata l'epoca che comincia con le prediche cristiane, con le allegorie sulle Sacre Scritture, con lo stile biblico, quando la retorica-arte pagana fu accolta dalla morale religiosa. E i -tropi- e le -figurefurono riscoperti come artifici meritori per avvicinarsi alla verità. Ma cosa ha detto Fanfani? Non mancano le figure di fantasia, i «rethorici colores- di Onulfo di Spira, e neppure le bizzarrie e gli wnorismi teorizzati da Anselmo di Besate detto il Peripatetico. Qualche esempio: «Nella barca, sono necessari quelli col remo, non quelli col succhiello, che fanno buchi nello scafo». Oppure: «Nell'area Zac, nascono ravanelli rossi di fuori e bianchi di dentro, mentre nell'area nostra nascerebbero solo patate color kaki di fuori e ceree di dentro». Oppure: «Il confronto con i comunisti è una foglia di fico». Non sembra arbitrario sottolineare, in un ampio discorso politico, queste poche frasi, se Bernardo di Chartres isolava, nelle opere dei grandi autori, le immagini, le figure' grammaticali, le tecniche coloristiche, l'arte della controversia. • La Comunità economica europea? Si interessa troppo di fave e di baccelli», dice Fanfani a Fiuggi. E i notabili? «Non vogliono abbandonare le torri di controllo dei voti congressuali». Il segretario della de? «E' stato lo sgabello per chi voleva gestire ben altro potere». Qui si sente lo studio dei modelli classici dell'orazione, di quei precetti die la mia enciclopedia elenca come «inventio, disposino, elocutio, cursus, salutano, captatio...», che trovarono straordinari studiosi in Al¬ berico da Montecassino, Ugo da Bologna, Boncompagno da Signa, Lorenzo d'Aquileia e Bene da Firenze, e nel contrasto fra lo stile-tulliano- e tostile -isidoriano-. Fanfani, direi, è un tulliano. O forse s'avvicina a quel Guittone d'Arezzo, suo concittadino, che fu un maestro delle consonanze, dell'allitterazione, del gioco verbale. «Quelli di Zac e quelli di Zie», dice Fanfani. E il candidato della corrente alla segreteria corre il rischio d'essere «immesso su una scala non per salire, ma per discendere». Se gli umanisti o i grandi maestri di retorica della corte di Borgogna erano prigionieri dell'eleganza verbale astratta, e della bella forma linguistica, quasi estraniandosi dalla vita reale in un gioco formale, venne poi chi condannò il puro artificio, l'abuso di leggiadria o di immagini, l'eccesso di autonomia dell'espressione oratoria. Ma furono il romanticismo, e da noi il De Sanctis, a sancire la morte della retorica, vista come un mantello senza corpo, un ornamento senza scienza. Oggi la retorica sopravvive, sebbene la parola abbia assunto un significato ingenerosamente spregiativo. Non si può certo negare die la nostra vita pubblica sia priva di metafore o di iperboli. E perciò il linguaggio fanfaniano risulta a tutti chiaro, e chiarissimo ai suoi amici di corrente e ai cronisti politici, che ne traggono giudizi e intuizioni. «Preoccupato della solitudine di Adamo, il Creatore formò da una costola la sua compagna: s'ebbero cosi i protagonisti del primo umano confronto». Oppure: «Dal confronto confuso, dall'emergenza stabile, dalla solidarietà nazionale perpetua, dallo scontro elettorale anticipato, libera nos. Domine». Dove si ritrovano forse echi di Everardo di Germania o addirittura dell'Anonimo di Saint-Omer.
Persone citate: Amintore Fanfani, Cicerone, De Sanctis, Domine, Fanfani
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